IL DESIDERIO CHE GENERA AMORE

Esiste una relazione stretta tra la parola e la preghiera. Entrambe suppongono un destinatario, un Altro che ascolta e che con la sua risposta significa il significato della nostra stessa parola. L’uomo attraverso la sua preghiera invoca una risposta dall’Altro: «Puoi perdermi?». In tutta la tradizione biblica la preghiera dell’uomo si confonde con il suo grido sino a culminare nel grido di Gesù crocifisso che si rivolge al proprio padre nel tempo del suo più estremo abbandono: «Padre mio, perché mi hai abbandonato?». Puoi tu, dunque, davvero perdermi? Per questa sua radice nell’invocazione del grido, il desiderio umano non può essere confuso con il semplice bisogno. Piuttosto il desiderio umano può trovare il suo appagamento (anche se provvisorio) nell’incontro con il desiderio dell’Altro. L’istanza del desiderio s’incrocia qui con quella dell’amore: l’amore, come il desiderio, non domanda semplicemente il possesso di oggetti, ma il segno della mancanza. Alla domanda «puoi perdermi?», l’innamorato risponde senza incertezze: «no, non posso perderti». Il che significa che l’amato ha scavato in lui una mancanza irriducibile, è divenuto ciò di cui l’amante manca, è ciò che egli non può in nessun modo perdere. «Amare è dare all’Altro quello che non si ha». Il soggetto non dona qualcosa ma la sua mancanza, fa segno all’Altro che non lo può perdere perché la sua perdita comporterebbe la fine del suo mondo. È per questa ragione che la fine di un amore comporta non tanto e non solo la perdita dell’amato, ma la perdita del mondo intero dei due amanti. Senza amore il mio mondo, come la mia vita, perde di senso.

Massimo Recalcati

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