FONDATE DA FRANCESCA FARNESE

Origini aristocratiche

La storia del Monastero delle Clarisse “S. Maria delle Grazie” di Farnese (VT) è legata alla vita della venerabile sr. Francesca Farnese (1593-1651) che ne è la fondatrice.

La mattina del 6 gennaio 1593, festa dell’Epifania di nostro Signore Gesù Cristo, Camilla Lupi di Soragna, moglie di Mario Farnese, si trovava nel duomo di Parma per assistere con il marito alla messa solenne, quando all’improvviso fu colta dalle doglie dell’imminente parto. Venne immediatamente portata nella sua casa e, verso mezzogiorno, diede felicemente alla luce la piccola Isabella, la futura Venerabile Fondatrice. Isabella venne poi battezzata in duomo e assunse il nome della nonna materna, che nell’occasione le fece da madrina, la marchesa Isabella Pallavicino di Cortemaggiore, figura tra le più colte e interessanti del Rinascimento italiano, amica di Torquato Tasso, che le dedicò un sonetto, di poeti, musicisti e artisti di grande fama e fondatrice dell’Accademia degli Illuminati. La piccola Isabella venne affidata alle cure dell’omonima nonna per ricevere un’educazione adeguata al suo rango e per poter un giorno occupare un posto di rilievo nel mondo dei nobili, magari attraverso un buon matrimonio con un rampollo di una casata di pari o maggiore spessore.

 

Un imprevisto sconcertante

Le doti non le mancavano: era bella, intelligente, socievole, raffinata; insomma le premesse lasciavano ben sperare in un roseo futuro di gran dama, proprio come la nonna. Ancora piccola sapeva leggere, scrivere, far di conto, suonare, danzare, e quel che più conta è che tutto ciò le piaceva immensamente e non le costava fatica alcuna il passare tanto tempo sui libri o agli strumenti musicali o nella sala da ballo ad imparare sempre cose nuove. Però, come nelle favole dal sapore amaro, accadde che si prese il vaiolo e sul suo bel visino apparvero i segni delle cicatrici che tuttavia, forse, il tempo avrebbe cancellato; ma la brutta favola non era finita: mentre era ancora convalescente cadde sopra un braciere acceso a dovettero staccarle i carboni ardenti che si erano conficcati soprattutto sulla sua guancia sinistra provocando ustioni e cicatrici ancora più devastanti di quelle del vaiolo. Questi fatti, purtroppo, cancellarono di colpo tutti i disegni che la nonna aveva progettato e, scrive Nicoletti, suo agiografo, “venne a scemarsi notabilmente quella tenerezza d’amore che le portava”. Veniva improvvisamente e irrimediabilmente a mancare la prerogativa della bellezza, fondamentale alla buona riuscita dei piani.

La piccola Isabella aveva solo otto anni quando la nonna la rispedì impietosamente ai genitori, sostituendola con un’altra nipote di Ferrara, e questi, dopo un anno, il 21 aprile 1602, la esiliarono, “per educatione”, a Roma nel Monastero di San Lorenzo in Panisperna, affidandola alle cure della severissima badessa suor Francesca Farnese, sorella di Mario.

Al riguardo il Nicoletti scrive: “Fu la giovinetta richiesta à dare il suo consenso per l‟ingresso al sudetto monasterio per educarsi ma sentì tal ripugnanza interna nel dire si, che quasi venne meno per dispiacere. Con tutto ciò per non mostrarsi aliena alla volontà del padre, che n‟hauea desiderio, dissimulò al meglio che potè questa passione, mostrando esteriormente di esserne contenta; e così fu comunemente creduto da parenti”.

Una nuova vita

All’inizio la permanenza in questo monastero fu tutt’altro che piacevole per Isabella, costretta ad abbandonare ogni privilegio del rango: dai vestiti di seta colorata e velluti variopinti passava alla tonaca grigia, dalle letture cavalleresche e classiche, Ovidio soprattutto, ai soli testi sacri, dalla frequentazione delle amiche alla solitudine e alla mortificazione; e l’intransigenza della zia suor Francesca non ammetteva eccezioni di sorta.

Dovettero passare due lunghissimi anni prima che le cose migliorassero lievemente a seguito della morte della zia badessa.

Non aveva ancora compiuto dieci anni quando ricevette la Prima Comunione “con tal feruore di spirito, e diuotione, – scrive Nicoletti – che, come ella disse, nacquero in lei desiderij grandi di tutte le virtù, & in particolare fece à Dio un dono del suo cuore con tanto affetto, che haurebbe voluto cauarselo dal seno per donarglielo intero; e quindi auuenne, che da quel tempo innanzi cominciò a sentire certi impulsi, e chiamate interne, … Ma in questi feruori di spirito non perseuerò per hallora lungo tempo”.

Poi, nel maggio del 1607, rientrò temporaneamente a Farnese presso la famiglia dove fervevano i preparativi per il matrimonio di sua sorella Giulia con il principe Giovanni Antonio II Albrizzi dell’Avetrana.

Qui potè tornare ad assaporare ciò che il mondo esterno offriva a gente del suo stato. Purtroppo, però, il suo destino era segnato diversamente: fu la morte di una persona rimasta sconosciuta, della quale forse si era innamorata, a riportarla sui suoi passi verso il monastero di San Lorenzo in Panisperna, dove fece ritorno il 7 dicembre 1607 per poi prendere i voti, tra non pochi ripensamenti e indecisioni, l’8 gennaio del 1609.

Nicoletti ci ha lasciato anche la descrizione dell’aspetto fisico di suor Francesca: “Fu suor Francesca di statura assai grande, col capo proportionato alla mole del corpo, di faccia rotonda, e piena di belle fattezze; hauea gli occhi neri, & alquanto grossi, il ciglio sottile e non molto inarcato, la fronte spatiosa , & il naso più tosto picciolo, e leggiermente schiacciato nel mezzo; la bocca più tosto grande con le labra vermiglie , e grosse, le guance di carnagione bianca, la gola che tiraua al sottile, le mani lunghe, e bellissime. La sua voce era sonora, e maestosa, con una gran facondia naturale; e finalmente tutta insieme era così amabile e piaceuole , e dotata da Dio di sì mirabile attrattiua, che nel parlare pareua, che rapisse i cuori”.

Il 6 ottobre 1611 la seguiva al monastero la sorella minore Vittoria che all’epoca aveva 12 anni e che da quel momento sarà la sua compagna più fidata e amorevole; Vittoria diventerà poi suora con il nome di suor Isabella.

La crisi interiore

La svolta mistica per suor Francesca avvenne che aveva ormai 23 anni; a provocarla fu la lettura delle Croniche di San Francesco e, in particolare, del capitolo che trattava della morte di Pietro e Compagni martirizzati in Giappone dove si erano recati a predicare il Vangelo di Cristo. Nicoletti scrive: Il cuore di Suor Francesca si sentì accendere in fatta maniera, che soprapresa tuttauia dalla vehemenza del fuoco diuino, stette per qualche spatio di tempo in silentio, e finalmente posato il libro proruppe verso l‟altre manache. E noi sorelle che faremo? Habbiamo abbandonatala casa paterna, i parenti, e le commodità, e poi ci hauremo a dannare fra quattro mura, per tenere tuttauia il cuore attaccato alle cose del mondo, che non possediamo ?”

Tuttavia neppure il radicale mutamento dello stile di vita che ne seguì poteva appagare appieno il suo desiderio di totale annullamento della sua persona per donarsi completamente al suo Gesù.

Poi un giorno mentre “piena d‟insolito feruore, e desiderio di darsi tutta a Dio, si mise a pregarlo di esser liberata da tutti quegl‟impedimenti, che la ritardavano d‟unirsi col suo Signore. Ed‟ecco che le parue interiormente di sentir una voce che le dicesse: Francesca fuggi, fuggi, perché altro rimedio non ci è per te”.

“… E come volete, o Signor mio, ch‟io fugga essendo Donna, e racchiusa con voto fra queste mura? Sapete bene voi, che se io fossi in mia libertà, sarei già fuggita da molto tempo in qua; ma hora sono legata, e non posso. Contuttociò mi parea, che non cessasse la voce interna di dirmi:  fuggi, fuggi. Durò questo per molti giorni, e settimane …”

Passò parecchio tempo a rimuginare su queste parole che la ossessionavano e a pregare sempre più intensamente per ricevere una illuminazione da Dio e alla fine questa illuminazione arrivò: “… mi venne in pensiero, che „l fuggire si potea fare col procurare, che si fondasse un nuovo monasterio, doue io mi ritirassi per allontanarmi affatto da tutte le pratiche, che mi diuertiuano, e quiui viuessi una vita quasi eremitica, con far penitenza de peccati passati, e lontana dalle occasioni di commetterne più”.

 

Una nuova fondazione

Ma come fare? Le ritornò in mente che quando era bambina suo padre, scherzando con tutte le sue figlie radunate, disse loro che gli sarebbe tanto piaciuto vederle tutte monache in un convento della sua terra, dove lui anziano si sarebbe volentieri ritirato a fare il fattore e a lavorare nell’orto e nella vigna. Questi ricordi la ispirarono a scrivere una lettera al padre per manifestargli le sue aspirazioni di fondare un monastero dove “fuggire” e Mario, vedovo già da qualche anno, aderì di buon grado alle richieste della figlia. Scelse Farnese come luogo e, per accelerare i tempi, invece di iniziare una nuova fabbrica si accordò con i frati francescani per la cessione della chiesa e del convento di Santa Maria delle Grazie al Borgo, in cambio della costruzione di un nuovo convento a Sant’Umano. E così avvenne; dopo i necessari lavori di riattamento suor Francesca poteva lasciare il monastero di San Lorenzo in Panisperna e trasferirsi in quello di Farnese insieme alla sorella suor Isabella.

Il Rescritto Apostolico del 1617 dava al Duca Mario facoltà “in temporalibus et spiritualibus” sul Monastero. Per guidare e dirigere la nuova fondazione si rivolse al monastero di S. Elisabetta di Amelia (Umbria) dove vivevano sua sorella sr. Violante Farnese e sr. Virginia degli Atti. Sr. Francesca riteneva, contrariamente alle decisioni del padre, che tuttavia accettò, che queste religiose non erano adatte a dirigere il Monastero perché in età avanzata, provenienti dal Terzo Ordine e difficilmente in grado di percepire le profonde motivazioni che l’avevano spinta alla nuova fondazione. Il 9 maggio 1618 sr. Francesca arriva a Farnese, insieme alla sorella sr. Isabella Farnese, e si dà inizio alla nuova comunità.

Intanto il Vescovo di Castro, mons. Alessandro Carissimi, ebbe in grande considerazione e stima sr. Francesca tanto che spesso si recava a Farnese per manifestarle i segreti della sua anima e chiedere consigli.

L’incoraggiò in quella riforma del Monastero che sr. Francesca stimava necessaria e le delegò il compito di redigerle il testo delle Costituzioni.

L’intenzione era quella di qualificare il Monastero come appartenete al Secondo Ordine Francescano che segue la Regola di S. Chiara approvata da Papa Urbano IV. E’ su quest’ultima Regola che furono redatte le Costituzioni di sr. Francesca. L’approvazione vescovile fu poi confermata definitivamente dal Papa Urbano VIII il 13 luglio 1638 che concesse un Cardinale protettore.

Nel 1624, a 31 anni di età, sr. Francesca viene eletta Abbadessa del Monastero. Una malattia, la palpitazione del cuore, la fecero rinunciare al suo ruolo di Madre; venne eletta Abbadessa la sorella sr. Isabella e sr. Francesca tornò ad occuparsi delle novizie.

Le Costituzioni davano alle monache la facoltà di vivere per qualche tempo completamente isolate, secondo uno stile di vita eremitica caro a sr. Francesca, la quale incarnava l’intuizione carismatica di Chiara d’Assisi, rispondendo allo sfarzo del barocco.

Così nell’orto, attuale edificio scolastico, aveva fatto costruire capannelle di canne intessute di paglia e fieno, con un finestrino da un lato, disposte ad una certa distanza le une dalle altre. Chi lo desiderava, poteva utilizzarle; il cibo veniva portato da qualche consorella che in silenzio lo faceva scendere dalla finestrella. Fece costruire, nello stesso luogo, anche delle piccole cappelle dette “sette chiese” davanti alle quali le monache passavano pregando.

Le particolari Costituzioni, da lei pensate ed attuate per il Monastero di Farnese, furono estese anche agli altri 4 monasteri da lei fondati: Monastero della SS. Concezione di Albano, quello in Palestrina, che si chiamò Santa Maria degli Angeli, e quello della SS. Concezione di Roma.

Al cardinale Francesco Barberini aveva più volte manifestato il grande desiderio di dedicare alle cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo altrettanti monasteri, ma nel 1651 suor Francesca doveva lasciare la vita terrena nel monastero SS. Concezione di Roma ancora incompiuto, per andare finalmente a raccogliere gli agognati frutti in paradiso.

Nicoletti scrive:
“Fu questo alli diciassette di Ottobre nell’anno mille seicento cinquant’uno in giorno di martedi alle ventire hore, e un quarto; essendo ella vissuta anni cinquantotto, mesi noue, e giorni undici; e di Religione quarantatre, mesi dieci, e giorni dieci. Dopo che fu spirata la Serua di Dio, rimase la sua faccia così bella, che parea, che risplendesse, e con gli occhi alquanto aperti, che mai non le si poterono chiudere, ma si viuaci, e gratiosi, come appunto scintillassero. Sembraua poi di così fresca età come una fanciulletta con le carni morbide, e trattabili, e questo le durò, finchè le fu data sepoltura”.

Nel Diario di Roma 1608-1670 di G. Gigli si legge che:«Si trovorno presenti alla sua morte Olimpia Aldobrandini principessa di Rossano, moglie di Camillo Pamfilio Nepote del Papa, et la duchessa di Latere, l’una e l’altra sue parenti; nel tempo, che spirò, pioveva, et il cielo era assai nuvolo, et nella sua Camera fu da tutti visto un grandissimo splendore, come se vi fusse comparso il Sole».

Il cardinale Francesco Barberini officiò la cerimonia funebre, finita la quale le spoglie mortali di suor Francesca vennero sepolte «nel solito cimitero, ma in luogo separato dall’altre monache, scauandosi una profonda fossa, e quiui dentro una cassa fu posto il suo corpo vestito del suo pouero abito religioso senza veruna pompa, o adornamento».

Intanto a noi, piace pensarla come nella sua figura di un pittore ignoto che si trova nella chiesa di San Clemente a Latera, in provincia di Viterbo, con un’aureola di santità sopra la testa.

 

 

Per approfondimenti:

  • A. Nicoletti, Vita della venerabile madre Suor Francesca Farnese detta di Gesù Maria dell’Ordine di S. Chiara, fondatrice delli monasterii di S. Maria delle Gratie di Farnese e della Ss. Concettione di Albano e di Roma e riformatrice del monasterio di S. Maria degli Angeli di Palestrina, Roma 1660
  • Grazia Ines Ventura, Francesca Farnese tra storia e agiografia, in Analecta TOR, 201(2019), pp. 329-352