Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo, quando avessi lasciato la Chiesa.
(don Lorenzo Milani)
Clarisse a Farnese e a Viterbo
Sorelle Povere di Santa Chiara
Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo, quando avessi lasciato la Chiesa.
(don Lorenzo Milani)
La storia la insegna Dio e non noi, e l’unica cosa cui ambisco è di capire il suo disegno man mano che lui lo svolge.
(don Lorenzo Milani)
Ogni anno eravamo soliti fare un lungo pellegrinaggio nel deserto. Andavamo, guidati da nomadi buoni conoscitori del deserto, con una truppa di cammelli.
Tutte le mattine –immancabilmente- un cammello a turno fuggiva lontano. Ci avevano avvisato di non corrergli dietro cercando di acchiapparlo, di non gridare, di lasciarlo partire tra l’indifferenza generale. Passato il mezzogiorno si scorgeva un punto all’orizzonte che si avvicinava sempre di più: il fuggitivo tornava. Quando, dopo alcune ore dall’apparizione, il fuggitivo era abbastanza vicino al gruppo, un arabo si avvicinava a lui dolcemente, senza grida, senza recriminazioni, senza alzare le mani, e cominciava a camminargli accanto cantando sommessamente. E questo accompagnamento durava fino all’arrivo di tappa. Il giorno dopo il trasfuga di ieri era quello che offriva per primo il suo dorso, e un altro fuggiva.
Così sentivo che a poco a poco Uno si avvicinava a me. L’arabo mi offriva il modello di comportamento. Dovevo avvicinarmi dolcemente, senza protestare, senza gridare, e camminare in questa prossimità. Lì comincia l’esperienza dell’Altro.
(Arturo Paoli)
La disuguaglianza è il grande Golia armato, un Golia che si arricchisce ogni giorno di armi più sofisticate; solo l’adolescente nudo, armato di pietra, è capace come sempre di affrontarlo. Solo il nulla, solo colui che sparisce nel nulla può sconfiggere il gigantesco guerriero.
(Arturo Paoli)
L’uomo che incontriamo oggi sulle vie del mondo non è l’Adamo uscito dalle mani del Dio Creatore, quell’uomo che Michelangelo fissò sula volta della Sistina; è l’uomo spogliato, abbandonato sulla strada di Gerico, disprezzato. Ridotto a nulla perché escluso dalle cose, spogliato del diritto di sarei beni della terra.
Il cammino di Gesù comincia da questo abisso del nulla; dove l’uomo ha spinto l’uomo, là dove sono i segni della fraternità e dell’uguaglianza tradite, ricomincia la storia dell’uguaglianza e della fraternità.
(Arturo Paoli)
Il nulla è senza memoria. E’ il nulla dello spazio e del tempo: non resta che affondarci dentro e affidarsi a questo baratro. In principio era il caos, il nulla.
Eppure, guardandolo negli occhi, il nulla contiene la ricchezza dell’origine. Oggi, guardando a distanza di tempo questo tratto della mia vita, penso che certi valori essenziali mi vengano da lì. Mi sembra che per scoprire valori allo stato nascente bisogna accettare di essere respinti lì, donde nascono le cose. Bisogna avere la pazienza del nulla, non scacciarlo come un demonio. Ho però l’impressione che per mancanza di pazienza e di profondità si tenda a fuggire il più presto possibile da tale esperienza e non si permetta al nulla di essere punto di partenza di una nuova qualità di vita umana.
(Arturo Paoli)
La miglior descrizione che potrei fare di quel periodo di deserto sarebbe quella di rappresentarmi come un uomo che scopra la sua vera, fondamentale funzione di uomo, e sia sospeso da tale funzione.
Passavo il tempo pregando ma la mia preghiera non era tanto quella di Charles De Foucauld, che veniva da un’esperienza vuota di Dio: «Se ci sei, fatti vedere», quanto piuttosto quella di Giobbe, quella del Dio nemico: «Lui trova pretesti contro di me e mi considera suo nemico. Mette ceppi ai miei piedi e vigila tutti i miei passi» (Giobbe 33).
Questo mio interlocutore (Dio) si faceva per me importante, assoluto, essenziale attraverso lo strano metodo della lontananza.
(Arturo Paoli)
Mi azzarderei a dire, per la mia esperienza, che il senso della vita, che è più necessario dell’aria per vivere, appare più chiaro e coerente in esistenze apparentemente vuote che in persone turbinosamente agitate che sfuggono a parentesi contemplative proprio per il timore di essere interpellate sul senso della vita.
(Arturo Paoli)
Dio ti ama talmente che è venuto a liberarti.
Nella tua debolezza non devi temere, perché è sempre con te; non ha più bisogno di aver paura del tuo egoismo, perché è venuto per perdonarti e non per condannarti.
Puoi essere te stesso senza inquietudine, perché ti capisce e vuole strappare dalla tua carne il cuore di pietra per insegnarti ad amare.
Gesù ti chiede una sola cosa, che gli apri il tuo cuore come un povero e che credi nella sua forza di guarigione.
Puoi rischiare di amare, tendere la mano.
E’ molto difficile, per chi è abituato a stare saldamente sul cavallo del tempo, e nell’esercizio si è fatto bravo, sedersi per lungo tempo su un prato lasciando che il cavallo bruchi l’erba e se ne vada lontano. Ci vuole maggior coraggio a riposare su un prato in fiore che a stare in arcioni su un cavallo focoso.
(Arturo Paoli)
«Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. Ma …
«Vedrete il cielo aperto
e gli angeli di Dio
salire e scendere
sul Figlio dell’uomo».
Gv 1,51
È un richiamo alla visione di Giacobbe che vede angeli salire e scendere su di lui a Betel e scopre che quel luogo è «tremendo»: è la porta del cielo (cf. Gen 28,12.17). L’alleanza con Dio, che Giacobbe avvertiva minacciata, è ristabilita e donata pienamente nel Figlio dell’uomo: lui sarà la porta tra Dio e l’uomo, comunione tra i due. Egli, infatti, Parola diventata carne, è la dimora di Dio tra gli uomini e di ogni uomo in Dio. Con lui, vera scala di Giacobbe, è definitivamente aperto il cielo: Dio comunica con l’uomo e l’uomo con Dio.
(Silvano Fausti)
«Mentre egli era in preghiera,
erano con lui i discepoli da soli,
e li interrogò dicendo:
Voi,
chi dite che io sia?».
Lc 9,18-22
La risposta non è scontata! Importante è notare che ora non è la gente a interrogarsi su Gesù, ma è Gesù stesso che interroga i discepoli. Il discepolo è costituito da questa interrogazione: non mette in questione Gesù e accetta di essere messo in questione da lui. Gesù domanda e il discepolo risponde! Fino a quando siamo noi a porre le nostre domande, non avremo mai risposte riguardo alla sua novità: risponderemo secondo la nostra ovvietà. La domanda infatti precontiene la risposta. Deve al fine tacere la nostra domanda, per ascoltare la sua. Cessa così la nostra risposta e siamo in grado di accogliere la sua. All’interrogarsi e all’interrogare, succede il lasciarsi interrogare. I discepoli sono chiamati «voi», in netta distinzione dalla folla. Il loro dire su Gesù non sarà risposta a una loro domanda, ma alla sua, diretta a loro comunitariamente. Il «voi» è ecclesiale: la risposta a questa domanda fa la Chiesa.
(Silvano Fausti)
«Ascoltò Erode il tetrarca tutto ciò che capitava [riguardo a Gesù] e disse: Giovanni, io decapitai! Ora chi è costui, di cui ascolto tali cose? …
«[Convocati i Dodici,
Gesù disse loro:]
in qualunque casa entrerete,
là dimorate
e da là uscite».
Lc 9,4
«Entrando» gli inviati fanno di «qualunque» luogo una «casa». Infatti vi portano «la pace», che ne fa uno spazio riconciliato e vivibile, in cui si può stare di casa e «dimorare», senza più fuggire. Da cui però si «esce» per una nuova missione, per ampliare la casa fino agli estremi confini della terra, perché accolga tutti gli esuli e i fuggitivi. Questa casa è la Chiesa, la vera famiglia di Gesù, dove si può «dimorare» perché si riceve il pane, si sperimenta il Risorto, si prega, si riceve il dono dello Spirito, si trovano il Padre e i fratelli e si riparte per la missione.
(Silvano Fausti)