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L’ANESTESIA STA SVANENDO. MI SONO SVEGLIATO, RESPIRO BENE – 12 Ottobre 2017

« PRIGIONIERO DEL MIO CORPO

E DELLE MIE SOFFERENZE

ECCO PERCHÉ HO DECISO COMUNQUE

DI SOPPORTARE TUTTO FINO ALLA FINE »

IL TESTAMENTO GIOIOSO DI UN SACERDOTE

 

di Padre Modesto Paris

 

L’anestesia sta svanendo. Mi sono svegliato, respiro bene. Quelli che vedo sono i miei amici di sempre. Sono angeli, ma non hanno le ali. Sono ancora vivo. Chiedo il computer. Voglio finire di scrivere le ragioni del mio sì alla vita. Mi viene in mente un racconto che mi ha fatto un giorno la caposala, trentina di nascita, genovese d’adozione, come me.

Mi parla di una ragazza che ha assistito trent’anni fa. Si chiama Paola: a 19 anni, presenta disturbi motori e neurologici. Non si cita la Sla perché non la si conosceva ancora. Soltanto nove anni dopo le comunicano di avere proprio quella malattia. Paola conosce Alessandro, mentre riesce ancora a camminare e gli rivela sin da subito di essere malata. Paola e Alessandro si sposano e poco tempo dopo decidono di avere un figlio.

Nel frattempo la malattia di Paola va avanti e non le permette più di camminare. I medici non sono favorevoli alla gravidanza perché pensano che possa essere troppo rischiosa. E invece nasce Luca un bimbo bellissimo e sano. Paola, poco per volta, perde tutte le sue funzionalità motorie e respiratorie, si deve sottoporre a vari interventi come quelli che ho affrontato io.  Alimentazione assistita e tracheotomia.

Oggi la sua è una bellissima famiglia. Luca ha 18 anni, Paola muove solo gli occhi e Alessandro sa usare con molta abilità tutte le macchine che tengono in vita la moglie. Tantissimi sono gli amici che a turno vanno ad aiutare la sua famiglia e a chi le chiede come possa vivere così lei risponde: « Io sono felice così ».

 

 

 

MI HANNO MESSO UN RUBINETTO NELLA PANCIA – 11 Ottobre 2017

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IL TESTAMENTO GIOIOSO DI UN SACERDOTE

 

di Padre Modesto Paris

 

Mi hanno messo un «rubinetto» nella pancia che permette di alimentarmi artificialmente. I canederli di mia madre e la pasta al pesto sono solo un ricordo. Ma riesco a farne  a meno. Sono pure dimagrito e tornato un figurino. Di Sant’Agostino cito spesso una frase: « È meglio aver meno desideri che avere più cose ». E mentre scrivo queste righe capisco quanto sia vera. Non so spiegarlo, ma mi sento fortunato. Vado avanti e dico sì anche al rubinetto. Prima l’una poi l’altra, si sono fermate le gambe. E poi il braccio sinistro. Da bravo trentino, come un montanaro su un sentiero, ho continuato a salire in vetta. Questa volta sono spinto da una carrozzina elettrica ultratecnologica che io chiamo Bcs come il mio primo trattore. Penso e ripenso all’ok che ho scritto sulla lavagnetta ai medici e il sì diventa sempre più mio: ho sempre osato nella vita. Mi sono sempre spinto oltre. Per questo per me il sì è venuto spontaneo. Lo dico e lo ripeto più volte a me stesso, chi mi conosce condivide. Chi mi vuole bene sorride orgoglioso di questo sì. Un infermiere mi ha sorpreso: ha detto che il dolore va sempre prevenuto con medicine ad hoc. Ma senza dolore e sacrificio, la vita è noia. Non mi sento un grande, ma un piccolo Modesto che ha sempre sognato oltre le stelle. Questa nuova macchina mi aiuterà a respirare e a mantenere il mio sorriso anche quando non potrò nemmeno fare ok con il pollice: con il cuore e con gli occhi sarà facile farmi capire da chi mi vuol bene. Sant’Agostino scrive: « Ama, e fa’ quello che vuoi ». Si ama con il cuore e con gli occhi. Quindi non cambierà nulla nemmeno questa volta. Tante sono le cime che ho scalato insieme ai ragazzi e agli adulti dei gruppi che in questi anni ho fondato. Ci sono vette che vedi sempre mentre stai salendo, scorgi i sentieri, sai benissimo dove si trova la meta perché l’hai raggiunta tante volte. Altre vette non le vedi, le immagini, le sogni. Alcune hanno bisogno di gambe buone, altre di un cuore grande, altre di grinta, altre di tanta fede. Gli infermieri mi chiudono il computer. Ho scritto tutta la notte. Sono esausto. È ora di andare sotto i ferri. E tutto quello che ho digitato forse non potrò leggerlo sfogliando Panorama. Porto con me in sala operatoria il fazzoletto promessa simbolo di appartenenza ai gruppi e una piccola croce di legno. È venerdì, sono le nove di mattino. Proprio il giorno e l’ora in cui Gesù è stato crocifisso. Ho paura, ma cerco di non farlo vedere.

VADO A RUOTA LIBERA – 10 Ottobre 2017

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IL TESTAMENTO GIOIOSO DI UN SACERDOTE

di Padre Modesto Paris

Vado a ruota libera. Metto in fila i pensieri che come un lampo hanno attraversato la mia mente, gli istanti prima del mio sì. In camera mia i ragazzi hanno appeso al soffitto un aquilone con una scritta. Così una frase che ho ripetuto tantissime volte a chi era in difficoltà, ora diventa uno sprone anche per  me quando apro le palpebre. «L’aquilone prende il volo solo con il vento contrario». In questi mesi l’ho guardata dalla mattina alla sera per ore e ore. Il vento, in questo periodo, è stato costantemente, ostinatamente, contrario. E proprio per questo ho continuato a volare.

La mia decisione per il sì alla respirazione artificiale non è arrivata subito. È frutto di un cammino in salita che dura da mesi. A ogni ostacolo è seguita sempre una soluzione. E la vita è andata avanti. E io sono stato felice.

Per prima cosa la malattia mi ha bloccato le corde vocali. Da quasi un anno non parlo più. Ma in mio aiuto è arrivato il comunicatore: un computer che parla al posto mio traducendo in messaggi audio i pensieri che digito sulla tastiera. Grazie a questo strumento tecnologico, per me la Messa non è mai finita. Ho potuto celebrare quasi tutte le domeniche. Anche in ospedale. Persino in diretta su Facebook. L’attenzione è addirittura aumentata. E ho visto tornare in chiesa tanti giovani che si erano smarriti. Poi ha smesso di funzionare la mia deglutizione e lo stomaco.

ANDRÒ IN PACE – 9 Ottobre 2017

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IL TESTAMENTO GIOIOSO DI UN SACERDOTE

 

di Padre Modesto Paris

 

   Mancano poche ore al mio intervento di tracheotomia. Alcuni giorni fa ho dovuto prendere una decisione che non prevede ripensamenti. Non si può più tornare indietro. Mai avrei pensato di affrontare questa scelta a 59 anni. Ma i dottori mi hanno detto chiaro e tondo che sono arrivato alla fine del mio sentiero. Manca poco. E se non mi faccio aiutare con un foro nella trachea per far passare un tubo da collegare a una macchina esterna, il mio corpo non ce la farà più a respirare in maniera autonoma. L’alternativa era una sola: finire la mia permanenza terrena in modo dolce, addormentato.

   Da due anni mi hanno diagnosticato la Sla, sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa progressiva che, un pezzo alla volta, ha bloccato tutte le mie funzioni motorie e vitali.

   I medici sono stati chiari: mi hanno detto che solo il 15 per cento delle persone nelle mie condizioni decide di continuare a lottare. Il mio sì alla vita, nonostante le statistiche, è stato però immediato, senza esitazioni. E non solo perché sono un uomo di fede, un frate agostiniano scalzo, ordinato sacerdote 33 anni fa da Papa Giovanni Paolo II. L’ho fatto perché amo la vita in ogni sua sfaccettatura.

   Ho puntato tutto il mio sacerdozio sull’esempio. Non potevo tirarmi indietro proprio ora. Per tutti i miei anni con il saio l’ho predicato in migliaia di Messe, in chiesa o in cima alle montagne. Agli adulti o ai giovani delle associazioni che ho fondato, ho sempre proposto un modello di vita basato su una fede viva aperta e gioiosa. Anche nelle difficoltà. Specialmente nelle difficoltà. Mentre sono sul letto su cui aspetto la chiamata per la sala operatoria, arriva una telefonata. È Guido. Il mio amico di sempre, compagno di tutte le mie avventure e « pazzie » nel volontariato. Lo conosco da quando ha cominciato a fare il chierichetto con me 40 anni fa. Io avevo 18 anni, lui 8. Ora è giornalista di Panorama. E nonostante abiti a 150 chilometri di distanza e abbia appena avuto un figlio, non ha mai smesso di credere ai miei sogni. Mi chiama e chiede se voglio raccontare a tutti i lettori perché ho detto sì. Perché non mi voglio arrendere. Se potessi ancora parlare ripeterei a gran voce queste parole di Papa Francesco: « Il dolore è dolore, ma vissuto con gioia e speranza ti apre la porta alla gioia di un frutto nuovo ». Non potendo urlare lo scrivo sul tablet che mio fratello Andrea sorregge. Uso tre dita della mano destra. L’unica parte di me che ancora riesco a muovere. Oltre agli occhi.

L’AGIRE NUOVO DEL CRISTIANO – 8 Ottobre 2017

   Nel campo dell’educazione della fede, occorre far risaltare l’unità tra la dimensione teologale e quella morale: è l’agire della nuova creatura, che l’incontro con Gesù Cristo fonda ed illumina. La morale cristiana va colta come frutto ed espressione della grazia pasquale, a cui lo Spirito ci apre. Più che ad un progetto di autoperfezione morale ed ascetica, ci si introduce alla docilità nel riconoscere gli impulsi dello Spirito per seguirli. Si chiede di accompagnare la persona alla scoperta e alla pratica delle esigenze morali che scaturiscono dalla vita nuova del battezzato e che maturano la nostra umanità. Nel cammino dinamico della sequela si assume la forma di Gesù Cristo, entrando nei suoi sentimenti. In particolare risaltano alcune dimensioni:

   La capacità di relazione e di comunicazione con gli altri nel rispetto delle diversità di ognuno; l’apertura a relazioni interpersonali gradualmente libere e mature.                                           

   Il senso ecclesiale di appartenenza  alla grande comunità del popolo di Dio, mediante l’inserimento nella Chiesa.

   La logica della croce, assunta come criterio per una sequela autentica e vissuta.

   La compassione verso gli ultimi e i poveri, la solidarietà.

   Il lavoro, che costruisce e trasforma il mondo e che mantiene la vita e l’ambiente naturale.

   La dimensione cristiana esalta la centralità dell’agape e della sapienza della croce, capace di mostrare il volto esigente della sequela di Cristo. In questa dinamica pasquale si può passare ad una fede adulta e pensata, su cui innestare un autentico percorso interiore (Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003).

MATURITÀ CRISTIANA – 7 Ottobre 2017

L’educazione della fede sviluppa in modo speciale la comunione con Dio, con gli altri, con la natura. Il nucleo centrale consiste in un itinerario in grado di far scoprire progressivamente la persona di Gesù Cristo, con il quale instaurare e approfondire una relazione profonda e personale, che continua il cammino di conversione permanente inaugurato nel Battesimo.

La relazione d’amore con Dio, scoperto in Gesù Cristo come Padre, abbraccia tutta la vita, chiamata a diventare ‘a lode della sua gloria’. La liturgia e la vita sacramentale costituiscono il luogo proprio di educazione ad una preghiera che voglia dirsi ed essere realmente cristiana. Si punta al superamento di forme individualistiche e intimistiche, per aprirsi al respiro ecclesiale e universale proprio della Liturgia. C’è una ricerca sapienziale e costante delle tracce della presenza di Dio nel fratello, nella natura, negli avvenimenti, nella storia personale. Si cerca una fedeltà graduale a tempi costanti di preghiera personale, l’iniziazione alla meditazione in particolare modo alla lectio basata sulla Parola di Dio, per sviluppare la capacità di ascolto e di risposta. Questa educazione alla preghiera aiuta la persona nella sua realtà di figlio di Dio nello Spirito Santo (Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003).

RAPPORTO CON SE’ STESSI – 6 Ottobre 2017

La serenità interiore è in relazione con la presenza nella persona di un quadro di valori, umani e cristiani che stimolano la crescita. La tensione verso i valori è da mettere in relazione con l’accettazione di sé, dei propri limiti e delle proprie capacità a diversi livelli (fisico, psichico e spirituale). A questa accettazione è connessa una giusta auto-valutazione sia per quanto riguarda i doni spirituali, che quelli naturali.

L’identità umana e cristiana va valutata come risultato dei valori perseguiti in rapporto al proprio essere attuale. Essa è visibile nella capacità di autonomia nello scegliere, nel ragionare, nel prendere posizione, nel saper parlare e ascoltare opportunamente, nella sicurezza o nell’insicurezza (eccessive o calibrate). Può essere considerata l’unità interiore della persona, la sua capacità di integrazione. Ci si può chiedere se i vari aspetti della personalità sono in armonia o vi sono rotture, conflitti, se le diverse aree (fisica, sessuale, psicologica, sociale-relazionale, intellettuale, etica, spirituale) siano coinvolte armonicamente. Il tono emotivo di cui la persona gode (contentezza, depressione, euforia, lamentela, aggressività, tristezza) può essere indice del livello di integrazione spirituale e umana raggiunto (Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003).

SPIRITO DI ORAZIONE E DEVOZIONE – 5 Ottobre 2017

La carità è l’anima di ogni formazione concreta, che trova nell’amore il suo principio unificatore: “Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”(1Gv 4,16).

La vita nello Spirito può essere vista come un continuo slancio d’amore verso Dio ed i fratelli. Perché essa possa fiorire in pienezza ha bisogno del suo ‘spazio’, inteso anche nel senso di ‘tempo’ opportuno e sufficiente da dedicare alla preghiera in modo esplicito; secondo la tradizione cristiana, sarà necessario curare la preparazione alla preghiera.

Alcuni elementi della formazione alla vita nello Spirito che si rivelano fondamentali nel nostro tempo sono il favorire l’interiorità: il silenzio, la solitudine e la preghiera. Il formare al discernimento nella vita quotidiana: verificare l’autenticità della vita interiore; sperimentare la capacità di resistenza nelle difficoltà; la lettura nella preghiera delle  proprie esperienze, in un profondo senso ecclesiale. Vivere una spiritualità di comunione, condividendo l’esperienza del Vangelo vissuto, gioie e fatiche, prove e frutti dello Spirito. Vivere il sine proprio con l’atteggiamento di Francesco che ha scelto ‘ciò che gli sembrava amaro’ e che poi gli si ‘cambiò in dolcezza di anima e di corpo’: accogliere i poveri, la compagnia delle persone che sono meno desiderate, l’uso intelligente del tempo, la sobrietà nei beni personali (Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003).

LA VOCAZIONE DELL’UOMO ALLA LUCE DELL’ANTROPOLOGIA FRANCESCANA – 4 Ottobre 2017

Il ruolo dell’uomo è centrale nella visione di San Francesco: non si parla mai di Dio senza che, allo stesso tempo, appaia la figura del suo partner umano, come se fosse impossibile incontrare l’uno senza l’altro. Questa relazione è centrata intorno al mistero della Trinità, in cui si rivela il dono che Dio fa di sé alla creatura nella forma della comunione. Un Dio che si dona completamente, si riveste di debolezza e povertà, nel senso di apertura radicale all’altro.  

La visione francescana dell’uomo è dinamica in ragione dell’opera dello Spirito santo, che conduce a pienezza il divenire ad ‘immagine e somiglianza’ di Dio inscritto nell’uomo sin dalla creazione e in vista di  Gesù Cristo che si è incarnato. La visione francescana è relazionale, soprattutto in quanto considera l’uomo come fratello: è nel contatto vitale e segnato dall’apertura all’alterità che l’uomo compie e approfondisce il pellegrinaggio verso di sé, che altrimenti gli resterebbe precluso. La visione francescana dell’uomo è segnata dalla dimensione della minorità: per accogliere l’altro nella sua integrità, occorre restare dinanzi a lui con umiltà, stimandolo superiore a se stessi; promuovere l’altro vuol dire ascoltarne anche le zone più fragili, convinti che il cammino della crescita resta sempre aperto, anche nella debolezza della persona.

L’esperienza della ferita del peccato e della morte dà ragione della debolezza dell’uomo, che lo pone tra miseria e grandezza, tra il desiderio di Dio e la ricaduta in se stesso. La lotta perché nell’uomo risplenda l’immagine originaria è quel cammino di sequela e di progressiva assimilazione a Gesù Cristo che il percorso formativo intende favorire (Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003).

LA VOCAZIONE DELL’UOMO ALL’INCONTRO CON IL DIO DI GESU’ CRISTO – 3 Ottobre 2017

Nella visione giudaico-cristiana l’essere umano è considerato ‘a immagine e somiglianza’ di Dio, capace di conoscere e amare il suo Creatore. Costituito dalla relazione fondamentale con Dio, esso è il ‘tu di Dio’. Per avere una buona conoscenza dell’uomo, dell’uomo autentico è necessario conoscere prima Dio stesso e per conoscere Dio è necessario conoscere l’uomo.

L’immagine è la dimensione incancellabile che rimane in chiunque, anche in colui che nega Dio; la somiglianza è l’elaborazione che ogni uomo compie in fedeltà alla grazia sull’immagine divina che è in lui. Noi rimaniamo sempre ‘ad immagine’, mentre diventiamo ‘a somiglianza’. Qui troviamo la radice della vita secondo lo Spirito e dell’agire morale dell’uomo nuovo in Cristo. L’uomo che vuole comprendere se stesso deve avvicinarsi a Cristo, deve appropriarsi della realtà dell’incarnazione e redenzione per ritrovare se stesso.

Al centro del cammino formativo sta la forma di vita di Gesù Cristo, storia di libertà che dischiude ad ogni uomo la possibilità di essere persona in pienezza. La forma di vita di Gesù Cristo culmina nel dono pasquale di sé, che ne svela il senso ultimo, mentre apre all’uomo la via dell’amore oblativo.  La forma di vita di Gesù fonda l’antropologia cristiana sui rapporti nuovi inaugurati dall’agape. Si tratta dell’amore maturo, capace di amare l’altro non per i propri fini, ma per promuoverlo nella sua crescita: un amore che è dono di sé senza riserve per la relazione con l’altro e la valorizzazione dell’altro: conduce a ridurre l’orizzonte del proprio io, che tende ad affermarsi a scapito dell’altro ( Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003).

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LA VOCAZIONE DELL’UOMO ALL’INCONTRO CON L’ALTRO – 2 Ottobre 2017   

L’uomo è considerato dalla tradizione antropologica occidentale essenzialmente come persona. Il concetto di persona rimanda al carattere relazionale dell’essere umano. L’uomo non trova in se stesso la propria ragion d’essere, né la sua completa realizzazione. Già per la corporeità che la connota, la persona umana è presente al mondo e ai suoi simili in un rapporto di reciprocità. Per questo l’uomo si ritrova al centro di una rete di relazioni, che va dall’ambiente in cui vive, agli altri uomini, alla dimensione trascendente. Il tipo di questa dimensione relazionale della persona è la relazione uomo-donna. È proprio attraverso questa fondamentale relazione che la persona si scopre chiamata alla reciprocità, al dialogo, all’incontro con l’altro. La dimensione sessuale assume così il valore peculiare dell’incontro e dell’integrazione con l’altro-da-sé.

Tanti dati positivi non possono non tener conto di quanto, nella medesima persona, contrasta in vario modo con quest’apertura e capacità di relazione. La stessa persona, fatta per la relazione, si ritrova spesso a vivere per se stessa, quando non nel conflitto con l’atro. Una mancata integrazione dei vari aspetti della personalità, fa sì che l’uomo sperimenti dolorosamente una divisione in se stesso, tra ciò che vede e riconosce come bene e ciò che contraddice questa sua aspirazione. In questa prospettiva antropologica, dalla quale ne deriva una di tipo pedagogico, si evidenzia anche il valore positivo del concetto di “crisi”. Essa può essere, infatti, proprio un’occasione positiva per integrare il proprio vissuto in un contesto di crescita.

 

( Dal piano per la formazione della Provincia Romana dei Frati Minori – 2003)

LA NOSTRA SPERANZA È CRISTO STESSO – 1 Ottobre 2017

Tutte queste intenzioni, le testimonianze ascoltate, le cose che ognuno di voi conosce nel suo cuore, storie di decenni di dolore e di sofferenza, le voglio porre davanti all’immagine del Crocifisso, il Cristo nero di Bojayá:

 

 

O Cristo nero di Bojayá,
che ci ricordi la tua passione e morte;
insieme con le tue braccia e i tuoi piedi
ti hanno strappato i tuoi figli
che cercarono rifugio in te.

 

O Cristo nero di Bojayá,
che ci guardi con tenerezza
e con volto sereno;
palpita anche il tuo cuore
per accoglierci nel tuo amore.

 

O Cristo nero di Bojayá,
fa’ che ci impegniamo
a restaurare il tuo corpo. Che siamo
tuoi piedi per andare incontro
al fratello bisognoso;
tue braccia per abbracciare
chi ha perso la propria dignità;
tue mani per benedire e consolare
chi piange nella solitudine.

 

Fa’ che siamo testimoni
del tuo amore e della tua infinita misericordia.
Amen.

 

(Papa Francesco, viaggio in Colombia, Liturgia di Riconciliazione – Parque Las Malocas – Venerdì, 8 settembre 2017)

 

UN CAMBIAMENTO POSSIBILE – 30 Settembre 2017

Tutti, alla fine, in un modo o nell’altro, siamo vittime, innocenti o colpevoli, ma tutti vittime, da una parte e dall’altra: tutti vittime. Tutti accomunati in questa perdita di umanità che la violenza e la morte comportano. Avete capito che anche i colpevoli di tante violenze sono delle vittime e avevano bisogno che loro fosse concessa un’opportunità. Quando l’avete detto, questa parola mi è risuonata nel cuore. E avete cominciato a studiare, e adesso lavorate per aiutare le vittime e perché i giovani non cadano nelle reti della violenza e della droga, che è un’altra forma di violenza. C’è speranza anche per chi ha fatto il male; non tutto è perduto. Gesù è venuto per questo: c’è speranza per chi ha fatto il male. Certamente, in questa rigenerazione morale e spirituale dei carnefici la giustizia deve compiersi. Come avete detto ma si deve contribuire positivamente a risanare questa società che è stata lacerata dalla violenza.

Risulta difficile accettare il cambiamento di quanti si sono appellati alla violenza crudele per promuovere i loro fini, per proteggere traffici illeciti e arricchirsi o per credere, illusoriamente, di stare difendendo la vita dei propri fratelli. Sicuramente è una sfida per ciascuno di noi avere fiducia che possano fare un passo avanti coloro che hanno procurato sofferenza a intere comunità e a tutto un paese. E’ chiaro che in questo grande campo che è la Colombia c’è ancora spazio per la zizzania. Non inganniamoci. Fate attenzione ai frutti: abbiate cura del grano e non perdete la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni allarmistiche. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché in apparenza siano imperfetti e incompleti (cfr Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 24). Anche quando perdurano conflitti, violenza, o sentimenti di vendetta, non impediamo che la giustizia e la misericordia si incontrino in un abbraccio che assuma la storia di dolore della Colombia. Risaniamo quel dolore e accogliamo ogni essere umano che ha commesso delitti, li riconosce, si pente e si impegna a riparare, contribuendo alla costruzione dell’ordine nuovo in cui risplendano la giustizia e la pace.

(Papa Francesco, viaggio in Colombia, Liturgia di Riconciliazione – Parque Las Malocas – Venerdì, 8 settembre 2017)

LE FERITE DEL CUORE – 29 Settembre 2017

Sono rimasto colpito quando, durante questa celebrazione, è stata portata in offerta una stampella. Mi ha colpito e mi sono commosso, per le parole che hanno accompagnato il gesto.

Le ferite del cuore sono più profonde e difficili da sanare di quelle del corpo. E ciò che è più importante, è che vi siete resi conto che non si può vivere nel rancore, che solo l’amore libera e costruisce. E in questo modo avete cominciato a guarire anche le ferite di altre vittime, a ricostruire la loro dignità. Questo uscire da voi stessi vi ha arricchito, vi ha aiutato a guardare in avanti, a trovare pace e serenità e anche un motivo per continuare a camminare. Vi ringrazio per il dono di questa stampella. Benché rimangano ancora le ferite, rimangano conseguenze fisiche delle vostre ferite, la vostra andatura spirituale è veloce e salda. Questa andatura spirituale non ha bisogno di stampelle; ed è rapida e salda perché pensate agli altri – grazie! – e volete aiutarli. Questa stampella è un simbolo di quell’altra stampella più importante, di cui tutti abbiamo bisogno, che è l’amore e il perdono. Col vostro amore e il vostro perdono state aiutando tante persone a camminare nella vita, e a camminare rapidamente come voi.

 

(Papa Francesco, viaggio in Colombia, Liturgia di Riconciliazione – Parque Las Malocas – Venerdì, 8 settembre 2017)

SPEZZARE LA CATENA DELLA VIOLENZA – 28 settembre 2017

L’oracolo finale del Salmo 85: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (v. 11) viene dopo il ringraziamento e la supplica in cui si chiede a Dio: Rinnovaci!

Grazie, Signore, per la testimonianza di coloro che hanno inflitto dolore e chiedono perdono; di quanti hanno sofferto ingiustamente e perdonano. Questo è possibile solo con il tuo aiuto e con la tua presenza, ed è già un segno enorme che tu vuoi ricostruire la pace e la concordia in questa terra colombiana. 

(Nella testimonianza che abbiamo riportato risulta molto chiaro che ci sono persone travolte da questa tragedia che …) vogliono mettere tutto il loro dolore, e quello di migliaia di vittime, ai piedi di Gesù Crocifisso, perché si unisca al loro e così sia trasformato in benedizione e capacità di perdono per spezzare la catena della violenza che ha regnato in Colombia. E hanno ragione: la violenza genera violenza, l’odio genera altro odio, e la morte altra morte. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile, e ciò è possibile soltanto con il perdono e la riconciliazione concreta. E voi ci avete dimostrato che questo è possibile. Con l’aiuto di Cristo, di Cristo vivo in mezzo alla comunità, è possibile vincere l’odio, è possibile vincere la morte, è possibile cominciare di nuovo e dare vita a una Colombia nuova. Grazie! Che gran bene fai oggi a tutti noi con le testimonianze della vostra vita! E’ il Crocifisso di Bojayá che vi ha dato la forza di perdonare e di amare, e vi ha aiutato a vedere nelle vostre ferire non solo il ricordo della loro morte ma la speranza che la pace trionfi definitivamente in Colombia. Grazie, grazie!

 

(Papa Francesco, viaggio in Colombia, Liturgia di Riconciliazione – Parque Las Malocas – Venerdì, 8 settembre 2017)