Francesco è alla fine della sua vita e prossimo alla morte. Da lui era nato qualcosa di incredibilmente grande e significativo per tutto l’occidente cristiano. Eppure tutto quel movimento di uomini e donne, che si ispiravano alla sua persona, era per lui sì motivo di gioia ma anche di fatica e di turbamento. Tra il sogno dell’inizio e le realizzazioni successive si stava creando una forma di malinteso e anche di divario. Gli sviluppi meravigliosi del suo movimento costituivano motivo di riflessione e confronto tra lui e i frati. Malato e stanco, Francesco sente che deve ridire nuovamente la sua esperienza e i suoi sentimenti, lasciandoli come riferimento. Con il Testamento si rivolge così ai suoi fratelli, al termine del suo tragitto terreno, per consegnare una sua memoria alla quale ricorrere dopo la sua morte, come se fosse la sua eredità.
Francesco è un uomo che aveva compiuto la tappa finale del suo grande tragitto esistenziale, quella che lo aveva condotto alla radicale realizzazione della sua vocazione di essere pellegrino e forestiero, cioè un frate minore.
L’ultimo viaggio incominciò in una notte fredda e piovosa quando, ritornato alla Porziuncola, stanco e bisognoso di tutto, scoprì definitivamente il grande divario che si stava consumando tra lui e i suoi frati; non solo non fu accolto, ma il frate portinaio gli mostrò anche con durezza e brutalità quale era ormai la situazione: «Noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te. [ … ] Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là» (Della vera e perfetta letizia FF 278). Di fronte a quella porta chiusa, il Santo «come Cristo sul monte degli ulivi» iniziò una lunga agonia spirituale quella che da molti autori è chiamata la ‘grande tentazione’. Dopo aver pernottato quella notte dai Crociferi, possiamo immaginare che il giorno dopo Francesco proseguì il suo itinerario di pellegrino, diventato forestiero a tutti, e andò sul monte della Verna per chiedere là, nella solitudine di quelle asprezze, cosa significasse per la sua vita quella grande tentazione e quale era la parola che Dio gli stava rivolgendo attraverso quella incomprensione e quel rifiuto.
Cosa avvenne in quelle giornate alla Verna è difficile saperlo con precisione. Una cosa però è sicura: Francesco ottenne di nuovo la risposta che aveva costituito il programma della sua esistenza: camminare nudo e povero dietro Gesù Cristo. Quest’uomo rappacificato con se stesso, capace cioè di riascoltare nuovamente la chiamata ad essere ‘frate Francesco’ e non il padrone della situazione, e nello stesso tempo di riaccettare da Dio il compito di essere responsabile dei suoi frati nella fatica di tale impegno, ridiscese dalla Verna per tornare ad Assisi tra i suoi con nuovi sentimenti, liberato ormai dalla grande tentazione di rassegnarsi o ribellarsi a quanto stava avvenendo nel suo Ordine, ma animato ancora una volta dall’intuizione di vita di essere ‘frate minore’ a vantaggio dei suoi frati. Il Francesco del Testamento ha dimenticato sia la ‘grande tentazione’ sia le stimmate: è il Francesco che sa di aver chiuso il cerchio della sua vocazione e di poter parlare non per sé, bensì per quel Cristo a cui aveva dedicato vent’anni della sua esistenza (Pietro Maranesi, L’eredità di Francesco).