UNO SGUARDO LIETO IN UN “CAMPO DI GIOCO DIFFICILE”– 19 settembre 2017

La realtà che ognuno di noi deve vivere è la cosa più bella e più grande che abbiamo, anche se spesso la realtà non è come la pensiamo o come ce la immaginiamo noi. La vita è un po’ come un campo da gioco: tutti vorrebbero giocare su un tappeto erboso perfetto, perché pensiamo che così si possa giocare meglio. Non dico che ci si possa divertire di più, ma sicuramente si può giocare meglio. Di solito, però, la realtà è un campo da gioco pieno di sassi e dove di erba ce n’è poca. E allora si corre subito un rischio – almeno io l’ho corso –, un rischio alimentato magari dagli amici: «Oh, cambiamo il campo da gioco!», come dire: se possiamo, cerchiamo di modificarla un po’, questa realtà.

Quando sono nati i miei due figli, Paolo e Lele che oggi hanno trentasei anni, entrambi con un handicap grave, il campo da gioco mi è apparso subito non propriamente un tappeto erboso. Però c’è stata una cosa che mi ha colpito e che ricordo molto bene: pur dentro la difficoltà di quel momento, io non volevo cambiare questo campo da gioco, ma volevo vedere come se la cavava, come se la sarebbe cavata chi mi aveva dato quel terreno particolare, quei due figli, come mi avrebbe permesso di vivere e come avrebbe risposto a tutto quello che il mio cuore desiderava, che era la felicità.

Quando il campo da gioco si fa un po’ pesante, quando la realtà diventa faticosa e ti sembra nemica, c’è un aspetto che nella mia vita non ho mai perso di vista: devi dare credito alla tua umanità, cioè a come tu reagisci. Anche una reazione, anche una delusione, anche un’inquietudine, tutto quello che emerge in te quando la realtà è così difficile, tutto questo serve. Non si capisce subito che serve, però bisogna cedere anche a questo non capire subito, perché serve (Incontro Nazionale delle famiglie per l’accoglienza – Padova, 2017).

 

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