L’accidioso è uno che si è inacidito nei confronti di tutto ciò che è spirituale. Egli ha perduto la memoria perché si è distaccato dalla Parola di Dio: non prega più, non legge più la Scrittura, ha abbandonato la lectio divina… mentre il Signore aveva raccomandato: «bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita» (Deut 4,9).
L’accidioso è uno che ha abbandonato il luogo dell’ascolto ed ha perciò negato la sua identità di homo a Deo vocatus. Il demonio meridiano gli ha fatto interrompere il cammino che aveva iniziato, gli ha fatto perdere la bussola.
Sfuggire all’accidia e non lasciarsene irretire… Quali indicazioni? Da un poeta ora raccolgo la proposta a non far sì che la propria vita divenga una stucchevole estranea.
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente,
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
La proposta, in sostanza, è quella di prendersi cura di sé; di non abbandonarla, la vita, alla mercé del tempo, dell’esteriorità, della «quantità», al moltiplicarsi di pettegolezzi e delle chiacchiere. Kavafis suggerisce di dare un tocco di sensatezza, di quiete, di attenzione, di riserbo… È una terapia «laica», certo, ma si potrebbe farne motivo di riflessione in qualche nostro gruppo giovanile.
(tratto liberamente da “Custodiamo il nostro desiderio” di Marcello Semeraro vescovo di Albano).