Nessuno potrebbe negare che una fissazione psicologica su se stessi, una morbosa introspezione, possano, in molte anime, mescolarsi ad una religiosità magari anche sincera.
Ma dal momento che la contemplazione infusa non esiste se non per grazia dell’amore di Dio amato più di ogni altra cosa, e per questo amore, è un vero e proprio controsenso accusare di una specie di egoismo trascendente coloro ai quali essa non dà in realtà che un supremo desiderio: essere col Cristo.
Lo spirito dell’ossessiva introspezione, del ripiegamento su se stessi è un male particolarmente frequente. Se guardiamo al nostro io invece di guardare a Dio, se sbarriamo il nostro cuore limitandoci a scrutare i nostri stati d’animo invece di trovare la pace cadiamo preda dell’inquietudine e rischiamo innumerevoli illusioni. Dobbiamo tornare su noi stessi, è vero, ma sotto lo sguardo di Dio per non procurarci la vana certezza di possedere tutto, tutte le dimensioni del nostro essere, e di realizzare da soli la nostra perfezione.
Non vi è dubbio: è necessario arrivare al dono totale di sé. È chiaro che nessuno potrà progredire nell’amore per Dio se non è costantemente vigile per vincere se stesso e per purificarsi di tutto ciò che, in lui, crea ostacolo alla carità.
Denise Brihat, Laici e contemplativi