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HANA LA YAZIDA – L’inferno è sulla terra – 13 Novembre 2017

Hana, giovane donna yazida, infermiera in un ospedale di Duhok, il 3 agosto 2014 era a Sinjar a visitare la sua famiglia, quando sono arrivati i guerriglieri dell’ISIS. In quell’occasione, come molte altre donne della minoranza yazida, ha perso il fratello, la madre e non sa dove sia finita la sorella, che come lei è stata presa prigioniera e poi venduta come schiava. Dopo vicende assai dolorose Hana riesce a scappare e a salvarsi dal suo aguzzino. Il libro narra di lei nel suo attuale presente, mentre vive a Duhok e lavora al campo profughi di Khanke, dovendo nel medesimo tempo fare i conti con le sue ferite interiori dovute alle sevizie subite d parte dei Daesh, gli uomini neri dell’ISIS, che hanno abusato più volte di lei, ma anche con la sua voglia di ritrovare uno spiraglio di normalità e felicità. Il suo raccontare, ricco di dettagli, diventa un affresco della vita e della società nel Kurdistan, permettendo al lettore di entrare nell’anima di un popolo del quale si sente parlare dai giornali e dalle televisioni per gli eventi di guerra di questi nostri martoriati giorni.

(HANA LA YAZIDA – L’inferno è sulla terra, di Claudia Ryan)

LA LEGGE DELLO SPIRITO – 11 Novembre 2017

     “C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio». Gli rispose Gesù: «In verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»” (cfr. Gv 3, 1-3).

 

            Nicodemo è attratto dai prodigi che Gesù compie. Ma Gesù non si lascia incantare da simili apprezzamenti e gli rimprovera la sua inettitudine a comprendere, nonostante sia dottore in Israele.

 

            Nicodemo si aggrappa a forme legalistiche di religione. Lui conosce la legge. Esercita un “potere spirituale”. Ma le certezze e la legge possono anche chiuderci in noi stessi, nell’autocompiacimento della conoscenza e di sentimenti di rettitudine e superiorità. Questo può impedirci di ascoltare le persone e di essere aperti alle nuove strade di Dio.

            Al “sappiamo” di Nicodemo, Gesù propone un altro modo di essere e di vivere: il modo di “non sapere”, di “rinascere dall’alto”.

 

            E’ necessario rinascere dallo Spirito, in quanto solo lo Spirito ci rende capaci di intendere le cose spirituali, senza lasciarci guidare da principi puramente umani. Lo Spirito interviene nello spazio della nostra povertà e insicurezza, ispirandoci a dire o a fare cose che non avevamo programmato.

 

 Intuito e ragione. 

«Fin da quando eravamo giovani ci è stato insegnato ad essere autonomi, competenti e a pianificare la nostra vita, a volte con chiare certezze morali e religiose. Tali certezze danno sicurezza, questo è importante e necessario. Tuttavia, Gesù sta affermando un nuovo sentiero che implica rischi, insicurezza e vulnerabilità. Implica intuito e fiducia più che ragione.

Una volta, un cronista televisivo mi chiese come capii di dover lasciare la marina militare per seguire Gesù, come seppi che la mia vocazione era di vivere con persone disabili. Lo sorpresi, chiedendogli in risposta: “Lei è sposato? Perché ha chiesto a questa donna in particolare di essere sua moglie?”. Era confuso. Gli dissi: “Ci sono momenti nella nostra vita in cui non ragioniamo sulle cose, ma sappiamo, nel profondo del nostro cuore, che questa è la cosa giusta da fare”.

Sentiamo o intuiamo delle cose. Esse non sono programmate. Non possiamo controllare lo Spirito, dobbiamo lasciarci guidare da lui. Questo ci porta ad assumere dei rischi, a vivere in comunione con Dio e con gli altri.

 “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne…Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé: contro queste cose non c’è legge” (Gal 5,16.22-23)».

                                                                                     

                                                                                                                              Jean Vanier

 

 

 

CORPO E CUORE: LUOGHI DI MERCATO? – 10 Novembre 2017

 “Gesù salì a Gerusalemme e trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio e disse ai venditori: «Portate via queste cose e non fate della casa del padre mio un luogo di mercato» (Gv 2,13-16).

 

            Gesù salendo al Tempio, casa del Padre, lo vede ridotto a “supermercato del religioso”, dove la gente sta facendo del denaro un idolo.

 

            Gesù grida anche contro la profanazione del nostro corpo. Noi essere umani siamo chiamati a essere la “casa”, la dimora di Dio. “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio?…Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1Cor 6,19).

                                  

            Etty Hillesum, una giovane donna ebrea uccisa ad Auschwitz, aveva un senso profondo del valore di ogni persona come “casa” di Dio. Durante la deportazione, scrisse che il suo unico desiderio era di aiutare le persone a scoprire il tesoro che c’è in ognuno di loro, ossia che ogni persona è chiamata ad essere la “casa di Dio”. “Ti prometto, mio Dio, che cercherò di trovare una “casa” e un tetto per Te in quante più case possibili. Ci sono così tante case vuote oggi, dove ti porterò come ospite d’onore”.

  

            La minaccia del mondo moderno è l’opprimente commercializzazione.

            Il mondo commerciale e pubblicitario cerca di formare la nostra cultura, i nostri pensieri, la nostra immaginazione, la nostra vita. Per vendere vengono usati immagini e cliché seducenti e accuratamente studiati che sembrano risvegliare nella gente caotici elementi di sessualità, di violenza e di sete di potere.

            I grandi centri commerciali, allettano a comprare più di quanto si ha effettivamente bisogno. Stanno sostituendo chiese e templi come luoghi in cui la gente si riunisce.

            La televisione offre solo sicurezza e promesse di felicità immediata, dove evoca il desiderio e il bisogno di cose non essenziali, facili da usare, cui è difficile resistere.

            Il denaro è usato per coltivare un forte individualismo: la ricchezza è per me, per la mia famiglia e per il mio gruppo!

Oggi sembriamo aver perso il senso del ruolo e della dignità dei nostri corpi. Molti di noi non sono consapevoli dello spazio sacro dentro di noi. Questo luogo, che è il più profondo in tutti noi, è il cuore, il luogo più vero della nostra persona, il luogo della pace interiore dove dimora Dio e dove riceviamo la luce della vita e i sussurri dello Spirito di Dio. E’ il luogo in cui facciamo le scelte di vita e da cui nasce il nostro amore per gli altri.  

Poiché la nostra società diventa sempre più rumorosa e affaccendata, rischiamo di dimenticare questo luogo silenzioso e sacro dentro di noi. Può essere profanato. Diventa come un luogo di mercato, un centro commerciale, invaso da bisogni superficiali e da tutti i generi di banalità.   

Rischiamo anche di profanare il corpo degli altri. Non li vediamo più come sacra dimora di Dio che ci chiama a un profondo rispetto, ma piuttosto come oggetti di desideri e fantasie, come merci da essere comprate.

La pena nel cuore di Gesù, quando vede il Tempio di Gerusalemme trasformato in un luogo di mercato, è la stessa di oggi quando vede i cuori e i corpi diventati un luogo di mercato, e non più fonte di vita e amore per gli altri.

L’ALLEANZA TRA DIO E L’UOMO: UNA FESTA DI NOZZE – 9 Novembre 2017

         “Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, Gesù disse ai servi: «Riempite d’acqua le giare e portatene al maestro di tavola». E come l’ebbe assaggiato, si accorse che l’acqua era diventata vino” (cfr. Gv 2,1-9).

 

            Gesù porta i discepoli prima di tutto a una splendida festa, a un banchetto di nozze. E’ lì che cominciano il loro viaggio di fede.

 

            Per Gesù il matrimonio non è una prigione di faticosa fedeltà, ma il segno di una unione sacra, avvolta nell’amore, che rende capaci le persone di crescere nel perdono, nella tenerezza, nella gentilezza e nella compassione.

            E’ un’alleanza d’amore, la stessa che c’è tra Dio e ogni uomo.

             Il vino che viene a mancare è l’amore dell’uomo che viene meno. Nel trasformare l’acqua in vino, Gesù rivela che vuole cambiare l’acqua della nostra debole e infedele umanità nella gioia e fedeltà di una relazione di amicizia con Lui: così scopriamo che siamo amati e che possiamo imparare ad amare come ama Lui.      

           

            Il bisogno di amare e di essere amati.

           

“Questo è il desiderio più profondo dentro ognuno di noi, più profondo anche del nostro bisogno di apparire forti e potenti. Quando la gente non si sente amata, cerca di essere ammirata.

 

            La nostra sete di amore, di essere amati, può facilmente essere deviata e diventare perversa. Coloro che lavorano nel campo della pubblicità “usano” questo profondo desiderio di amore e illudono l’uomo con  immagini di donne stupende e di uomini belli e forti per vendere e per attirare la gente.

 

            Siamo tutti più o meno fragili e feriti nei nostri affetti e nella nostra capacità di metterci in relazione. Ogni volta che entriamo in una relazione, assumiamo dei rischi. L’amore è il dono di sé ad un altro. Desideriamo fortemente l’ “amore”, ma la relazione e l’impegno ci spaventano.

 

            Se coltiviamo in noi il germe dello Spirito, accoglieremo la fatica e la gioia di una relazione fedele e duratura che ha come direzione l’amore di Dio.

 

            Gesù che porta i suoi discepoli a questa festa di nozze è la nostra speranza. Il nostro desiderio d’amore,  che risveglia in noi la sete di un amore eterno e infinito, non è irraggiungibile e schiacciato dai nostri limiti e dalle nostre fragilità. Non ci inganniamo se crediamo nell’amore: l’amore è possibile”.

                                                                                                                            Jean Vanier

 

UNA FEDE ADULTA – 8 Novembre 2017

        «Il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni: nulla è definitivo e l’ultima misura di tutto è solo il proprio io e le sue voglie.

            Noi, invece, abbiamo un’altra misura. il Figlio di Dio, il vero uomo, è Lui la misura del vero umanesimo.

            “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. E’ quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità» (Benedetto XVI).

            Gesù è il “vero uomo” che chiama l’umanità a partecipare alla sua vita divina.

            E’ da qui che la Chiesa deve muoversi. Non si tratta di inventare un nuovo programma. Il programma c’è già e si incentra in Cristo stesso da conoscere, amare e imitare per vivere con Lui in amicizia.

            La Chiesa non cercherà certo né di piacere né di conformarsi al mondo. Deve testimoniare il primato di Dio su tutte le cose. “La Chiesa del ventunesimo secolo o sarà contemplativa o non sarà affatto”.

            Senza lo Spirito Santo, cioè senza profezia, possiamo fare di Dio stesso un idolo, strumentalizzandolo e modellandolo a nostro piacimento. Così ogni istituzione, anche la più santa, senza profezia non dà vita all’uomo. Senza l’apertura allo Spirito, il “cuore di pietra” non diviene “cuore di carne”.     

            La stessa legge di Dio può servire per generare in noi sentimenti di superiorità, forme legalistiche di religione: Gesù, al Tempio, vedrà la casa del Padre trasformata in un luogo di mercato e si imbatterà negli uomini della legge, i farisei, che caricavano gli altri di pesi insormontabili.

Gesù, prima di inviare i discepoli ad annunciare il Suo messaggio di amore e perdono, vuole che stiano con lui, che abitino con lui e diventino suoi amici, in modo che non annuncino tanto una teologia o una dottrina, ma una persona: Gesù. Una persona che amano, una persona con cui hanno una relazione viva, una persona che trasforma la loro vita. Attraverso la preghiera noi manteniamo questa relazione viva con Gesù, quello “stare con Lui” che ci apre e trasforma la nostra vita.

TESTIMONI DI GESU’ – 7 Novembre 2017

Coloro che sono testimoni di Gesù non annunciano ideologie o dottrine proprie.

Non cercano seguaci per se stessi o la propria gloria.

Non manipolano la gente o impongono agli altri le proprie idee o il proprio stile di vita.

Cercano piuttosto di portare le persone verso Gesù.

Sanno che il Figlio dell’uomo è venuto a condurci dentro una nuova visione dell’umanità. Un mondo dove il successo non è la cosa più importante della vita e dove si cerca di superare competizione, rivalità e avidità.

Parlano con chiarezza, verità e coraggio, persino di fronte all’opposizione o alla derisione.

I testimoni raccontano di come Gesù trasforma la loro vita, spezzando le barriere della paura e del peccato che li chiudono in se stessi; raccontano di Gesù che sana i loro “cuori di pietra”, dando loro “cuori di carne” e li conduce all’amore e alla compassione.

I testimoni di Gesù sono uomini e donne che vivono davvero quello che annunciano, che danno testimonianza della presenza di Dio più con la loro vita che con idee o con parole.

Gesù dice che la gente riconoscerà i suoi discepoli

dall’amore che avranno gli uni per gli altri. 

 

                                                                                       Jean Vanier

CHE CERCATE? – 6 Novembre 2017

Due discepoli seguivano Gesù. “Gesù allora si voltò e disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete»” (Gv 1,37-39).

 

Che cercate?”.

Queste sono le parole che Gesù dice ad ognuno di noi. Anche noi, come i discepoli, siamo chiamati a seguire Gesù – «Venite e vedrete» – giorno dopo giorno, non sempre sapendo dove ci conduce, ma fidandoci di Lui. A poco a poco ci chiama a scoprire chi è Lui e chi siamo noi.

 

Tutto inizia con una relazione personale con Gesù.

 

Egli è venuto ad offrirci la sua amicizia, rivelandoci quanto siamo amati dal Padre. Chiama l’uomo, ferito dal peccato, alla beatitudine, alla gioia, ad un’alleanza d’amore di cui è segno il banchetto di nozze a Cana. Qui conduce i primi discepoli, a una festa, segno dell’unione sponsale fra Dio e l’uomo.

 

Dio è scandalosamente diverso da quello che noi pensiamo, non corrisponde all’attesa di chi sogna un Dio potente che stermina i malvagi e premia i buoni (e chi si salverebbe?). E’ invece “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (Gv 1,29).

Siamo chiamati a essere miti seguaci dell’agnello, non gente di potere. L’agnello romperà il muro della paura, della violenza, del peccato che imprigiona le persone in se stesse e le incita a cercare la propria gloria.

 

Lo Spirito Santo, lasciatoci da Gesù, ci rende capaci di profezia cioè di cogliere in noi, negli altri e in ogni evento la presenza di Dio. Scopriamo di essere amati così come siamo: quando ci rendiamo conto che non dobbiamo essere intelligenti, potenti o di successo per essere amati, allora possiamo vivere in verità, venire alla luce ed essere guidati dallo Spirito di Dio.

RELAZIONI SANE – 5 Novembre 2017

Aprirsi a relazioni sane, ad amicizie sincere: è un’altra raccomandazione dei maestri spirituali per uscire dall’accidia. Ciò che invece è sempre deplorata è la familiarità indiscreta e malsana che si spende in pettegolezzi e induce a peccare. E’ importante avere relazioni ricche; le relazioni «povere», infatti, impoveriscono chi le esprime. Vale io detto evangelico: a chi ha sarà dato, mentre a chi non ha sarà tolto anche quello che ha (Lc 8,18).

Avere relazioni sane con persone significative per il loro livello umano, affettivo, spirituale, intellettuale, culturale è sempre arricchente. Questo vale nei rapporti personali, ma è vero anche se consideriamo la vita di una comunità di presbiteri, un presbiterio. «Il segno dell’autenticità di un’amicizia in una comunità, è che la vita di tutta la comunità ne è accresciuta e ne è illuminata». In fin dei conti, pure per le nostre relazioni e per le nostre amicizie vale ciò ch’è stato ricordato in principio, circa l’affetto illuminante in noi dell’incontro con Dio. Le amicizie che si chiudono in rapporti duali e non riscaldano anche gli altri e le relazioni che non illuminano gli altri sono malate di filautìa; sono narcisistiche e vanno verso la morte.

 

L’Eucarestia

 

Ha scritto E. Bianchi: «Io credo che il rimedio per eccellenza rimanga l’eucaristia: eucaristia come esercizio di rendimento di grazie, eucaristia come rapporto con le cose dono di Dio, eucaristia come sacrificium laudis pieno di stupore contemplativo nei confronti del “Dio” che “è amore” (1Gv 4,8.16). L’acedia è l’esatto contrario dell’eucaristia, dello spirito di ringraziamento: incapace di cogliere il rapporto con lo “spazio” e il senso delle cose, chi è preda dell’acedia vive nella a-charistìa, nell’incapacità a stupirsi della bellezza, dell’amore e, quindi, nell’incapacità a rendere grazie».

(tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).

ATTENDERE SPESSO ALL’ORAZIONE – 4 Novembre 2017

Il desiderio radicato nel nostro essere creature è il desiderio di Dio. L’essenza dell’accidia, annotava J. Ratzinger, «è la fuga da Dio, il desiderio di essere solo con se stesso e con la propria finitezza, di non essere disturbato dalla vicinanza di Dio». Se l’accidia spinge a fuggire da Dio, occorre reagirvi tenendo sempre viva nella propria storia quotidiana la relazione con Dio, l’incontro con Dio mediante la preghiera. «La preghiera continua è la rovina dell’accidia», sentenzia Giovanni Climaco.

Orationi frequenter incumbere, prescrive la Regola di San Benedetto: «Attendere spesso all’orazione» (4,56). E’ necessario prendersi del tempo per Dio, come faceva Gesù quando lasciava non soltanto le folle, ma anche i suoi discepoli per il dialogo col Padre. Occorre che, come dice la versione latina di un testo di Origene, omissis omnibus Deo vacemus: «tralasciando ogni cosa, ci rendiamo liberi per Dio».

Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto fu preso dall’acedia e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: «O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?». Ora, sporgendosi un po’ Antonio vide un altro come lui che sedeva e lavorava, poi si alzava dal lavoro e pregava, poi di nuovo si metteva seduto a intrecciare corde e poi di nuovo si alzava a pregare. Era un angelo del Signore mandato a correggere Antonio e a dargli coraggio. Ed egli udì l’angelo che diceva: «Fa’ così e sarai salvo». All’udire queste parole, fu preso da grande gioia e coraggio, e facendo così si salvo.

 (tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).

TERAPIA PER L’ACCIDIA – 3 Novembre 2017

   L’accidioso è uno che si è inacidito nei confronti di tutto ciò che è spirituale. Egli ha perduto la memoria perché si è distaccato dalla Parola di Dio: non prega più, non legge più la Scrittura, ha abbandonato la lectio divina… mentre il Signore aveva raccomandato: «bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita» (Deut 4,9).

   L’accidioso è uno che ha abbandonato il luogo dell’ascolto ed ha perciò negato la sua identità di homo a Deo vocatus. Il demonio meridiano gli ha fatto interrompere il cammino che aveva iniziato, gli ha fatto perdere la bussola.

   Sfuggire all’accidia e non lasciarsene irretire… Quali indicazioni? Da un poeta ora raccolgo la proposta a non far sì che la propria vita divenga una stucchevole estranea.

 

   E se non puoi la vita che desideri

   cerca almeno questo

   per quanto sta in te: non sciuparla

   nel troppo commercio con la gente,

   con troppe parole e in un viavai frenetico.

 

   Non sciuparla portandola in giro

   in balìa del quotidiano

   gioco balordo degli incontri

   e degli inviti,

   fino a farne una stucchevole estranea.

 

   La proposta, in sostanza, è quella di prendersi cura di sé; di non abbandonarla, la vita, alla mercé del tempo, dell’esteriorità, della «quantità», al moltiplicarsi di pettegolezzi e delle chiacchiere. Kavafis suggerisce di dare un tocco di sensatezza, di quiete, di attenzione, di riserbo… È una terapia «laica», certo, ma si potrebbe farne motivo di riflessione in qualche nostro gruppo giovanile.

   (tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).

L’ESITO DEL NARCISISMO E’ L’ACCIDIA – 2 Novembre 2017

Nella nostra società l’accidia ha preso le forme del conformismo sociale e dell’eversione verbale, della curiosità distratta – che impropriamente è fatta valere come divulgazione – anziché della conoscenza accurata delle cose. Quest’ultima – in qualunque modo la si rivolti – esige fatica. L’accidioso non sa faticare. Soprattutto non si sa dedicare. Nel nostro tempo vi sono uomini che non sanno coltivare a lungo neppure un amore.

L’orizzonte entro il quale mi propongo di rimanere è quello dell’incontro con Dio, avendo come scopo quello di sottolineare l’importanza della custodia del desiderio di Dio.

L’accidia, infatti, è «una tristezza corrosiva del desiderio di Dio».

Il primo approccio sarà, in ogni caso, di tipo terminologico. Il termine acedia, o accidia deriva dal greco e letteralmente vuol dire «senza dolore/cura». Indica, perciò, assenza di sensibilità, partecipazione, coinvolgimento e connota, quindi, indolenza, noncuranza, svogliatezza e, nel senso che acutamente gli darà san Tommaso, anche il disgusto nell’operare e, dunque, la noia che assale chi è demotivato.

Altri autori spirituali vi annettono ulteriori caratteristiche, come la cura eccessiva per la propria salute, rapporto compromesso col cibo (bulimia, o anche anoressia, estrema criticità nei confronti del prossimo, attivismo incontrollato sotto il manto della carità e dello zelo, verbosità, curiosità… (tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).

DIO E’ GIOIA, ALLEGRIA – 1 Novembre 2017

Ha detto papa Francesco ai giovani (4 settembre 2017): «Una delle cose che caratterizza la giovinezza è l’allegria. Anche Dio è eternamente giovane perché Dio è l’allegria, la gioia. All’allegria si contrappone la tristezza, una tristezza che è prodotta dall’essere centrati in se stessi, l’autoreferenzialità. Un giovane che si chiude in se stesso, che vive soltanto per se stesso, finisce empachado di autoreferenzialità, cioè pieno di autoreferenzialità. Questa cultura in cui ci tocca vivere, dato che è molto egoista, ha una dose molto grande di narcisismo, di quello stare a contemplare se stesso e pertanto ignorare gli altri. Il narcisismo ti produce tristezza perché vivi preoccupato di truccarti l’anima tutti i giorni, di apparire meglio di quel che sei, di contemplare se hai una bellezza migliore degli altri, è la malattia dello specchio. Giovani, rompete lo specchio! Non guardatevi allo specchio, perché lo specchio inganna, guardate verso fuori, guardate verso gli altri, scappate da questo mondo, da questa cultura che stiamo vivendo che è consumista e narcisista. E se qualche giorno volete guardarvi allo specchio, vi do un consiglio: guardatevi allo specchio per ridere di voi stessi. Fate la prova un giorno: guardate e cominciate a ridere di quel che vedete lì, vi rinfrescherà l’anima. Questo dà allegria e ci salva dalla tentazione del narcisismo».

LA DEVIAZIONE DEL DESIDERIO – 31 Ottobre 2017

Quando il desiderio dell’uomo è deviato da Dio e non si muove più verso di lui, ecco che l’uomo viene preso dall’amore carnale per se stesso. I padri orientali chiamavano questo amore filautìa e lo consideravano come l’origine di tutti i mali dell’anima. Gli avvertimenti contro la filautìa sono in genere tratti dal vangelo delle tentazioni subite da Gesù nel deserto e sono pure commenti impliciti al detto: Chi ama la sua vita la perderà (Gv 12,25). Ciò che, alla fine dei conti, però, estirpa alla radice questo egoistico amor di sé è l’incarnazione del Verbo, opera dell’autentico amore che ha sradicato l’amore di sé che al principio ha indotto al peccato l’uomo.

 Alla filautìa oggi noi potremmo dare il nome di narcisismo, che sembra essere la patologia dominante dell’animo umano. E’ una condizione culturale, frutto della caduta di determinati valori umani. Il narcisismo chiude la persona nella propria autoreferenzialità, privandola della capacità di costruire relazioni autentiche e stabili, come pure di esprimersi in termini di progettualità. Sono  le direzioni imboccate dal moderno narcisismo culturale, dove l’immagine vale più dell’essere, l’ “io” più del noi, il mostrarsi più del concentrarsi, il parlare più dell’ascoltare, il prendere più del donare, la ricchezza più della saggezza, la notorietà più della dignità, il fare più del sentire, la quantità più della qualità…Tutta la realtà, insomma, diventa come un’estensione di se stessi mentre gli altri sono trasformati in uno specchio delle proprie esigenze (tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).

INCONTRARE DIO, INCONTRARE SE STESSI – 30 Ottobre 2017

Ad un suo antico discepolo San Bernardo, padre della Chiesa, raccomandava: “Non dedicarti sempre e tutto all’azione, ma riserva qualcosa di te, del tuo cuore e del tuo tempo alla considerazione…Cosa si addice meglio al culto di Dio, di quel che egli stesso consiglia nel Salmo: ‘Fermatevi e riconoscete che io sono Dio’. E’ questo uno degli elementi essenziali della considerazione”. L’invito alla ‘considerazione’ è dunque l’invito a riconoscere che Dio è Dio, il suo primato, la sua precedenza nella nostra vita. La contemplazione è la via d’oro per farne esperienza.        

Incontrare Dio è incontrare se stessi. Scrive Clemente Alessandrino: “Conoscere se stessi è l’insegnamento più grande tra tutti. Infatti chi conosce se stesso, conoscerà Dio e chi ha conosciuto Dio diventerà simile a lui, non indossando vesti intessute d’oro né abiti lunghi, ma compiendo opere buone e avendo bisogno del minor numero possibile di cose”.

Se guardiamo Dio, se abbiamo incontrato il vero Dio, la nostra vita si trasformerà un po’ alla volta in lui. Quando Francesco d’Assisi passa per le strade tutti corrono dietro lui, perché tutti sentono che in lui c’è ben più di lui. Saremo cristiani quando in noi ci sarà ben più di noi e quando coloro che ci circondano vedranno immediatamente che in noi c’è una Presenza (tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).

LA NOTTE TRASFIGURATA – 29 Ottobre 2017

Francesco ebbe momenti in cui lo scoramento assunse altezze vertiginose come in quella notte che io chiamerei “la notte trasfigurata” di Francesco: nella capanna di S. Damiano soffrì tutti i dolori fisici immaginabili, ma era ancora il meno; un pungente e torturante dubbio sulla sua salvezza lo indusse a un acuto senso di disperazione. E finalmente, proprio in quella notte, il cielo parlò. Dio rivelò a Francesco che la sua salvezza era certa. Fu allora che compose l’inno più gioioso e ottimista che sia mai uscito da cuore umano: il Cantico di fratello Sole.

  

Come sparì la gravissima tentazione? Con un atto assoluto di abbandono, proprio come nel caso di Gesù e dei grandi uomini di Dio. Un giorno in cui era oppresso e piangente, udì una voce che diceva:

 

  • Francesco, se avrai fede come un granello di senapa, dirai a quella montagna che si allontani verso il mare e ti obbedirà.
  • Signore, che montagna è quella?
  • La montagna della tua tentazione.
  • Signore, – rispose Francesco – si faccia di me secondo la tua parola.

 

Quel giorno sparì definitivamente la tentazione. La pace ritornò nella sua anima, il sorriso sul suo volto, di nuovo e per sempre la gioia inondò la sua vita.

 

Mostrami il tuo volto, P. Ignacio Larranaga