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LA BUONA NOVELLA – 5 Settembre 2017

   Gesù invita i suoi discepoli a occupare l’ultimo posto, a non cercare il potere, anche se fosse per il bene, ma a servire come degli schiavi: « Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato » (Lc 14,11). « Dio rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili » (Lc 1,52), dice Maria nel suo Magnificat.

   Gesù porta una visione completamente nuova. Dio non è più soltanto un essere buono e compassionevole, che veglia sui poveri e chiama i ricchi alla condivisione come, per esempio, già in Isaia:

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: « Eccomi! ». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono (Is 58,6-11).

(Jean Vanier, “Un’Arca per i poveri”)

UNA SPIRITUALITÀ CENTRATA SUL MISTERO DEL POVERO – 4 Settembre 2017

   Al tempo di Gesù c’erano molte persone povere, oppresse , cieche, rifiutate; molte persone lebbrose, sofferenti non soltanto per le loro piaghe, ma anche per il disprezzo e il rifiuto della società. Erano “intoccabili”, toccarli rendeva impuri. La loro malattia era considerata una punizione data da Dio. Tutte queste persone erano escluse, chiuse nella loro tristezza, in sensi di colpa e in una immagine di se stessi spezzata. Non avevano né avvenire né speranza. Gesù è venuto a rivelare a ciascuno che è importante e amato da Dio. Questa è la buona novella.

   Vi erano anche i ricchi, che detenevano potere. Erano soddisfatti di se stessi; erano realizzati, avevano privilegi e beni, si credevano benedetti da Dio. Due mondi separati da un muro: i ricchi che tendevano a disprezzare i poveri e questi ultimi che tendevano a chiudersi in questo rifiuto e nella loro tristezza.

(Jean Vanier, “Un’Arca per i poveri”)

SALUTO ALLA BEATA VERGINE MARIA – 3 Settembre 2017

Ave, Signora, santa regina, santa Madre di Dio, Maria
che sei vergine fatta Chiesa
ed eletta dal santissimo Padre celeste, che ti ha consacrata
insieme col santissimo suo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito;
tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene.
Ave, suo palazzo, ave, suo tabernacolo, ave, sua casa.
Ave, suo vestimento, ave, sua ancella, ave, sua Madre.

(Fonti Francescane, 259)

IL CONTESTO – 2 Settembre 2017

Ci sono tre ambiti esistenziali, tra loro interconnessi, che costituiscono il contesto spirituale da cui ha origine il Testamento. La coscienza di fede (il passato), nei confronti di una storia raccontata come frutto dell’iniziativa di Dio e della disponibilità operosa di Francesco nell’aderire a questa rivelazione, è la prima e fondamentale certezza che sorregge questo testo. Tale coscienza ha un diretto riflesso sulla seconda caratteristica esistenziale presente nel Testamento: la volontà di Francesco di accettare ancora (il presente) la fatica di tenere insieme sia l’obbedienza e la sottomissione ai frati e agli sviluppi dell’Ordine, sia la responsabilità nei confronti di un’intuizione da difendere e mantenere viva. In ogni caso, tutta l’operazione legata al Testamento non è vissuta da Francesco come tentativo disperato o arrogante di difendere una sua proprietà, ma come servizio appassionato verso i suoi frati (il futuro), fedele alla loro cura affidatagli da Dio. In questi tre elementi, mi sembra, si riassumono i sentimenti che hanno guidato l’uomo Francesco nella formulazione del suo Testamento.

L’APPARTENENZA – 1 Settembre 2017

«Chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché sacrifica la sua anima per i suoi fratelli»
(Fonti Francescane 150, 9)

 

La trama drammatica della Perfetta letizia, sembra potersi relazionare ad un altro scritto: l’esortazione proposta da Francesco ai suoi frati nell’Ammonizione III, a non abbandonare e separarsi dagli altri nonostante le possibili divergenze tra loro, costituisce il frutto dell’esperienza personale che lo stava accompagnando negli ultimi anni. Ed è proprio questa profonda coscienza di appartenenza ai suoi fratelli, dai quali non si separa nonostante le fratture e le tensioni per una fedeltà al mandato affidatogli da Dio, che sostiene e anima Francesco nello scrivere il Testamento. Rinuncia al “potere” giuridico, ma non rinuncia alla passione per i suoi frati, restando unito ad essi per servirli nell’unico e ultimo servizio che poteva offrire loro: indicare ad essi, con umiltà e risolutezza, la via che Dio gli aveva rivelato.

 

LA PASSIONE PER I SUOI FRATI – 31 Agosto 2017

          La passione per i suoi frati, quale atteggiamento di servizio a vantaggio dei loro bisogni, acquista un ennesimo valore e una rinnovata forza se si tiene presente quanto si è già ricordato sulle dolorose difficoltà di relazioni sviluppate tra Francesco e i suoi negli ultimi anni di vita del Santo. Abbiamo già avuto modo di rinviare al racconto della Perfetta letizia quale sintesi parabolica del grande travaglio vissuto da Francesco alla fine della sua vita. Il portinaio, quella notte di inverno freddo e fangoso, aveva ben capito che chi stava bussando era «frate Francesco» e, dopo un iniziale tentativo di mascherare il vero motivo del rifiuto ad aprirgli adducendo ragioni di ordine morale («non è ora decente questa di andare in giro»), gli rivela il vero perché di quella porta chiusa: «Non abbiamo più bisogno di te».

          La conclusione del testo è tanto famosa quanto ambigua nei suoi esiti: «Io ti dico che, se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questo è vera letizia e vera virtù e la salvezza dell’anima». La pazienza di cui parla Francesco non è semplicemente la capacità di sopportare l’ingiustizia con uno spirito di rassegnazione. Essa è molto di più e molto più impegnativa. È la capacità di restare accanto ai suoi frati, di prendersi cura di essi, di restare al servizio delle loro anime sebbene quella porta rimasta chiusa manifesti il tragico rifiuto della sua persona. Nonostante quelle dure parole rivoltegli dal portinaio, Francesco sa di non poter abbandonare i suoi frati: gli erano stati affidati da Dio.

LA PRIMA ESPERIENZA FRATERNA – 30 Agosto 2017

[116]     E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
[117]     E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più.
[119]     Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio.
[121]     Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace!”.

dal  TESTAMENTO DI FRANCESCO D’ASSISI (Fonti Francescane 116, 117, 119, 121)

I caratteri fondamentali della primitiva esperienza fraterna ricordarti da Francesco sono tanto semplici quanto in continuità con la sua intuizione personale: la scelta della povertà materiale cresciuta nella letizia, la preghiera semplice rivolta a Dio senza il bisogno di attirare la gente, la scelta della sudditanza e della minorità rifiutando ogni posizione di potere e di privilegio nella società, il lavoro manuale come modo quotidiano di mantenersi, ricorrendo all’elemosina come gli altri poveri, solo nei casi di necessità. 

Soltanto queste condizioni potevano rendere credibile ed efficace il messaggio di pace che avevano scelto quale tema fondamentale della loro evangelizzazione. Assumere scelte adeguate e fedeli alla propria vocazione minoritica per servire con prontezza ed efficacia alle richieste di misericordia e di evangelizzazione che vengono dal mondo, è possibile, dice Francesco ai suoi frati nel Testamento, solo se ripartirete ogni volta dalla storia incredibile che Dio ha fatto con me. Questa è l’”eredità preziosa” racchiusa nello scrigno del suo Testamento

FRANCESCO, UOMO RESPONSABILE – 29 Agosto 2017

Francesco, uomo responsabile – 29 agosto 2017

[110]     Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.
[111] E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: 
Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo 
qui e in tutte le tue chiese
che sono nel mondo intero,
e ti benediciamo, 
perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

dal  TESTAMENTO DI FRANCESCO D’ASSISI (Fonti Francescane 110 – 111)

Nel Testamento la prima e fondamentale notizia offerta da Francesco è molto chiara e precisa: non è stato lui a scegliere quella vita. Essa non fu il frutto di un calcolo e piano religioso per realizzare un progetto personale di vita migliore e più perfetta. Tutto gli fu dato da Dio.

Alla sorpresa dell’agire di Dio, corrisponde però la libertà e la risolutezza con cui Francesco aderisce all’iniziativa divina. Di fronte al Dio che fa la storia, vi è è un uomo che responsabilmente assume un ruolo attivo: prende posizione e aderisce agli avvenimenti riconosciuti come luoghi, misteriosi ma anche sicuri, del mostrarsi della volontà del Signore. In questo rapporto tra Dio e Francesco, nasce e si sviluppa l’esistenza cristiana definita nella sua globalità come un «vivere nella penitenza» cioè come un riconoscimento dell’agire sorprendente di Dio e un’adesione a Lui nella libertà per lasciarsi condurre dalla volontà divina.

Il racconto fatto dal Santo sulla sua crescita cristiana fissa due importanti doni ricevuti da Dio che costituirono la sua identità: Dio gli donò l’incontro con il volto dei lebbrosi per fare con essi misericordia e il volto del Cristo crocifisso ed ecclesiale per aderire ad esso nella fede. Gli fu chiesto di diventare un uomo di misericordia e un uomo di fede: essi divennero i caratteri risolutivi della sua persona. In ambedue i momenti, gli fu chiesto di uscire da sé, cioè di liberarsi dall’antico male, rappresentato dall’autocentratura, per guardare ad un altro volto, consegnandosi ad esso nella misericordia e nella fede. Solo un uomo che ha vissuto la misericordia con gli ultimi, mediante la logica del dono gratuito realizzato attraverso il meccanismo dell’abbassamento e della sostituzione, potrà scoprire il mistero del volto crocifisso e riconoscerlo anche nei tratti della Chiesa; come, d’altro canto, solo lo sguardo di Francesco che adora Colui che per noi si è fatto lebbroso e resta presente nell’umiltà dell’Eucaristia potrà, poi, non fuggire davanti a quei volti scandalosi e per questo emarginati da tutti.

L’EREDITA’ DI FRANCESCO – 28 Agosto 2017

          Francesco è alla fine della sua vita e prossimo alla morte. Da lui era nato qualcosa di incredibilmente grande e significativo per tutto l’occidente cristiano. Eppure tutto quel movimento di uomini e donne, che si ispiravano alla sua persona, era per lui sì motivo di gioia ma anche di fatica e di turbamento. Tra il sogno dell’inizio e le realizzazioni successive si stava creando una forma di malinteso e anche di divario. Gli sviluppi meravigliosi del suo movimento costituivano motivo di riflessione e confronto tra lui e i frati. Malato e stanco, Francesco sente che deve ridire nuovamente la sua esperienza e i suoi sentimenti, lasciandoli come riferimento. Con il Testamento si rivolge così ai suoi fratelli, al termine del suo tragitto terreno, per consegnare una sua memoria alla quale ricorrere dopo la sua morte, come se fosse la sua eredità.

          Francesco è un uomo che aveva compiuto la tappa finale del suo grande tragitto esistenziale, quella che lo aveva condotto alla radicale realizzazione della sua vocazione di essere pellegrino e forestiero, cioè un frate minore.

          L’ultimo viaggio incominciò in una notte fredda e piovosa quando, ritornato alla Porziuncola, stanco e bisognoso di tutto, scoprì definitivamente il grande divario che si stava consumando tra lui e i suoi frati; non solo non fu accolto, ma il frate portinaio gli mostrò anche con durezza e brutalità quale era ormai la situazione: «Noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te. [ … ] Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là» (Della vera e perfetta letizia FF 278). Di fronte a quella porta chiusa, il Santo «come Cristo sul monte degli ulivi» iniziò una lunga agonia spirituale quella che da molti autori è chiamata la ‘grande tentazione’. Dopo aver pernottato quella notte dai Crociferi, possiamo immaginare che il giorno dopo Francesco proseguì il suo itinerario di pellegrino, diventato forestiero a tutti, e andò sul monte della Verna per chiedere là, nella solitudine di quelle asprezze, cosa significasse per la sua vita quella grande tentazione e quale era la parola che Dio gli stava rivolgendo attraverso quella incomprensione e quel rifiuto.

          Cosa avvenne in quelle giornate alla Verna è difficile saperlo con precisione. Una cosa però è sicura: Francesco ottenne di nuovo la risposta che aveva costituito il programma della sua esistenza: camminare nudo e povero dietro Gesù Cristo. Quest’uomo rappacificato con se stesso, capace cioè di riascoltare nuovamente la chiamata ad  essere ‘frate Francesco’ e non il padrone della situazione, e nello stesso tempo di riaccettare da Dio il compito di essere responsabile dei suoi frati nella fatica di tale impegno, ridiscese dalla Verna per tornare ad Assisi tra i suoi con nuovi sentimenti, liberato ormai dalla grande tentazione di rassegnarsi o ribellarsi a quanto stava avvenendo nel suo Ordine, ma animato ancora una volta dall’intuizione di vita di essere ‘frate minore’ a vantaggio dei suoi frati. Il Francesco del Testamento ha dimenticato sia la ‘grande tentazione’ sia le stimmate: è il Francesco che sa di aver chiuso il cerchio della sua vocazione e di poter parlare non per sé, bensì per quel Cristo a cui aveva dedicato vent’anni della sua esistenza (Pietro Maranesi, L’eredità di Francesco).

SPUNTI DI LECTI0 DIVINA – 7. Una scuola di approssimazione – 27 Agosto 2017

Il Libro è altro dal soggetto che lo legge. È necessario perciò porsi con rispetto davanti ad esso. In che modo? Capendone le ragioni per cui è stato scritto, il genere letterario, le parole principali più usate. Ma ancora più fondamentale, a nostro avviso, è stare in attesa. Il Libro richiede una attesa perseverante e paziente. Non si può forzare la rivelazione del testo.

Per una lectio feconda

  • La Lectio deve coinvolgere tutta la persona, anche il corpo, il respiro, la postura.
  • La Lectio va compiuta, come abbiamo sopra ricordato, nella dinamica della relazion Insomma, c’è un interlocutore (Dio, Gesù Cristo, lo Spirito, l’autore dello scritto, una comunità credente che l’ha trasmesso) che mi sta davanti.
  • La Lectio non si improvvisa, ma va preparata. Ci vogliono tempi e momenti nell’arco della giornata a cui rimanere fe
  • La Lectio, infine, deve “trasgredire” la lettera per giungere a Colui che parla attraverso di Su questo aspetto, leggiamo in Eb 12,25: «Guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla». (don Sandro Carota osb)

 

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 6. La sottrazione all’immediato – 26 Agosto 2017

La Scrittura rapisce il lettore ma non in modo alienante. Lo sottrae dalla quotidianità e gli offre ciò che la quotidianità non sempre gli elargisce. L’esperienza della lettura permette così alla parte mancante del nostro io uno spazio di trascendimento. E qui vorrei ricordare l’esperienza di Niccolò Machiavelli, da lui stesso descritta in una lettera del 10 dicembre del 1513 all’amico Francesco Vettori. In questa lettera, Machiavelli esprime tutta la sua amarezza. Non è riuscito a riportare la repubblica a Firenze. I Medici, con papa Leone X hanno ripreso il potere. E allora, lontano dai frastuoni politici, passa le sue giornate ingaglioffendosi, ovvero si sente un miserabile, un perdente che trascina i suoi giorni stancamente e senza più motivazioni. Ma c’è qualcosa che lo tira fuori da questa miseria:

«Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittorio e in sull’uscio mi spoglio di questa veste quotidiana, piena di fango, e mi metto panni regali e curiali (…)».

Da una parte c’è una vita trascinata, dall’altra Machiavelli scorge una possibilità di salvezza. Insomma, è un miserabile (veste quotidiana) ma anche un re (panni regali e curiali). E prosegue:
«(…) mi metto panni regali e curiali e entro nelle antiche corti degli amichi uomini, dove sono da loro amorevolmente ricevuto, e mi pasco di quel cibo che è solo mio e per il quale io nacqui».

In questo angolo personale, dove Machiavelli si rigenera, incontra gli «antichi uomini», i grandi classici latini e greci, e della loro sapienza si nutre. Quel pane gli appartiene, per quel pane è nato … e non per altro, non per i surrogati, ma per un cibo vero, che nutre e offre senso e riscatto alla vita. E conclude: «E non sento per quattro ore alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte». Credo che anche noi dobbiamo ritrovare lo scriptorium, ovvero quell’angolo, all’interno della nostra giornata, dove rinfrancarci dalle amarezze e dagli errori della nostra vita; quell’angolo del cuore ove ascoltare la Parola di Dio, che per noi è cibo per il quale siamo nati e dove persino l’enigma della morte è rischiarato. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 5. Un dono – 25 Agosto 2017

La Scrittura è dono; dono di Dio, ma anche dono dell’uomo, in quanto interpretando consegna poi alle generazioni successive la ricchezza di quanto compreso e vissuto. L’uomo dà forma e deve dare forma a quanto Dio gli rivela. Questo dare forma da parte dell’uomo non stravolge il Libro, la Parola ricevuta. Lo si stravolge solo quando lo si trasforma in arma per colpire. La violenza è contraria al dono. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 4. Crocevia dei tempi – 24 agosto 2017

La Bibbia non è uno scritto che prevede il futuro (pensiamo ai testi apocalittici), ma apre al futuro, offre chiavi di lettura sul futuro. Meglio ancora, ci educa allo sguardo di Dio sulla storia, e ci permette di discernere il suo disegno di salvezza.
Quando l’uomo biblico guarda al passato non lo fa con nostalgia, ma riconosce in una storia la fedeltà del suo Signore. Questo apre alla speranza nel presente, talora sofferto, e tiene desto lo spirito sul domani, che certamente, in Dio, non sarà una catastrofe (come tanti predicatori ancora oggi sostengono), ma un’offerta di salvezza per tutti. (don Sandro Carota osb)