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L’UMANITÀ NEL CUORE DI DIO – 6 Agosto 2018

            “Gioisci anche tu nel Signore sempre, o carissima. Non permettere che nessun’ombra di mestizia avvolga il tuo cuore. Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nell’immagine della divinità di Lui.

            Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza che Dio  medesimo ha riservato fin dall’inizio per coloro che lo amano (Terza lettera di Chiara ad Agnese, FF 2887– 2889).

 

             Gioire, collocare il proprio cuore in Dio, contemplare, come ha fatto Chiara, è uno slancio del desiderio d’assoluto che è stato posto nel  nostro cuore dal Signore stesso. Il desiderio di Dio, posto nel cuore dell’uomo, è inestinguibile: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te!” (S. Agostino). Dio non ha altro luogo in cui venire cercato se non l’umanità. Con l’incarnazione di Gesù, Dio ha abitato la carne umana, andando alla ricerca dell’uomo per farsi ritrovare da lui. L’umanità è nel cuore di Dio.

Chiara è maestra di umanità, il lei c’è armonia, la fede è motivo di gioia e realizzazione profonda, la sua umanità fiorisce nella contemplazione del volto di Cristo. Ogni sofferenza trova la sua risposta nell’amore per Cristo povero e crocifisso: Chiara non ha altro desiderio che di conformarsi a Lui. Nella sua esperienza, felicità sta a significare l’essere in armonia con se stessa, essere in accordo con sé e con la propria vita. E’ la ricerca del senso della vita, illuminata dalla presenza di Cristo. E’ la conseguenza di un viaggio dentro di sé, un esodo dal proprio ‘io’ egoista per vivere la vita come dono per gli altri, attraverso l’ascolto e la preghiera.

Distinguiamo, allora,  tra una felicità intesa come ‘benessere’ che si sperimenta quando all’esterno ‘tutto funziona bene’, quando si ottengono riconoscimenti e si ha successo, e una felicità che proviene dall’interno: quest’ultima richiede di lavorare su se stessi, illuminati dallo Spirito che Dio ha messo nei nostri cuori. Significa prendere congedo dalle illusioni che mi sono fatto di me, dall’illusione di essere perfetto. Significa non vivere per essere apprezzati, per l’apparenza.

La fede ci aiuta a riconoscere la nostra personale “verità”, ci invita  a presentarci a Dio  con tutte le parti di luce e di ombra che sono dentro di noi e a lasciare che lo Spirito Santo ci illumini. In questo modo l’uomo, nel suo incontro con Dio, cambia in meglio, ma sempre a partire da ciò che è. Accogliendo e amando ciò che siamo, non desideriamo essere un altro e quindi smettiamo di confrontarci e di entrare in competizione con gli altri. Siamo noi stessi. La via verso la felicità si trova dentro di noi.

OLTRE PERCHÉ FRATELLI – 5 Agosto 2018

         Nella terra d’esilio sono tante le tentazioni e le ribellioni interiori. Ma se dal cuore lasciamo riaffiorare la «memoria» che «siamo amati» da Dio, sapremo anche noi, giorno per giorno, andare oltre gli steccati che ci separano dalla pace e dalla misericordia.
         Dobbiamo rivendicare il senso della fraternità sullo sconforto, sul sentirci traditi, messi da parte, feriti. Scomodare tutte le forze del cuore.
         Ogni misero chiede di essere amato non per merito, ma perché esiste, perché Dio ce lo pone accanto, per essere lavato nel fiume della carità perfetta. Dobbiamo alleggerirci da ogni rancore, se vogliamo far parte del cielo! Non dobbiamo restare impigliati nel rancore. Non è l’odio, la rivalsa, la vendetta (magari con le armi!) che ci farà conseguire la vittoria sull’altro, bensì solo l’amore! Solo il coraggio di riconoscerci fratelli, perché figli dello stesso Padre, ci farà risalire il gradino della pace.

(GianCarlo M. Bregantini)

TORNARE AD AMARE – 4 Agosto 2018 

         Ogni cammino di riconciliazione è lungo e paziente. Non basta il compromesso esterno, la pacificazione esterna, nemmeno la semplice spartizione delle colpe e delle responsabilità reciproche. Non è questione di equilibri.
         È questione di cuore riconciliato, che sappia prendere «coscienza delle proprie colpe». Il perdono è un cammino soprattutto teologico. Cioè è un confronto con Dio, con il suo amore di Padre.
         Poi assume anche tutta una serie di attenzioni psicologiche, che sappiano «scovare» i meccanismi sottili, nascosti, perversi che ci incatenano al nostro passato, ci aiutino a discernere le nostre paure, a cogliere i progressivi messaggi che Dio ci manda, a fasciare le nostre ferite, proprio perché riconosciute.
         Liberti dal proprio passato, perché capaci di incontrare la grandezza di misericordia del Padre, è possibile ricostruire gli affetti distrutti e sanare i cuori spezzati dall’odio. Si ricrea un clima di fiducia tra i fratelli, con tantissimi gesti di chiarezza, limpidi, coraggiosi, pazienti.

(GianCarlo M. Bregantini)

 

DAL DOLORE ALL’AMORE – 3 Agosto 2018

Signore, rendimi calmo e staccato da tutto,

ma senza indifferenza.

Che io sia aperto e buono,

maturato dalla sofferenza,

pronto a dare agli altri quello che non ho avuto.

Non mi resta niente.

A che cosa ancora mi potrei aggrappare?

Eppure io vorrei che la gioia di ogni uomo

trovasse come un’eco nel mio cuore pacificato.

Piuttosto che soffrire senza utilità per nessuno

e aggravare ulteriormente le tristezze del mondo,

vorrei che da tutte le lacrime che ho versato,

mi venisse il potere di comprendere gli altri,

fino nell’intimo del loro essere,

là dove sono veramente se stessi, là dove aspettano l’amore.

Vorrei che il mio dolore servisse a qualcosa.

(Lucien Jerphagnon)

FRATELLI NELLA DIVERSITÀ – 2 Agosto 2018

         Dio ci crea diversi e ci vuole fratelli nella diversità e non nell’uguaglianza uniforme; uguali si diventa per dignità, partendo dall’accettazione fondante delle differenze.
         Dobbiamo accogliere come dono di Dio la diversità dell’altro e credere nell’uguaglianza che scaturisce da una dignità comune: la figliolanza divina. Tutti figli del’unico Padre che è nei cieli. Non il prodotto di una multinazionale che pianifica  e fabbrica in serie, ma la fecondità creatrice di un Dio che dona la vita con amore e nell’irripetibile volto di ogni uomo lascia un’impronta della sua Persona.
         Dio ci affida talenti diversi, anche se a tutti chiede una leale e fattiva collaborazione nel far fruttificare i vari talenti ricevuti.
         È poi importantissimo coltivare una «memoria deuteronomica», come la chiama papa Francesco nella Evangelii gaudium (n. 13). Cioè una memoria che non coltiva la nostalgia o i risentimenti, ma il ricordo vivo dei doni ricevuti gratuitamente.

         (GianCarlo M. Bregantini)

 

IL DEBOLE PRIVILEGIATO – 1 Agosto 2018

         Siamo condizionati da una cultura della «emergenza» che detta forme di chiusura e di rifiuto del «diverso».
         La tristezza, poi, cresce, quando sentiamo espressioni come queste, magari sul piazzale della chiesa, all’uscita della Messa domenicale: «Io non provo odio per nessuno! Io non sono razzista… ma immigrati e zingari, quelli li dovrebbero cacciar via. Disturbano, scippano, uccidono, vengono a rubarci il lavoro…».
         Chi pronuncia queste parole, è chiaro che si è lasciato corrodere dalla paura del diverso, dall’antipatia, dall’aggressività, dall’opposizione, dall’intolleranza. Non è ancora un odio diretto, ma è quella forma più sottile di avversione, che ci mette subito nell’atteggiamento di chi deve difendersi da un nemico.
         Nel Libro della Genesi, Giuseppe figlio di Giacobbe è agli occhi dei fratelli un privilegiato, accaparratore d’affetto, d’attenzioni e di preferenze. Il tarlo dell’odio separa sino a far sentire estranei tra loro i fratelli.
         Quante mamme, quanti papà a cui, insieme al rispetto, viene negato persino il saluto solo perché hanno teso con particolare vigore la mano al figlio più bisognoso di cure e d’attenzioni! Quanti preti di frontiera vengono criticati dalla gente perché si compromettono troppo nel loro ministero, mentre tutti stanno con la pietra in mano, pronti a scagliarsi contro «i malati di peccato». Preti che hanno sposato lo stile di Dio. E per Dio, l’amore non è mai abbastanza! E ogni uomo è il «preferito». E se è debole, diventa il «privilegiato»!

         (GianCarlo M. Bregantini)

PER FORMARE UN UNICO BOUQUET – 31 Luglio 2018

         Nel Libro della Genesi a Giuseppe è affidata una missione particolare. Il padre, Giacobbe, infatti lo invia ai pascoli di Sichem, per verificare la situazione dei suoi fratelli: «Vieni, ti voglio mandare da loro». Il giovane, con cuore limpido, subito risponde: «Eccomi». E concretizza quella disponibilità, con la risposta data al pastore incontrato per caso: «Cerco i miei fratelli» (36,16).
         La vocazione di Giuseppe, il suo progetto di vita si è ora delineato con chiarezza: cercare i suoi fratelli. Una risposta apparentemente pronunziata per caso, tecnica, rivela invece un mistero. Che durerà tutta una vita!   
         Mi piace qui parafrasare la “storiellina del tulipano giallo”. “Riconosci il tuo colore”. “Apprezza anche i colori dell’altro”, perché ogni colore è bello. Siamo diversi, ma ugualmente preziosi. Stima la diversità, coltiva le lingue, apri la tua cultura, non essere campanilista. Non essere invidioso né geloso.
         I vari colori si fanno più belli se “messi insieme”, in un unico grande bouquet di fiori. Aiuta a collaborare, impara a cooperare, sposa progetti comuni, credi che il bene è tale solo se è piantato per tutti. Il vaso di tulipano, con colori diversi, ti chiede di inserire il tuo lavoro “dentro il bene comune”, che è la vita dell’intera comunità. Di tutti e di ciascuno.

         (GianCarlo M. Bregantini)

 

 FRATERNITÀ RICONCILIATA – 30 Luglio 2018

         Nel Libro della Genesi, che si declina in chiave di relazioni fraterne, troviamo diverse storie di fratelli (e di sorelle, se consideriamo anche Lia e Rachele), con esiti diversi.
         Si inizia subito «col botto» nella vicenda di Caino e Abele, dove il fratello non solo non è riconosciuto come tale, ma addirittura viene eliminato, negando ogni tipo di relazione, per poi passare a una fraternità evitata, nella vicenda di Abramo e del nipote Lot (che lui però chiama fratello), quando gli propone di dividersi gli spazi vitali: «Non vi sia discordia tra me e te ( dice Abramo), tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il territorio? Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra io andrò a sinistra» (Gen 13,8-9).
         Nella vicenda di Giacobbe ed Esaù, la più vicina alla storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, incontriamo la fraternità riconciliata, che non porta all’annullamento delle caratteristiche negative che hanno innescato il conflitto, ma ci fa capire che è necessario andare oltre, non stare lì a contare i passi dell’altro, quando si ha a cuore la ricostruzione di una relazione interrotta, magari proprio per colpa dell’altro.
         Tutti questi personaggi trovano il loro compimento nelle vicende di Giuseppe venduto dai fratelli, che costituiscono il vertice di un percorso verso la fraternità che, dopo la distruzione, viene ritrovata.

(don Michele Tartaglia)

UNA STORIA UNICA – 28 Luglio 2018

         La chiamata è diversa per ognuno.
         La chiamata fatta a Zaccheo non è quella fatta a Pietro né quella fatta al giovane ricco. Ogni chiamata, ogni vocazione – le due parole coincidono – si innesta in effetti su una storia che è unica, unica storia cui nessun’altra si può sovrapporre, una storia intima e personale in cui ognuno è chiamato al modo suo, sul suo ritmo, con il suo dono proprio.
         Accanto a chi, con chi, come e a fare cosa, siamo chiamati?
         Forse lo sappiamo, e da molto tempo abbiamo già risposto, o forse non abbiamo ancora preso coscienza che anche noi eravamo chiamati. Forse siamo alla ricerca di qualcosa che dia senso alla nostra vita, o forse siamo troppo ricchi, troppo pieni di progetti o, al contrario, troppo angosciati per immaginarci di poter sentire qualcosa.
         Chiunque noi siamo, in qualunque situazione ci dibattiamo, siamo attesi come l’ospite di riguardo senza il quale la festa non può cominciare.

(Jean Vanier, “Alla sorgente delle lacrime”)

DALL’INCONTRO CON CRISTO NASCE L’AMORE – 27 Luglio 2018

 

         Partendo dall’incontro con Cristo potremo lasciare le rive note ed entrare a poco a poco nel mistero, amarci e amare gli altri, capaci di accogliere – dopo aver fatto di tutto per combatterla – la sofferenza, la nostra e quella degli altri.
         Partendo di là potremo imparare la speranza, cominciare ad avere fiducia, aprirci ala tenerezza. Fino alla riva delle beatitudini: «Beati i miti...» (Mt 5,5).

(Jean Vanier, “Alla sorgente delle lacrime”)