ANCHE IO SONO FELICE COSI’. PERCHE’ FINCHE’ VIVO MI POSSO NUTRIRE DELLA VITA – 13 Ottobre 2017

« PRIGIONIERO DEL MIO CORPO

E DELLE MIE SOFFERENZE

ECCO PERCHÉ HO DECISO COMUNQUE

DI SOPPORTARE TUTTO FINO ALLA FINE »

IL TESTAMENTO GIOIOSO DI UN SACERDOTE

 

di Padre Modesto Paris

 

Anche io sono felice così. Perché finché vivo mi posso nutrire della vita degli altri. Della grande famiglia che in questi anni è cresciuta con me. Vivo per sapere come vanno le attività dei miei ragazzi, dei gruppi di adulti, dei miei fratelli (e confratelli agostiniani), di mia mamma. Sapere che un giovane che conosco si è sposato o ha avuto un figlio mi riempie di gioia. Vedere un video e le foto di un campo o un bivacco, oppure sapere che una festa del volontariato è riuscita nell’intento di aiutare un orfanotrofio, mi fa sorridere. Mi fa sentire bene. Mi fa sentire vivo.

Quanto è vera la frase « la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare  ». L’ho ripetuta centinaia di volte per motivare i ragazzi ad arrivare in cima a una montagna. Ora è il mio bastone.

La mia fede è rimasta la stessa. Quella fede del montanaro con gli scarponi. Quella del bambino cresciuto in segheria. Primo di sei fratelli ho iniziato a lavorare quando non avevo ancora compiuto 4 anni. Il mio compito era stare accanto alla « bindella a zapar stece », vicino alla sega a nastro per raccoglier le assicelle tagliate che servivano a costruire cassette per le mele. Il mio mondo era quello, lo stesso di mio padre.

A 12 anni la chiamata. Ho lasciato quel mondo per entrare in convento. E non l’ho abbandonato nemmeno quando morì, giovanissimo, mio padre. Lo avevo promesso a mia madre che, in quell’occasione mi disse: « No nir fora parché se vene fora le come moris en auter». Voleva dire: « Non uscirai mica dal seminario, perché se lo fai è come se morisse un altro ». Una frase che mi ha dato la carica per diventare sacerdote e che continua a spronarmi ancora oggi che sono bloccato a letto. È per mia mamma che ho detto sì. Ma non solo.

Chiudo con un segreto, che non ho mai rivelato a nessuno. Nel 1985 sono stato ordinato sacerdote da Giovanni Paolo II. Avevo 26 anni. C’è stato un momento, prima che mi ponesse le mani sula testa, in cui abbiamo scambiato alcune parole. Davanti alla Pietà del Michelangelo, in San Pietro, a Roma, gli ho confidato il mio sogno: fare da guida ai ragazzi e agli adulti nella cordata della vita. Nella frase che ho detto c’era la parola « per sempre ». E così è stato. E così sia.

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