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RESTARE – 30 Giugno 2018

         Nella solitudine possiamo sbarazzarci delle nostre impalcature: nessun amico con cui parlare, nessuna telefonata da fare, nessuna riunione cui presenziare, nessuna musica e nessun libro che mi possano distrarre, soltanto io – nudo, vulnerabile, debole, peccatore, deprivato, spezzato – un nulla. È questo nulla che devo affrontare nella mia solitudine, un nulla così spaventoso che tutto in me vorrebbe correre dai miei amici, al mio lavoro e alle mie distrazioni, in modo da poter dimenticare il mio nulla e darmi l’illusione che io valgo qualcosa. Ma questo non  è tutto. Non appena decido di restare nella mia solitudine, pensieri sconclusionati, immagini che mi turbano, fantasie sconnesse e bizzarre associazioni mi rimbalzano nella mente come scimmie su un banano. La collera e l’avidità cominciano a mostrare le loro facce ripugnanti.
         L’obbiettivo è perseverare nella mia solitudine, restare nella mia cella fino a che tutti i miei seducenti visitatori si sono stancati di battere alla mia porta e mi lasciano solo. L’Altare di Isenheim dipinto da Grünewald mostra con terrificante realismo i ghigni deformi dei molti demoni che tentarono Antonio nella sua solitudine. La lotta è reale perché il pericolo è reale. È il pericolo di vivere tutta la nostra vita come una lunga difesa dalla realtà della nostra condizione, uno sforzo incessante di convincere noi stessi della nostra rettitudine morale. Ma Gesù non è venuto «a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).
         Questa è la lotta. È la lotta per morire al falso io.

(Henri J. M. Nouwen)

 

IL SENSO DELLA SOLITUDINE – 29 Giugno 2018

         Per capire il senso della solitudine, dobbiamo prima smascherare il modo in cui il concetto di solitudine è stato deformato dal nostro mondo. Ci diciamo a vicenda che abbiamo bisogno di un po’ di solitudine nella nostra vita. Quello cui pensiamo in realtà è, però, un tempo e un luogo per noi stessi, in cui non siamo disturbati dagli altri, in cui possiamo immergerci nei nostri pensieri, dare libero sfogo ai nostri lamenti e occuparci delle nostre cose personali, quali che siano. Per noi, solitudine più spesso significa privacy. Siamo giunti all’ambiguo convincimento che tutti noi abbiamo diritto alla privacy. La solitudine in tal modo diventa come una sorta di proprietà spirituale per la quale possiamo competere nel libero mercato dei beni spirituali. Ma c’è di più. Noi consideriamo la solitudine anche come un posto di rifornimento nel quale possiamo ricaricarci le batterie, o come l’angolo del ring dove le nostre ferite possono essere lenite, i nostri muscoli massaggiati e il nostro coraggio rinvigorito da slogans appropriati. In breve consideriamo la solitudine come un luogo in cui riacquistiamo energia per continuare la nostra incessante competizione nella vita.
         Ma questa non è la solitudine di san Giovanni il Battista, di Charles de Foucauld o dei fratelli di Taizé. Per loro la solitudine non è un luogo terapeutico privato. Piuttosto, è il luogo della conversione, il luogo in cui l’io vecchio muore e l’io nuovo viene generato, il luogo in cui avviene la manifestazione dell’uomo nuovo e della donna nuova.

(Henri J.M. Nouwen)

L’AIUTO CHE VIENE DALLA SOLITUDINE – 28 Giugno 2018

         La solitudine è la fornace della trasformazione. Senza solitudine noi restiamo vittime della nostra società e continuiamo a rimanere intrappolati nelle illusioni del falso io. Gesù stesso entrò in questa fornace. Qui egli venne tentato con le tre compulsioni del mondo: essere legato al contingente («di’ che questi sassi diventino pane»), essere spettacolare («tutti i regni del mondo io ti darò»). A quel punto Gesù proclamò Dio come l’unica fonte della sua identità («Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»). La solitudine è il luogo della grande lotta e del grande incontro, la lotta contro le compulsioni del falso io e l’incontro con il Dio che per amore offre se stesso come la sostanza dell’io nuovo.

(Henri J. M. Nouwen)

IL FALSO IO – 27 Giugno 2018

         Il laicismo è un modo di essere dipendenti dalle risposte del nostro ambiente. L’io laico o falso è l’io che è costruito, come dice Thomas Merton, dalle compulsioni sociali. ‘Compulsivo’ è effettivamente l’aggettivo migliore per definire il falso io. Esso indica il bisogno di continua e crescente affermazione. Chi sono io? Io sono colui che suscita simpatia e plauso, che è elogiato, ammirato, che è sgradito, odiato o disprezzato.
         La compulsione si manifesta nella paura sempre in agguato di fallire e nell’incessante preoccupazione di evitare l’insuccesso accumulando sempre più queste cose: più lavoro, più denaro, più amici.
         Queste stesse compulsioni stanno alla base dei due nemici principali della vita spirituale: la collera e l’avidità. Esse sono il versante segreto di un’esistenza laica, i frutti acerbi della nostra sottomissione al mondo profano. Cos’altro è al collera se non la risposta impulsiva all’esperienza dell’essere deprivati? Quando il mio senso dell’io dipende da quello che gli altri dicono di me, la collera è una reazione del tutto naturale ad una parola critica. E quando il mio senso dell’io dipende da quello che posso acquistare, l’avidità divampa quando i miei desideri vengono sfruttati. Perciò l’avidità e la collera sono le sorelle di un falso io prodotto dalle compulsioni sociali di un mondo non redento.
         Non è così strano che Antonio e i suoi monaci considerassero un disastro spirituale accettare passivamente i principi e i valori della loro società. Essi sono arrivati a capire quanto fosse difficile non solo per il singolo cristiano, ma anche per la chiesa stessa fuggire alle seducenti compulsioni del mondo. Quale fu la loro risposta? Essi si gettarono dalla nave che stava affondando e a nuoto riuscirono a salvare la vita. E il luogo della salvezza si chiama deserto, il luogo della solitudine.

 (Henri J. M. Nouwen)

 

LA STORIA DI SANT’ANTONIO – 26 Giugno 2018

         Sant’Antonio, il ‘padre dei monaci’, nato intorno al 251, era figlio di contadini egiziani. Quando ebbe circa diciott’anni, gli capitò di udire in chiesa le parole del vangelo: «Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri… poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Antonio comprese che quelle parole erano rivolte a lui personalmente. Dopo un periodo vissuto come un povero manovale ai margini del suo villaggio, si ritirò nel deserto, dove per vent’anni visse in completa solitudine. Nel corso di questi anni, Antonio dovette sopportare prove terribili. La corazza delle sue certezze superficiali si frantumò e l’abisso della malvagità si spalancò davanti a lui. Ma Antonio uscì vittorioso da queste prove, non tanto grazie alla propria forza di volontà o al suo eroico ascetismo, ma per il suo incondizionato abbandonarsi alla Signoria di Gesù Cristo. Quando emergeva dalla sua solitudine, la gente riconosceva in lui le qualità di un autentico uomo ‘sano’, integro nel corpo, nella mente e nello spirito. E si recavano in molti da lui per ricevere guarigione, conforto e consiglio. In vecchiaia, Antonio si ritirò in una solitudine ancor più profonda per essere completamente assorbito nella comunione diretta con Dio. Morì nel 365, più o meno all’età di 106 anni.

         (Henri J. M. Nouwen)

LA SPIRITUALITÀ DEL DESERTO – 25 Giugno 2018

         Arsenio era un romano molto colto, di dignità senatoria, che viveva alla corte dell’imperatore Teodosio come precettore dei prìncipi Arcadio e Onorio. «Quando era ancora a corte, l’abate Arsenio pregò Dio con queste parole: ‘Signore, mostrami la via per la quale essere salvato’. Arrivò a lui una voce che diceva: ‘Arsenio, fuggi, taci, vivi in solitudine: sono queste le radici dell’innocenza’. Dopo aver lasciato segretamente Roma, imbarcatosi per Alessandria e ritiratosi a vita solitaria (nel deserto), Arsenio tornò, con le stesse parole, a rivolgere la preghiera: ‘Signore, mostrami la via per la quale essere salvato’, e di nuovo sentì una voce che gli diceva: ‘Arsenio, fuggi, taci, vivi in solitudine: sono queste le radici dell’innocenza’». Le parole: «fuggi, taci», e « prega», sintetizzano la spiritualità del deserto. Indicano i tre modi di evitare che il mondo ci plasmi a sua immagine e sono, quindi, le tre vie alla vita nello Spirito.
                                                                                                                                          

(Henri J. M. Nouwen)

IL SILENZIO E L’ASCOLTO – 24 Giugno 2018

           La preghiera sgorga quando la persona si pone di fronte a sé in condizioni di distensione, di calma, di serenità, di pace.

           II silenzio e l’ascolto sono due premesse che ci consentono di entrare nella preghiera.

           Il silenzio aiuta infatti a mettere a tacere la nostra fantasia, il nostro essere, ad azzerare tutto ciò che può disturbare. Occorre entrare nella preghiera come poveri,  riconoscendo di non essere capaci di pregare. Un silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare.

 

L’uomo che ha estromesso Dio dai suoi pensieri, non può sopportare facilmente il silenzio. Per lui, che ritiene di vivere ai margini del nulla, il silenzio è il segno terrificante del vuoto. Ogni rumore, per quanto tormentoso e ossessivo, gli riesce più gradito; ogni parola, anche la più insipida, è liberatrice da un incubo.

Ricordiamoci però che questo uomo, incapace di silenzio e di affidamento al Mistero, convive in ciascuno di noi, con proporzioni diverse, insieme all’uomo il cui cuore tende e anela all’Invisibile. Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori. E’insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde.

 

Chi vuole incontrare Dio deve lottare per assicurare al cielo della sua anima quel prodigio di «un silenzio di mezz’ora circa» di cui parla il libro dell’Apocalisse (8,1).

Allora acquista la capacità dell’ascolto.

 

DUE MOMENTI PRIVILEGIATI DI INCONTRO CON DIO – 23 Giugno 2018

           Un momento privilegiato di incontro con Dio ce lo ha segnalato Gesù stesso: «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Matteo 6, 6).

Questo segreto è il raccoglimento. Per incontrare Dio, dobbiamo ritirare le nostre forze dentro di noi e concentrarci, sottrarci, per così dire, all’esterno. Concentrazione infatti vuol dire avere un centro unico: se riusciamo a metterci così davanti al Signore, da noi si sprigiona una capacità incredibile. Ci pare persino di essere diversi, con una lucidità e una chiarezza mai sperimentate, e comprendiamo meglio la domanda: «Chi sono io?».

Io mi trovo spesso distratto da visite, udienze, incontri, telefonate, notizie: ma nel momento in cui riesco finalmente a raccogliermi, vedo più chiaramente ciò che Dio vuole da me, ciò che debbo fare, ciò che veramente è importante. E allora riprendo forza.

 

Un secondo momento privilegiato per l’incontro col Signore è quello del dolore e della prova.

In genere, quando ci troviamo nelle difficoltà, ci lamentiamo, gridiamo, protestiamo. Se invece riuscissimo a raccoglierci e a dire: Signore, perché permetti questo?  Che cosa intendi fare della mia vita? Qual è la tua Parola su di me? Il nostro orizzonte si rischiarerebbe e sentiremmo che Dio è con noi anche nella prova.

«Chi sei tu, Signore?» «Io sono colui che non ti abbandonerà. Io ti proteggerò dovunque tu andrai».

E’ la risonanza di questa parola detta a noi, detta a me, che fà superare ogni paura. Allora non c’è più nes­suna strada difficile, non c’è più solitudine né sofferen­za fisica o morale che non si possano superare: e impariamo a pregare, troviamo il Signore, comprendiamo il nostro cammino.

 

LA PREGHIERA DELL’ESSERE – 22 Giugno 2018

           È necessario avere della preghiera una visione ampia: la preghiera è una realtà di cui nessun uomo ha scrutato i confini. Siamo sempre in cammino, e più si va avanti più si scoprono orizzonti, più si cammina e più si avanza.

           La preghiera, infatti, è essenzialmente un mistero e, come tale, viene da Dio.

La preghiera è la risposta immediata che sale dal cuore della persona umana quando si mette di fronte alla verità del suo essere.

Questo può avvenire in molti modi. Per qualcuno può essere un paesaggio di montagna, un momento di solitudine nel bosco, l’ascolto di una musica che fa dimenticare la realtà che ci circonda, che ci libera dalla schiavitù delle invadenze quotidiane, dalle cose che ci sollecitano continuamente; allora facciamo un respiro un po’ più ampio del solito, avvertiamo qualcosa di in­definibile che ci muove dentro, ci sentiamo pienamente noi stessi e, quasi istintivamente, eleviamo una preghie­ra: Grazie, mio Dio. E’ la preghiera naturale, la preghiera dell’essere.

Ogni nostra educazione alla preghiera parte, quindi, da un semplicissimo principio: l’uomo che vive a fondo l’autenticità del suo esistere, prova spontaneamente l’esigenza di esprimersi attraverso delle parole, mute o pronunciate, rivolgendosi a Colui che l’ha creato. Sta a noi cercare di favorire quelle condizioni che ci mettono in stato di autenticità, di cercare dentro di noi la voce misteriosa di Dio per ascoltarla e risponderle, di ravvivare il senso di gratitudine per il dono della vita.

 

Card. Carlo Maria Martini

 

LA CONTEMPLAZIONE CRISTIANA – 21 Giugno 2018

La contemplazione è una preghiera silenziosa che ha luogo nel segreto del cuore ed è direttamente subordinata all’unione con Dio. È un’ascesa dell’anima a Dio o piuttosto un’attrazione dell’anima verso di lui, per opera sua. Un riposo vigile che è prima di tutto il fine del movimento di discesa nell’animo umano dell’Amore non creato che si da all’anima; l’anima con un identico moto si dona e non possiede che donandosi. 

Nella contemplazione soprannaturale – e per mezzo del dono ricevuto e non di una tecnica – ciò che l’uomo raggiunge sono le fonti dell’essere, in Dio stesso, nell’eterno sgorgare della vita non creata.

La contemplazione Cristiana si fa soprattutto amando.

Denise Brihat, Laici contemplativi 

 

LA CONTEMPLAZIONE È RICERCA EGOISTICA DEL PROPRIO IO? – 20 Giugno 2018

Nessuno potrebbe negare che una fissazione psicologica su se stessi, una morbosa introspezione, possano, in molte anime, mescolarsi ad una religiosità magari anche sincera.

Ma dal momento che la contemplazione infusa non esiste se non per grazia dell’amore di Dio amato più di ogni altra cosa, e per questo amore, è un vero e proprio controsenso accusare di una specie di egoismo trascendente coloro ai quali essa non dà in realtà che un supremo desiderio: essere col Cristo.

Lo spirito dell’ossessiva introspezione, del ripiegamento su se stessi è un male particolarmente frequente. Se guardiamo al nostro io invece di guardare a Dio, se sbarriamo il nostro cuore limitandoci a scrutare i nostri stati d’animo invece di trovare la pace cadiamo preda dell’inquietudine e rischiamo innumerevoli illusioni. Dobbiamo tornare su noi stessi, è vero, ma sotto lo sguardo di Dio per non procurarci la vana certezza di possedere tutto, tutte le dimensioni del nostro essere, e di realizzare da soli la nostra perfezione.

Non vi è dubbio: è necessario arrivare al dono totale di sé. È chiaro che nessuno potrà progredire nell’amore per Dio se non è costantemente vigile per vincere se stesso e per purificarsi di tutto ciò che, in lui, crea ostacolo alla carità.

Denise Brihat, Laici e contemplativi 

LA CONTEMPLAZIONE È UNA QUESTIONE DI TECNICA? – 19 Giugno 2018

La contemplazione cristiana attinge prima di tutto allo spirito che “soffia dove vuole: ne senti la voce ma non sai né da dove venga né dove vada” (Gv 3,8) e coloro che sono nati dallo spirito sono come lo spirito, sono arrivati là dove non c’è più sentiero, si muovono nella stessa libertà e la loro contemplazione è un respiro d’amore che dipende unicamente da Colui che non può essere contenuto in nulla. Il che significa che si tratta di qualcosa di ben diverso, anzi l’esatto contrario di una qualunque tecnica.

La spiritualità naturale, come a esempio quella dell’India, ricorre a tecniche ben precise. Questo apparato di tecniche è la cosa che più colpisce di primo acchito coloro che cominciano a studiare la mistica comparata.

Orbene, una delle differenze più ovvie tra la mistica cristiana e le altre mistiche è proprio la sua indipendenza da qualunque tecnica o prescrizione.

Denise Brihat, Laici e contemplativi

CI VOGLIONO CONTEMPLATIVI PER LE STRADE – 18 Giugno 2018

Ci sono uomini e donne che sanno stare in silenzio davanti a Dio: essi sospendono per un momento il corso della loro attività e si concedono il tempo per contemplare la sua bellezza, le sue grandezze e la sua misericordia. Ci sono contemplativi che ignorano di esserlo! Eppure, come stelle in cielo, con la loro luce illuminano le tenebre del mondo.

Non sempre è possibile fermarsi, mi si dirà. Per essere un contemplativo non è necessario mettersi in ginocchio: si può benissimo meditare continuando a dedicarsi alle proprie occupazioni quotidiane, siano esse materiali o tecniche. Si tratti di un lavoro intellettuale o di una attività caritativa, il cuore può restare alla presenza di Dio, alla presenza delle tre Persone che lo abitano. Questa adorazione silenziosa è simile a quella degli innamorati che non smettono per un solo attimo di pensare alla loro amata. 

Denise Brihat, Laici e contemplativi