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LA RICERCA DELLA VOLONTÀ DI DIO – 28 Ottobre 2017

Francesco d’Assisi, un uomo che non era nato per governare e nemmeno per lottare, si trovò nel mezzo di una tormenta a dover difendere l’ideale evangelico.

Ma il centro del dramma era questo: mentre Francesco aveva l’assoluta sicurezza interiore che il Signore gli aveva rivelato, nella voce della Porziuncola, direttamente ed espressamente la “forma di vita” evangelica in povertà e umiltà, il rappresentante del Papa e i sapienti affermavano che la volontà di Dio, dalle necessità della Chiesa e dai “segni” dei tempi era quella di organizzare la fraternità sotto il segno dell’ordine, della disciplina e dell’efficacia.

Ecco il dilemma del suo conflitto profondo: a chi obbedire? Dove stavano effettivamente Dio e la sua volontà?

E in quel terribile momento in cui sarebbe stato necessario udire la voce di Dio, Dio taceva; e il Poverello si dibatté in una lunga agonia di dubbi e domande in mezzo a una completa oscurità. Che cosa vuole veramente Dio? Dicono che bisogna dare al movimento una struttura monacale o almeno conventuale, mentre il Signore mi ha ordinato di formare una fraternità evangelica di viandanti, penitenti, poveri e umili. Lo Stesso Dio ha potuto ispirare direzioni tanto contrarie? Dov’è Dio? A chi obbedire?

Non starebbe lui, Francesco, difendendo la “sua” opera invece di difendere l’opera di Dio? Egli era ignorante, gli altri erano saggi; la gerarchia pareva segnalare criteri contrari ai suoi. Era logico pensare che se qualcuno sbagliava questi doveva essere soltanto lui, l’insignificante Francesco. Ma allora, le voci di Spoleto, di S. Damiano e della Porziuncola erano stati allucinati deliri di grandezza? Dunque Dio non era mai stato con lui? Dio stesso era forse un’allucinazione irreale?

E il povero Francesco si rifugiava nelle grotte di Rieti, Cortona e La Verna; bussava alle porte del cielo e il cielo non rispondeva. Invocava piangendo Dio e Dio taceva. Perse la calma. Quell’uomo, l’anno prima tanto raggiante, diventò di cattivo umore. Cominciò a minacciare, a scomunicare. Tanto allegro sempre, si lasciò vincere dalla peggiore delle tentazioni: la tristezza.

 

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga

AL DI LÀ DEL DUBBIO – 27 Ottobre 2017

Francesco d’Assisi fu un credente che godette per gran parte della sua vita della sicurezza luminosa della fede; tuttavia, alcuni anni prima di morire cadde in una cupa depressione che i suoi amici e primi biografi qualificarono come “gravissima tentazione spirituale”, e che durò all’incirca un paio d’anni. Sappiamo solamente che fu una continua agonia, nella quale il Poverello, apparentemente abbandonato da Dio, camminava tra le tenebre, tormentato da tanti dubbi ed esitazioni che quasi stava per disperarsi. Fu un’inquietudine di coscienza grave e invincibile e Francesco ebbe bisogno di un particolare intervento divino per uscirne.

Durante i primi anni della sua conversione, «il Signore gli aveva rivelato che doveva vivere secondo il santo Vangelo». Con la fedeltà di un cavaliere errante e con la semplicità di un bambino, Francesco seguì letteralmente testo e contesto del Vangelo lasciando il bastone, la bisaccia, i sandali (cf. Lc 9,3). D’allora in poi non toccò denaro. Non volle per sé e per i suoi possesso di conventi, case, beni. Volle che fossero pellegrini e stranieri in questo mondo, itineranti sulla terra intera, lavorando con le loro mani, mettendo ogni fiducia nelle mani di Dio, privi di lasciapassare e riconoscimenti pontifici ed esposti alle persecuzioni.

Li volle poveri, liberi e allegri. Non sapienti, bensì testimoni. Non occorrevano studi, biblioteche, titoli universitari; solamente il Vangelo da vivere semplicemente, pienamente, senza commenti, limitazioni e interpretazioni.

Simile “stile di vita”, rivelatogli personalmente dal Signore, attirò migliaia di fratelli nella nuova via. Ben presto però nel movimento francescano si produsse e cominciò a prevalere una vasta corrente di uomini che si vergognavano di essere poveri, piccoli, “minori” e volevano imprimere una diversa direzione all’incipiente (e già numerosa) fraternità. La corrente guidata dai “sapienti” e dallo stesso rappresentante del Papa, incoraggiava criteri diametralmente opposti agli ideali e alla “forma di vita” di Francesco:

Quelli dicevano: abbiamo bisogno di saggi e di gente ben preparata.

Francesco rispondeva: abbiamo bisogno di semplici e di umili.

Quelli esigevano: diplomi universitari.

Francesco contestava: solo il diploma della povertà.

Quelli reclamavano: grandi case per gli studi.

Francesco ripeteva: umili capanne per “passare” attraverso questo mondo.

Quelli affermavano: la Chiesa necessita di una potente e ben organizzata struttura di guerra contro gli eretici e i saraceni.

Francesco rispondeva: la Chiesa necessita di penitenti e convertiti.

 

 

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga

IL PREZZO DELLA FEDE – 26 Ottobre 2017

Sono accettate, oggi, come criteri di vita, l’immediatezza, l’efficacia, la rapidità. In contrasto, la vita di fede è lenta ed esige una costanza sovrumana; il suo progredire è instabile e non lo si può comprovare con metodi rigorosi di riflessione. Di conseguenza ci sentiamo impoveriti, confusi e come smarriti in una selva.

Sotto l’influenza delle scienze psicologiche e sociologiche, oggigiorno prevalgono i criteri soggettivi. Ciò che era oggettivo come le verità di fede, le norme della morale o dell’ideale, hanno perso attualità e valore cedendo il passo ai dati personali e istintivi. Oggi è di moda l’emozionale, l’affettivo, lo spontaneo.

Ne deriva la totale svalutazione di certi criteri come il dominio di se stessi, l’ascesi, il superamento, la privazione, elementi indispensabili nella marcia verso Dio. Tali concetti e parole a molti suonano perfino ripugnanti; come minimo li ritengono pregiudizievoli per lo sviluppo della personalità. La comodità è diventata suprema norma di comportamento.

Questa nuova forma di condotta coincide in tuto con l’ideale della società dei consumi: trarre il massimo dalla vita, consumare il maggior numero di beni, concedersi tutte le soddisfazioni.

Oggi non sappiamo che farcene del silenzio. La società dei consumi ha creato l’industria dello svago e del divertimento per evitare all’uomo l’orrore del vuoto e della solitudine. In questo modo si colloca l’oggetto al posto del soggetto, non si sopportano le norme stabilite e si dà briglia sciolta allo spontaneismo, figlio del soggettivismo.

L’orizzonte è sempre più coperto di domande, di silenzio e di oscurità. E’ il prezzo della fede.

Stiamo vivendo in un tempo di purificazione. La fede è un fiume che avanza. Le impurità si posano nel letto del fiume, ma la corrente non si ferma.

 

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga

IL SENSO DELLA VITA – 25 Ottobre 2017

Né la tecnologia né le scienze socio-psicologiche riusciranno mai a dare la risposta esatta al problema fondamentale e unico dell’uomo: il senso della vita. Soltanto quando l’uomo si imbatte nel suo proprio mistero, quando sperimenta fino alla vertigine la stranezza di “stare qui”, di essere al mondo come coscienza e come persona, solo allora affronta gli interrogativi centrali: chi sono io? Qual è la ragione della mia esistenza? Da quale fonte sono scaturito? C’è un avvenire per me, e quale?

Oggigiorno non si fanno più campagne contro Dio a base di argomenti e di passione. Semplicemente si prescinde da lui, lo si tralascia come un oggetto che non serve più. E’ come un ateismo pratico, più pericoloso di quello sistematico , perché isterilisce inavvertitamente i riflessi mentali e i moti della vita.

Il periodo di prova che stiamo attraversando aiuterà a purificare l’immagine di Dio. La fede, come dice Martin Buber, è un’adesione a Dio, ma non un’adesione all’immagine che uno si è formato di Dio, nemmeno un’adesione alla fede “del” Dio che uno ha concepito, bensì adesione al Dio vivente.

 

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga

LA PROVA DEL DESERTO – 24 Ottobre 2017

In diversi momenti, i testi del Concilio Vaticano II ci invitano alla consapevolezza di vivere la fede come una peregrinazione (LG 2,8,65), per lo più facendo espresso richiamo alla traversata di Israele nel deserto. Certamente quella marcia costituì la prova del fuoco per la fede di Israele nel suo Dio. Tuttavia, se da quella prova uscì fortificata la fede del popolo nel suo Dio, la lunga peregrinazione fu colma di adorazioni e bestemmie, sottomissione e ribellione, fedeltà e diserzioni, acclamazioni e proteste.

Tutto ciò è un simbolo reale delle nostre relazioni con Dio mentre siamo “in cammino”; soprattutto (ciò è quanto ci interessa mettere in rilievo) è il simbolo delle esitazioni e delle perplessità che subisce ogni anima nella sua ascensione verso Dio, in special modo nella sua vita di fede. Poche persone, forse nessuna, sono rimaste libere da tali mancamenti. La Bibbia ce ne da indubitabile prova.

 

Nuove prove in nuovi deserti

 

Se fu sempre aspra e difficile la via della fede, oggigiorno le difficoltà sono aumentate. La Chiesa sta attraversando un nuovo deserto. Le minacce che incombono sui pellegrini sono le stesse degli anni trascorsi: avvilimenti per eclissi di Dio, apparizioni di nuovi “dei” che pretendono adorazione, e tentazioni di interrompere l’aspra marcia della fede, per far ritorno nel confortevole “fertile Egitto”.

 

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga

IL DRAMMA DELLA FEDE – 23 Ottobre 2017

Contemplando nella Bibbia il cammino del popolo verso Dio nell’approfondimento, nello schiarimento e nella purificazione della sua fede, costatiamo con evidenza quanto è lunga e difficile la via che conduce al mistero di Dio: la via della fede. E non solo per Israele; anche e soprattutto per noi. Ogni giorno vediamo lo scoramento, l’incostanza e le crisi che ci attendono a ogni angolo. E questo senza dimenticare che la fede, in se stessa, è oscurità e incertezza. Perciò parliamo di dramma.

Nell’entrare, dunque, in questo vero e proprio tunnel oscuro, dobbiamo ricordarci il coraggioso invito di Gesù: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta» (Lc 13,24).

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga

BENEDICI IL SIGNORE ANIMA MIA – 22 Ottobre 2017

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico

perché ti lasci avvicinare

posso guardarti viso a viso,

senza paura

la tua misericordia

abbraccia i miei limiti e peccati.

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico

perché mi hai fatto

carne della tua carne

il mio volto si rispecchia nel tuo

il tuo amore mi avvolge

così come sono

hai fiducia di me.

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico

perché mi aiuti a desiderare

un mondo a tua immagine

e posso osare

di costruire con te

il tuo regno in mezzo a noi.

Benedico i tuoi desideri di giustizia,

di pace, di bontà

ti chiedo che diventino i miei.

Benedici il Signore anima mia.

Mi trema il cuore

benedirti per la tua Parola:

“Voi farete cose più grandi di me

perché io vado al Padre”.

Dio mio, benedici il mio tremore.

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico con l’anima in ginocchio

di avermi scelto per annunciare

la bellezza del tuo regno

dove gli ultimi hanno il tuo volto e con le loro lacrime

benediciamo insieme.

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico per il dolore

che incrocia la mia vita

per gli innocenti

che soffrono senza colpa

per i malati che sperano guarigione

per i bambini

che hai chiamato a te

lasciandoci lacrime e armonia.

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico

perché con te

i ciechi vedono

i sordi ascoltano

gli zoppi corrono

i muti cantano.

Con tutti loro

il mondo intero ti benedice.

Benedici il Signore anima mia.

Ti benedico per i bambini

maestri del tuo amore

per i giovani

nel fiore dei loro anni

per gli anziani saggi

per chi nel silenzio

e nel servizio

mi fa conoscere te

che sei amore.

(Ernesto Olivero)

DIO TRASFORMA L’UOMO ATTRAVERSO LA CONTEMPLAZIONE – 21 Ottobre 2017

Se L’anima contemplativa continua ad avanzare per le vie del mistero di Dio, Dio diventa sempre più il tutto, l’unico, l’assoluto.

Non possiamo dire: questo non è per me. Tutto dipende dall’altezza, meglio, dalla profondità della contemplazione in cui ci immergiamo. I profeti non furono uomini eccezionali per nascita o per sorte, ma perché si dettero senza condizioni e si lasciarono trascinare ogni volta più addentro.

Ma il processo non è ancora compiuto. Nella misura in cui il contemplativo si lascia prendere, Dio assume in lui la funzione di bene che hanno tutte le realtà umane e tende a trasformarsi in “ogni bene”: per quest’anima Dio “vale” quanto una sposa affettuosa, un buon fratello, un padre sollecito, una fattoria di mille ettari, un palazzo fantastico (cf. Mt 12,46-50; Lc 8,19-21; Mc 3,31-35). Dio, in una parola, diventa ricompensa, festa, banchetto (cf. Es 19,5; Ger 24,7; Ez 37,27). «Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene» (Sal 15).

(Mostrami il tuo volto – Ignacio Larragnaga)

PIU’ SI PREGA, PIU’ DIO È CON NOI – 20 Ottobre 2017

Chiunque può sperimentare che più profonda è l’orazione, più Dio è vicino, presente, manifesto e vivente. E quanto più risplende la gloria del volto del Signore sopra di noi (cf. Sal 30), tanto più gli avvenimenti acquistano un nuovo significato (cf. Sal 35), e la storia rimane “popolata” di Dio; in una parola, il Signore si fa vivo e presente in tutto. Non è un gioco d’azzardo; c’è un esperto timoniere che guida i fatti con sicura mano.

Quando si è “stati” con Dio, egli diventa ogni volta di più “qualcuno” col quale e per il quale si superano le difficoltà, si vincono le ripugnanze – e tutto diventa dolcezza, – si assumono con serenità i sacrifici, nasce dovunque l’amore.

E nella misura in cui il contemplativo avanza nei misteri di Dio, Dio cessa di essere idea per diventare trasparenza e inizia a essere libertà, umiltà, gaudio, amore. E via via si trasforma in una forza irresistibile e rivoluzionaria che strappa tutte le vecchie cose dal loro posto: dove c’era violenza mette soavità; dove c’era egoismo pone carità; cambia per intero la “faccia” dell’uomo (Mostrami il tuo volto – Ignacio Larragnaga).

DIO CI CHIAMA AD UNA VITA PROFONDA – 19 Ottobre 2017

Ho l’impressione che tra i cristiani ci siano molti che hanno avuto una forte chiamata per una vita profonda con Dio, e questa chiamata stia languendo per una storia che si ripete troppo sovente: hanno cessato di pregare, hanno abbandonato gli atti di pietà, hanno sottovalutato i sacramenti, hanno rimandato l’orazione personale, hanno detto che Dio si deve cercare nell’uomo; così, per cercare Dio, hanno abbandonato Dio. Ho conosciuto persone per le quali, anche ora, provo tristezza: in altri tempi ebbero per il Signore un’attrazione fuori del comune la quale, se ben coltivata, avrebbe potuto dare alla loro vita un grande volo, e tuttavia oggi sono fredde e – perché non dirlo? – tristi.

Effettivamente, sono dominate da una sorte di frustrazione, e non sanno spiegarne il perché. Per me la spiegazione è molto chiara: là, nel fondo più intimo, nel subcosciente, stanno soffocando quella chiamata forte che agli uni è stata data e ad altri no. Una vita che sarebbe potuta fiorire nel rigoglio, è rimasta soltanto una possibilità (Mostrami il tuo volto – Ignacio Larragnaga).

MENO SI PREGA, MENO SI DESIDERA PREGARE -18 Ottobre 2017

Esiste in fisiologia una malattia chiamata inedia (o anche inanizione). E’ un’infermità particolarmente pericolosa perché non ha sintomi spettacolari, la morte arriva silenziosamente, senza dolori. Consiste in questo: meno si mangia, meno si ha voglia di mangiare; meno si ha voglia di mangiare, meno ci si nutre e sopravviene l’inedia acuta. Così si apre e si chiude un circolo, il circolo della morte.

Nella vita interiore si ripete il medesimo ciclo. Si comincia con l’abbandonare l’orazione per ragioni valide, o apparentemente valide. L’uomo, invece di dirigersi dall’Uno verso il molteplice, in quanto portatore di Dio, si lascia dal molteplice avviluppare, rinchiudere e trattenere, colmando così il proprio intimo di freddo e dispersione.

Questa spirale procede su un vero declivio: mentre ci sciogliamo dal “totalmente Altro”, veniamo presi dagli “altri”. Cioè: mentre il mondo e gli uomini ci reclamano e sembrano colmare il senso della vita, Dio diventa una parola sempre più vuota di significato, sino a che finirà per diventare qualche cosa di vecchio e inutile che si tiene nella mano, si guarda, si rigira per concludere: «A che serve?». «Ora non serve più!». Il circolo si chiude; è lo stadio acuto dell’inedia; eccoci sul rettilineo finale della morte, della morte di Dio nella nostra vita (Mostrami il tuo volto – Ignacio Larragnaga).

PIU’ SI PREGA, PIU’ SI DESIDERA PREGARE – 17 Ottobre 2017

Ciò è provato dall’esperienza quotidiana. Chiunque abbia cercato l’intimo contatto col Signore per un certo tempo, una volta ritornato alla vita normale si sente di volta in volta e con sempre maggior forza trascinato a incontrare Dio; le preghiere e i Sacramenti sono una festa perché li sente “pieni di Dio”. Più grande è il peso dell’oggetto-Dio, con maggior attrazione ci si sente attratti verso di lui, fintantoché il mondo e la vita si andranno “popolando” della presenza del Signore.

Troviamo conferma di ciò nella Bibbia. L’autore dei Salmi ha sete di Dio come una terra arida, come una cerva che anela ai corsi d’acqua (Sal 41). Si alza nel cuore della notte, come un amante, per “stare” con l’Amato (Sal 118). Gesù “ruba” le ore al riposo e al sonno, se ne va sui colli per “passare” la notte con il Padre (Mostrami il tuo volto – Ignacio Larranaga).

MOSTRAMI IL TUO VOLTO – 16 Ottobre 2017

Molti cristiani temono che il processo di secolarizzazione finirà per minare le basi della fede, e che, di conseguenza, la vita di intimità con Dio verrà impedita da un progressivo indebolimento sino a estinguersi del tutto.

La mia impressione personale è esattamente opposta. La secolarizzazione può equipararsi alla notte oscura dei sensi. E’ la purificazione più radicale dell’immagine di Dio.

Come conseguenza, il credente dell’èra secolarizzata potrà vivere infine la fede pura e nuda, senza falsi sostegni.

L’immagine di Dio è stata spesso rivestita di vari paludamenti: i nostri timori e incertezze, i nostri interessi e sistemi, le nostre ambizioni, impotenze, ignoranze e limitazioni; per molti, Dio è la soluzione magica dell’impossibile, la spiegazione di tutto ciò che ignoriamo, il rifugio per gli sconfitti e gli impotenti.

Su tutte queste grucce si appoggiavano la fede e la “religiosità” di molti cristiani.

La demitizzazione va demolendo queste sovrastrutture e la fede, spogliata da questi orpelli, comincia a far apparire il vero volto del Dio della Bibbia: un Dio che pretende, disturba, sfida. Non risponde ma interpella. Non risolve ma contrasta. Non facilita, ostacola. Non spiega, provoca. Non genera bambini ma adulti.

Il Dio della Bibbia è un Dio liberatore che ci strappa dall’insicurezza, dall’ignoranza, dall’ingiustizia, non evitandocele, bensì costringendoci ad affrontarle e a superarle (Mostrami il tuo volto – Ignacio Larranaga).

L’AQUILONE PRENDE IL VOLO SOLO CON IL VENTO CONTRARIO – 14 Ottobre 2017

«Ora che posso solo sognare ad occhi aperti e col cuore che batte capisco che la vita non è con i piedi per terra che ti obbligano a pensare solo a quello che vedi perché in questo modo ti perdi il bello della vita con la “V” maiuscola, pertanto ringrazio il Signore che mi ha regalato questa SLA…vina» sono le ultime parole scritte da padre Modesto Paris – morto nella notte tra il 30 e il 31 maggio nell’ospedale “Villa Scassi” a Genova – sulla sua lavagnetta elettronica retta dal fratello Andrea che è rimasto al suo fianco nelle ultime settimane, è stato il suo testamento spirituale ai suoi ragazzi, ai giovani del movimento Rangers da lui fondato nel 1984 al Santuario della Madonnetta a Genova, agli amici di una vita intera fatta di gioia ma anche di sofferenza.

«Soffro per chi mi guarda da povero poveretto. Mai avrei pensato che questo mondo di invalidi vivesse la vita con una pienezza tale da far invidia anche a un calciatore o a uno che dalla sua vita ha avuto tutto ma che poi vede andare tutto in fumo».

Infatti il suo messaggio è sempre stato di speranza. «In camera mia – ha scritto nelle ultime ore – i ragazzi hanno appeso al soffitto un aquilone con una scritta. Così una frase che ho ripetuto tantissime volte a chi era in difficoltà, ora diventa uno sprone anche per me quando apro le palpebre. “L’aquilone prende il volo solo con il vento contrario”. In questi mesi l’ho guardata dalla mattina alla sera per ore e ore. Il vento, in questo periodo, è stato costantemente, ostinatamente, contrario. E per questo ho continuato a volare».

ANCHE IO SONO FELICE COSI’. PERCHE’ FINCHE’ VIVO MI POSSO NUTRIRE DELLA VITA – 13 Ottobre 2017

« PRIGIONIERO DEL MIO CORPO

E DELLE MIE SOFFERENZE

ECCO PERCHÉ HO DECISO COMUNQUE

DI SOPPORTARE TUTTO FINO ALLA FINE »

IL TESTAMENTO GIOIOSO DI UN SACERDOTE

 

di Padre Modesto Paris

 

Anche io sono felice così. Perché finché vivo mi posso nutrire della vita degli altri. Della grande famiglia che in questi anni è cresciuta con me. Vivo per sapere come vanno le attività dei miei ragazzi, dei gruppi di adulti, dei miei fratelli (e confratelli agostiniani), di mia mamma. Sapere che un giovane che conosco si è sposato o ha avuto un figlio mi riempie di gioia. Vedere un video e le foto di un campo o un bivacco, oppure sapere che una festa del volontariato è riuscita nell’intento di aiutare un orfanotrofio, mi fa sorridere. Mi fa sentire bene. Mi fa sentire vivo.

Quanto è vera la frase « la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare  ». L’ho ripetuta centinaia di volte per motivare i ragazzi ad arrivare in cima a una montagna. Ora è il mio bastone.

La mia fede è rimasta la stessa. Quella fede del montanaro con gli scarponi. Quella del bambino cresciuto in segheria. Primo di sei fratelli ho iniziato a lavorare quando non avevo ancora compiuto 4 anni. Il mio compito era stare accanto alla « bindella a zapar stece », vicino alla sega a nastro per raccoglier le assicelle tagliate che servivano a costruire cassette per le mele. Il mio mondo era quello, lo stesso di mio padre.

A 12 anni la chiamata. Ho lasciato quel mondo per entrare in convento. E non l’ho abbandonato nemmeno quando morì, giovanissimo, mio padre. Lo avevo promesso a mia madre che, in quell’occasione mi disse: « No nir fora parché se vene fora le come moris en auter». Voleva dire: « Non uscirai mica dal seminario, perché se lo fai è come se morisse un altro ». Una frase che mi ha dato la carica per diventare sacerdote e che continua a spronarmi ancora oggi che sono bloccato a letto. È per mia mamma che ho detto sì. Ma non solo.

Chiudo con un segreto, che non ho mai rivelato a nessuno. Nel 1985 sono stato ordinato sacerdote da Giovanni Paolo II. Avevo 26 anni. C’è stato un momento, prima che mi ponesse le mani sula testa, in cui abbiamo scambiato alcune parole. Davanti alla Pietà del Michelangelo, in San Pietro, a Roma, gli ho confidato il mio sogno: fare da guida ai ragazzi e agli adulti nella cordata della vita. Nella frase che ho detto c’era la parola « per sempre ». E così è stato. E così sia.