Nella solitudine possiamo sbarazzarci delle nostre impalcature: nessun amico con cui parlare, nessuna telefonata da fare, nessuna riunione cui presenziare, nessuna musica e nessun libro che mi possano distrarre, soltanto io – nudo, vulnerabile, debole, peccatore, deprivato, spezzato – un nulla. È questo nulla che devo affrontare nella mia solitudine, un nulla così spaventoso che tutto in me vorrebbe correre dai miei amici, al mio lavoro e alle mie distrazioni, in modo da poter dimenticare il mio nulla e darmi l’illusione che io valgo qualcosa. Ma questo non è tutto. Non appena decido di restare nella mia solitudine, pensieri sconclusionati, immagini che mi turbano, fantasie sconnesse e bizzarre associazioni mi rimbalzano nella mente come scimmie su un banano. La collera e l’avidità cominciano a mostrare le loro facce ripugnanti.
L’obbiettivo è perseverare nella mia solitudine, restare nella mia cella fino a che tutti i miei seducenti visitatori si sono stancati di battere alla mia porta e mi lasciano solo. L’Altare di Isenheim dipinto da Grünewald mostra con terrificante realismo i ghigni deformi dei molti demoni che tentarono Antonio nella sua solitudine. La lotta è reale perché il pericolo è reale. È il pericolo di vivere tutta la nostra vita come una lunga difesa dalla realtà della nostra condizione, uno sforzo incessante di convincere noi stessi della nostra rettitudine morale. Ma Gesù non è venuto «a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).
Questa è la lotta. È la lotta per morire al falso io.
(Henri J. M. Nouwen)