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L’EREDITA’ DI FRANCESCO – 28 Agosto 2017

          Francesco è alla fine della sua vita e prossimo alla morte. Da lui era nato qualcosa di incredibilmente grande e significativo per tutto l’occidente cristiano. Eppure tutto quel movimento di uomini e donne, che si ispiravano alla sua persona, era per lui sì motivo di gioia ma anche di fatica e di turbamento. Tra il sogno dell’inizio e le realizzazioni successive si stava creando una forma di malinteso e anche di divario. Gli sviluppi meravigliosi del suo movimento costituivano motivo di riflessione e confronto tra lui e i frati. Malato e stanco, Francesco sente che deve ridire nuovamente la sua esperienza e i suoi sentimenti, lasciandoli come riferimento. Con il Testamento si rivolge così ai suoi fratelli, al termine del suo tragitto terreno, per consegnare una sua memoria alla quale ricorrere dopo la sua morte, come se fosse la sua eredità.

          Francesco è un uomo che aveva compiuto la tappa finale del suo grande tragitto esistenziale, quella che lo aveva condotto alla radicale realizzazione della sua vocazione di essere pellegrino e forestiero, cioè un frate minore.

          L’ultimo viaggio incominciò in una notte fredda e piovosa quando, ritornato alla Porziuncola, stanco e bisognoso di tutto, scoprì definitivamente il grande divario che si stava consumando tra lui e i suoi frati; non solo non fu accolto, ma il frate portinaio gli mostrò anche con durezza e brutalità quale era ormai la situazione: «Noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te. [ … ] Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là» (Della vera e perfetta letizia FF 278). Di fronte a quella porta chiusa, il Santo «come Cristo sul monte degli ulivi» iniziò una lunga agonia spirituale quella che da molti autori è chiamata la ‘grande tentazione’. Dopo aver pernottato quella notte dai Crociferi, possiamo immaginare che il giorno dopo Francesco proseguì il suo itinerario di pellegrino, diventato forestiero a tutti, e andò sul monte della Verna per chiedere là, nella solitudine di quelle asprezze, cosa significasse per la sua vita quella grande tentazione e quale era la parola che Dio gli stava rivolgendo attraverso quella incomprensione e quel rifiuto.

          Cosa avvenne in quelle giornate alla Verna è difficile saperlo con precisione. Una cosa però è sicura: Francesco ottenne di nuovo la risposta che aveva costituito il programma della sua esistenza: camminare nudo e povero dietro Gesù Cristo. Quest’uomo rappacificato con se stesso, capace cioè di riascoltare nuovamente la chiamata ad  essere ‘frate Francesco’ e non il padrone della situazione, e nello stesso tempo di riaccettare da Dio il compito di essere responsabile dei suoi frati nella fatica di tale impegno, ridiscese dalla Verna per tornare ad Assisi tra i suoi con nuovi sentimenti, liberato ormai dalla grande tentazione di rassegnarsi o ribellarsi a quanto stava avvenendo nel suo Ordine, ma animato ancora una volta dall’intuizione di vita di essere ‘frate minore’ a vantaggio dei suoi frati. Il Francesco del Testamento ha dimenticato sia la ‘grande tentazione’ sia le stimmate: è il Francesco che sa di aver chiuso il cerchio della sua vocazione e di poter parlare non per sé, bensì per quel Cristo a cui aveva dedicato vent’anni della sua esistenza (Pietro Maranesi, L’eredità di Francesco).

SPUNTI DI LECTI0 DIVINA – 7. Una scuola di approssimazione – 27 Agosto 2017

Il Libro è altro dal soggetto che lo legge. È necessario perciò porsi con rispetto davanti ad esso. In che modo? Capendone le ragioni per cui è stato scritto, il genere letterario, le parole principali più usate. Ma ancora più fondamentale, a nostro avviso, è stare in attesa. Il Libro richiede una attesa perseverante e paziente. Non si può forzare la rivelazione del testo.

Per una lectio feconda

  • La Lectio deve coinvolgere tutta la persona, anche il corpo, il respiro, la postura.
  • La Lectio va compiuta, come abbiamo sopra ricordato, nella dinamica della relazion Insomma, c’è un interlocutore (Dio, Gesù Cristo, lo Spirito, l’autore dello scritto, una comunità credente che l’ha trasmesso) che mi sta davanti.
  • La Lectio non si improvvisa, ma va preparata. Ci vogliono tempi e momenti nell’arco della giornata a cui rimanere fe
  • La Lectio, infine, deve “trasgredire” la lettera per giungere a Colui che parla attraverso di Su questo aspetto, leggiamo in Eb 12,25: «Guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla». (don Sandro Carota osb)

 

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 6. La sottrazione all’immediato – 26 Agosto 2017

La Scrittura rapisce il lettore ma non in modo alienante. Lo sottrae dalla quotidianità e gli offre ciò che la quotidianità non sempre gli elargisce. L’esperienza della lettura permette così alla parte mancante del nostro io uno spazio di trascendimento. E qui vorrei ricordare l’esperienza di Niccolò Machiavelli, da lui stesso descritta in una lettera del 10 dicembre del 1513 all’amico Francesco Vettori. In questa lettera, Machiavelli esprime tutta la sua amarezza. Non è riuscito a riportare la repubblica a Firenze. I Medici, con papa Leone X hanno ripreso il potere. E allora, lontano dai frastuoni politici, passa le sue giornate ingaglioffendosi, ovvero si sente un miserabile, un perdente che trascina i suoi giorni stancamente e senza più motivazioni. Ma c’è qualcosa che lo tira fuori da questa miseria:

«Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittorio e in sull’uscio mi spoglio di questa veste quotidiana, piena di fango, e mi metto panni regali e curiali (…)».

Da una parte c’è una vita trascinata, dall’altra Machiavelli scorge una possibilità di salvezza. Insomma, è un miserabile (veste quotidiana) ma anche un re (panni regali e curiali). E prosegue:
«(…) mi metto panni regali e curiali e entro nelle antiche corti degli amichi uomini, dove sono da loro amorevolmente ricevuto, e mi pasco di quel cibo che è solo mio e per il quale io nacqui».

In questo angolo personale, dove Machiavelli si rigenera, incontra gli «antichi uomini», i grandi classici latini e greci, e della loro sapienza si nutre. Quel pane gli appartiene, per quel pane è nato … e non per altro, non per i surrogati, ma per un cibo vero, che nutre e offre senso e riscatto alla vita. E conclude: «E non sento per quattro ore alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte». Credo che anche noi dobbiamo ritrovare lo scriptorium, ovvero quell’angolo, all’interno della nostra giornata, dove rinfrancarci dalle amarezze e dagli errori della nostra vita; quell’angolo del cuore ove ascoltare la Parola di Dio, che per noi è cibo per il quale siamo nati e dove persino l’enigma della morte è rischiarato. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 5. Un dono – 25 Agosto 2017

La Scrittura è dono; dono di Dio, ma anche dono dell’uomo, in quanto interpretando consegna poi alle generazioni successive la ricchezza di quanto compreso e vissuto. L’uomo dà forma e deve dare forma a quanto Dio gli rivela. Questo dare forma da parte dell’uomo non stravolge il Libro, la Parola ricevuta. Lo si stravolge solo quando lo si trasforma in arma per colpire. La violenza è contraria al dono. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 4. Crocevia dei tempi – 24 agosto 2017

La Bibbia non è uno scritto che prevede il futuro (pensiamo ai testi apocalittici), ma apre al futuro, offre chiavi di lettura sul futuro. Meglio ancora, ci educa allo sguardo di Dio sulla storia, e ci permette di discernere il suo disegno di salvezza.
Quando l’uomo biblico guarda al passato non lo fa con nostalgia, ma riconosce in una storia la fedeltà del suo Signore. Questo apre alla speranza nel presente, talora sofferto, e tiene desto lo spirito sul domani, che certamente, in Dio, non sarà una catastrofe (come tanti predicatori ancora oggi sostengono), ma un’offerta di salvezza per tutti. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 3. Un mondo senza confini – 23 Agosto 2017

La Scrittura è un mondo che non può essere mai esaurito del rutto. Questo è chiaro. Ma c’è anche un altro aspetto da tener presente. La Scrittura non è la realtà; la descrive ma non è la realtà descritta. La Scrittura è un codice che interpreta la realtà, come abbiamo già ricordato. Il Libro è un atto secondo, il racconto di un evento già accaduto e che nessuno ha visto. Pensiamo a Genesi che descrive la creazione del cielo e della terra. Questo deve portare ad un superamento del puro letteralismo. Gadamer diceva che la Scrittura è la “storia degli effetti”. Il racconto interpreta e ogni generazione che si sussegue interpreta. Non c’è niente di definitivo in ciò che la Scrittura descrive. C’è sempre un quid di incompiuto. La Scrittura, nella sua incompiutezza, ha però in se stessa un frammento escatologico. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 2- L’apertura – 22Agosto 2017

Ogni pagina sacra mi fa entrare perciò in un universo di senso più grande, mi permette un accesso sempre maggiore alla verità. Per giungere alla verità del testo bisogna però rimanere interiormente aperti (docibilitas). Chi assumesse un testo fondatore come la Bibbia in modo integralista non solo si precluderebbe la verità, ma giungerebbe a distruggere anche gli altri. Guai ad assumere uno scritto rivelato come monopolio di verità. In tal caso avrebbe ragione B. Brecht quando diceva che dalle biblioteche possono uscire i massacratori. (don Sandro Carota osb)

SPUNTI DI LECTIO DIVINA – 21 Agosto 2017

Leggere un testo  
Corsa significa leggere un testo biblico?
Cosa comporta la lettura e quando effettivamente un testo è letto?
Dobbiamo partire da un dato: l’uomo.
Qual è la caratteristica dell’uomo? Quella di esistere. Esistere, dal latino ex-sistere, significa “porsi fuori”, essere eccedenti.
Ma anche la Scrittura è una eccedenza; è un oggetto e allo stesso tempo è una promessa. Quindi, in quanto promessa, esce, eccede … In questa promessa il soggetto (Dio) non appare, quindi la Scrittura è un lascito, una eredità, un testamento. Ma esistere per l’uomo significa soprattutto interpretare. L’uomo esiste interpretando. Chi lo aiuta nella decifrazione del reale? La Scrittura, il Libro. Ma ad un patto: che l’uomo entri in dialogo. Ecco allora il valore
della lectio, della lettura come dinamica di relazione.
Ma cos’è un testo biblico, e come porsi davanti ad esso? Mettiamo in risalto, in modo sintetico, sette aspetti, consegnandovi oggi il primo.

1 . La rivelatività

Ogni pagina della Scrittura sacra è una rivelazione di Dio e dell’uomo.
E quando Dio si dice allo stesso tempo, a differenza dell’uomo, si dona. Il dirsi di Dio, come sappiamo, si è fatto carne (cf Gv 1,14) e da carne è poi divenuto Libro. Il Verbo fatto Libro permette a noi di accedere alla conoscenza di Dio (cf Gv 1,18). Ma nella Scrittura l’uomo perviene anche alla conoscenza di sé. Lo coglie molto bene l’orante del Salterio: «Nel rotolo del libro su di me è scritto» (Sal 40,8b).
Commenta Erri De Luca: «Leggere i libri sacri dà a volte la sorpresa di trovare se stessi in certi versi. Allora ci si sente raggiunti come d’estate dal frammento di cometa che s’incendia proprio davanti ai nostri occhi spalancati al buio». (don Sandro Carota osb)

LA BENEVOLENZA DI DIO – 20 Agosto 2017

“Poiché la tua grazia vale più della vita” (Sal 63, 4): “la tua benevolenza vale più della vita” è il grido di giubilo dei miseri e degli abbandonati, di chi è in pena e. di chi porta un peso oberante; è l’urlo di desiderio dei malati e degli oppressi; è il canto di lode dei disoccupati e degli affamati nelle grandi città; è la preghiera di ringraziamento dei pubblicani e delle prostitute, dei peccatori pubblici e privati.

Se vogliamo comprendere la benevolenza come dono di Dio, allora dobbiamo intenderla come responsabilità verso i fratelli. È già molto se abbiamo capito che la benevolenza di Dio ci conduce in una battaglia, che non è qualcosa che riceviamo e poi semplicemente abbiamo, possediamo, cosicché continuiamo a vivere un po’ più felici, un po’ più ricchi, ma in sostanza immutati.

Immaginiamo che proprio nel momento in cui noi ringraziamo Dio per la sua benevolenza nei nostri confronti, suonino alla porta, e vi sia là qualcuno che volentieri vorrebbe anch’egli ringraziare Dio per i doni più miseri, ma a cui questi sono stati negati e che con i suoi figli patisce la fame e va a letto amareggiato. Che ne sarà in un simile momento della nostra preghiera di ringraziamento? Vorremo forse dire che Dio è con noi misericordioso e con lui adirato, oppure che il fatto di avere ancora qualcosa da mangiare dimostra che abbiamo ottenuto presso Dio una posizione speciale e favorita? Ciao Dio misericordioso ci guardi dalla tentazione di una simile riconoscenza! Egli ci conduca alla vera comprensione della sua benevolenza.

Dio ci chiama alla responsabilità e noi rifiutiamo, perché siamo attaccati più noi stessi che a Dio!

Ma ora avviene il miracolo più grande che il mondo conosca. Quando ci siamo separati da Dio, in questo luogo la sua benevolenza ci segue e ci si rivela di nuovo come la promessa eterna di Dio in Gesù Cristo, oltre ogni colpa, oltre ogni vita. Soltanto colui che nel buio della colpa, dell’infedeltà, dell’ostilità nei confronti di Dio si sente toccato da quell’amore che mai finisce, che tutto perdona e che, oltre ogni miseria, indica il mondo di Dio, questi conosce veramente e pienamente cosa sia la benevolenza di Dio.  (Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare)

LA PAROLA DI DIO RIVENDICA IL MIO TEMPO – 19 Agosto 2017

Non esiste fermata: ogni dono, Ogni conoscenza che ricevo mi spinge soltanto più a fondo nella parola di Dio. Per la parola di Dio ho bisogno di tempo, per comprendere bene i precetti di Dio devo spesso riflettere a lungo Sulla sua parola.

La parola di Dio rivendica il mio tempo, Dio stesso è entrato nel tempo e ora vuole che anch’io gli dia il mio tempo. L’essere cristiano non è questione di un momento, ma necessita di tempo. Dio ci ha dato la Scrittura, da cui noi dobbiamo conoscere la sua volontà;

la Scrittura vuole essere letta e meditata, ogni giorno di nuovo, la parola di Dio non è una somma di eterni enunciati universali che potrei aver presenti in ogni momento, ma è ogni giorno nuova e rivolta a me nella ricchezza infinita dell’interpretazione. (Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare)

LA VIA DI DIO – 18 Agosto 2017

Le vie di Dio sono le vie che egli stesso ha percorso e che noi ora dobbiamo percorrere con lui. Dio non ci lascia percorrere alcuna via che egli stesso non abbia percorso e su cui non ci preceda. È il cammino spianato da Dio e da Dio protetto quello su cui egli ci chiama; pertanto esso è davvero la sua via.

Con Dio non si resta fermi, ma si percorre una via. O si procede oppure non si è con Dio. Dio conosce l’intero cammino, noi conosciamo soltanto il passo successivo e il fine ultimo. Non c’è sosta: ogni giorno, ogni ora si va avanti: La vita di chi ha posto il suo passo su questa via è diventata un viaggio. Si va per pascoli erbosi e per la valle oscura, ma il Signore condurrà sempre sul giusto cammino (cf. Sal 121, 3) e “non lascerà vacillare il tuo piede” (Sal 121, 3).

(Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare)

STA’ IN SILENZIO DAVANTI AL SIGNORE E SPERA IN LUI – 17 Agosto 2017

È volontà di Dio che coloro che camminano nei suoi comandamenti stiano bene. Non è segno di una fede forte e matura, se questo enunciato ci causa imbarazzo, se diciamo che Dio ha in serbo per noi cose più grandi che preoccuparsi del nostro benessere. Ci sono cristiani che vogliono essere più devoti di Dio stesso; parlano volentieri di lotta, abnegazione, sofferenza e croce, ma provano quasi un imbarazzo per il fatto che la sacra Scrittura non soltanto possa parlare di questo, ma tratti addirittura assai spesso della felicità dei devoti, del benessere dei giusti. Dicono allora che ciò sarebbe veterotestamentario e superato. La prima ragione del loro imbarazzo però risiede nel fatto che il loro cuore è troppo angusto per cogliere tutta la benevolenza di Dio, troppo angusto per onorare Dio anche nell’abbondanza dei doni terreni che egli consente che ottenere a coloro il quali vivono nella sua legge. Essi vogliono ammaestrare la sacra Scrittura e si privano con ciò della piena gioia della loro condizione di cristiani, negando a Dio il ringraziamento dovuto per la sua grande benevolenza.

Quando il nostro salmo promette benessere, felicità e beatitudine a coloro che vivono nella legge di Dio intende che ciò sia preso alla lettera. Naturalmente può parlare in tal modo soltanto chi si accontenta bei doni di Dio come essi giungono, finché gli permettono anche solo continuare a vivere. Soltanto al cuore soddisfatto tutto andrà sempre bene: “quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci”.

Beati non perché non abbiamo difetto, ma perché ricevono tutto dalla mano di Dio. “Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui”(Sal 37, 7). (Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare)

 

LA SOFFERENZA – 16 Agosto 2017

Il Salterio (i salmi) ci insegna a presentarci nel modo giusto a Dio nelle diverse sofferenze che il mondo ci procura. Grave malattia e totale abbandono da parte di Dio e degli uomini, minaccia, persecuzione, prigionia e ogni miseria immaginabile sulla terra: tutto ciò è noto ai salmi. Essi non negano la sofferenza, non si illudono al riguardo con pie parole, ma la mantengono come dura tentazione della fede, anzi talvolta non vedono altro al di là della sofferenza e tutti se ne lamentano con Dio.
Nei salmi non si mostra una troppo rapida rassegnazione alla sofferenza. Si passa sempre attraverso combattimento, angoscia, dubbio. Viene scossa la certezza nella giustizia di Dio, che lascia che i devoti siano colpiti dalla sventura, mentre permette agli empi di sfuggirla liberamente, e si mette in dubbio persino la volontà buona e misericordiosa di Dio. Troppo incomprensibile è il suo agire, ma anche nella più profonda disperazione Dio resta l’unico interlocutore. Non si attende aiuto dagli uomini né il sofferente perde di vista, nella sua autocommiserazione, l’origine e il fine di ogni miseria, ossia Dio. Egli combatte contro Dio per Dio. Al Dio irato viene rinfacciata infinite volte la sua promessa, la sua precedente benevolenza, la gloria del suo nome tra gli uomini.
Se sono colpevole, perché Dio non perdona? Se sono innocente, perché non pone fine al tormento e non dimostra la mia innocenza ai nemici? A tutte queste domande non vi è qui una risposta di tipo teorico, come neppure nel Nuovo Testamento. L’unica reale risposta si chiama Gesù Cristo e questa risposta nei salmi viene già implorata. Tutti questi sono infatti accomunati dall’addossare su Dio ogni pena e tentazione: “Non ce la facciamo più a sopportarla, prendila da noi e portala su di te, tu soltanto puoi averla vinta con la sofferenza”; questo è lo scopo di tutti i salmi di lamentazione. Essi invocano colui il quale si è fatto carico su di sé della malattia e ha sopportato tutte le nostre infermità, Gesù Cristo; lo predicano come l’unico ausilio nella sofferenza, perché in lui Dio è presso di noi.
Gesù Cristo non è soltanto il fine della nostra preghiera, bensì egli è anche compresente nel nostro stesso pregare. Egli, che ha sopportato ogni miseria, l’ha condotta di fronte a Dio e per amore nostro ha pregato in nome di Dio. Ora sappiamo che non c’è più sofferenza sulla terra in cui Cristo non sia con noi, soffrendo e pregando insieme a noi come l’unico che ci può portare soccorso (Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare).

PADRE NOSTRO – 15 Agosto 2017

Incontriamo il linguaggio di Dio in Gesù Cristo nella sacra Scrittura. Se vogliamo pregare con certezza e gioia, la parola della sacra Scrittura dovrà essere la solida base della nostra preghiera. Qui sappiamo che Gesù Cristo, Parola di Dio, ci insegna a pregare. Le parole che vengono da Dio saranno i gradini salendo i quali giungiamo a lui.

Alla richiesta dei discepoli, “Signore, insegnaci a pregare!” (Lc 11,1), Gesù ha dato loro il Padre nostro (cf. Mt 6,9-13; Lc 11,2-4). In esso è contenuto tutto il pregare. Ciò che rientra nelle suppliche del Padre nostro è ben pregato, ciò che in esse non ha posto non è preghiera. Tutte le preghiere della sacra Scrittura sono riassunte nel Padre nostro, sono ricomprese nella sua ampiezza smisurata. Non sono dunque rese superflue dal Padre nostro, ma ne rappresentano la ricchezza inesauribile, come il Padre nostro ne è il coronamento e l’unità (Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare).

INSEGNACI A PREGARE – 14 Agosto 2017

“Signore, insegnaci a pregare!” (Lc 11,1). Così i discepoli si rivolgevano a Gesù. In tal modo confessavano di non essere in grado, da soli, di pregare. Devono impararlo. “Imparare a pregare” ci suona contraddittorio: o il cuore è così traboccante che inizia a pregare da sé – diciamo – oppure non si imparerà mai. Si tratta tuttavia di un pericoloso errore, oggi certo ampiamente diffuso nella cristianità, per cui il cuore saprebbe pregare per natura. Scambiamo allora il desiderio, la speranza, il sospiro, il lamento, la gioia – tutte cose che il cuore può certamente fare da sé – con la preghiera. Così però scambiamo terra cielo, uomo e Dio. Pregare non significa semplicemente sfogare il cuore, ma trovare la via verso Dio e parlare con lui con cuore colmo o anche vuoto. Nessuno può riuscirci da solo; per questo ha bisogno di Gesù Cristo (Dietrich Bonhoeffer, Imparare a pregare).