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UN DONO DA RICONOSCERE – 21 Agosto 2018

         Il battesimo dei bambini sottolinea l’aspetto di dono quello degli adulti a sua volta ne evidenzia la responsabilità che ne consegue. La «confermazione» ha per noi questo senso: l’adulto conferma, coscientemente e liberamente il suo impegno a vivere il pegno che nel battesimo ha ricevuto. Il diventare adulti non è altro che riconoscere la «grazia» del nostro essere piccoli: siamo figli che vivono dell’amore gratuito del Padre.

(P. Silvano Fausti, Commento a Mt 19,13-15)

 

NELLA COMUNITÀ DEI FIGLI DI DIO – 20 Agosto 2018

     «Furono portati a Lui dei bambini» (Mt 19,13). Non si tratta di ragazzi (paîs) ma di piccoli (paidíon), sotto i sette anni. Non fanno parte della comunità, perché ancora non sono in grado di conoscere e osservare la Parola. Non avrebbero la facoltà di intendere e di volere, si dice. Il bambino nell’antichità non era al centro dell’attenzione come lo è per noi. Chi contava era il maschio adulto, al cui servizio era la donna; il bambino ne avrebbe continuato il nome.                              

         «Perché imponesse loro le mani». Imporre le mani è segno di trasmissione di ciò che si è: induce continuità e identificazione tra sé e l’altro. Gesù trasmette ai bambini la sua benedizione di Figlio, il suo Spirito. Forse è un’allusione al battesimo. Certamente indica il diritto che i bambini hanno di partecipare all’assemblea dei figli di Dio, alla quale tutti apparteniamo per grazia e non per merito.

(P. Silvano Fausti, Commento a Mt 19,13-15)

NON BASTA… – 19 Agosto 2018

         Cari giovani italiani,
oggi vi esorto ad essere protagonisti nel bene! Protagonisti nel bene. Non basta non odiare, bisogna perdonare; non basta non avere rancore, bisogna pregare per i nemici; non basta non essere causa di divisione, bisogna portare pace dove non c’è; non basta non parlare male degli altri, bisogna interrompere quando sentiamo parlar male di qualcuno: fermare il chiacchiericcio: questo è fare il bene. Se non ci opponiamo al male, lo alimentiamo in modo tacito. È necessario intervenire dove il male si diffonde; perché il male si diffonde dove mancano cristiani audaci che si oppongono con il bene.

 (Papa Francesco, Angelus con i giovani italiani 12 Agosto 2018)

 

BENE E MALE – 18 Agosto 2018

         Cari fratelli e sorelle e cari giovani italiani,
le promesse del Battesimo hanno due aspetti: rinuncia al male e adesione al bene.
         Rinunciare al male significadire «no» alle tentazioni, al peccato, a satana. Più in concreto significa dire ”no” a una cultura della morte, che si manifesta nella fuga dal reale verso una felicità falsa che si esprime nella menzogna, nell’ingiustizia, nel disprezzo dell’altro. A tutto questo, “no”. L’Apostolo Paolo esorta a togliere dal proprio cuore «ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenza con ogni sorta di malignità» (Ef 4,31). Questi sei vizi avvelenano il cuore e conducono ad imprecazioni contro Dio e contro il prossimo.
         Ma non basta non fare il male per essere un buon cristiano; è necessario aderire al bene. Ecco allora che San Paolo continua: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (v. 32). Ricordate questo: «È buono non fare il male, ma è male non fare il bene» (sant’Alberto Hurtado).

 (Papa Francesco, Angelus con i giovani italiani 12 Agosto 2018)

IL SEGRETO DELLA FELICITÀ – 17 Agosto 2018

         Quanti sepolcri – per così dire – oggi attendono la nostra visita! Quante persone ferite, anche giovani, hanno sigillato la loro sofferenza “mettendoci – come si dice – una pietra sopra”. Con la forza dello Spirito e la Parola di Gesù possiamo spostare quei macigni e far entrare raggi di luce in quegli anfratti di tenebre.
         È stato bello e faticoso il cammino per venire a Roma; pensate voi, quanta fatica, ma quanta bellezza! Ma altrettanto bello e impegnativo sarà il cammino del ritorno alle vostre case, ai vostri paesi, alle vostre comunità. Percorretelo con la fiducia e l’energia di Giovanni, il “discepolo amato”. Sì, il segreto è tutto lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Percorrere con coraggio e con gioia il cammino verso casa, percorretelo con la consapevolezza di essere amati da Gesù. Allora, con questo amore, la vita diventa una corsa buona, senza ansia, senza paura, quella parola che ci distrugge. Senza ansia e senza paura. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col cuore pieno di amore, di fede e di gioia. Andate così!

(Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani 11 Agosto 2018)

UNA MANO TESA PER L’UOMO CADUTO – 16 Agosto 2018

         Cari amici, l’umanità ferita viene risanata dall’incontro con Gesù; l’uomo caduto trova una mano tesa alla quale aggrapparsi; gli sconfitti scoprono una speranza di riscatto. Gesù Cristo, cari giovani, non è un eroe immune dalla morte, ma Colui che la trasforma con il dono della sua vita.
         Cari giovani, è possibile incontrare la Vita nei luoghi dove regna la morte? Sì, è possibile. Verrebbe da rispondere di no, che è meglio stare alla larga, allontanarsi. Eppure questa è la novità rivoluzionaria del Vangelo: il sepolcro vuoto di Cristo diventa l’ultimo segno in cui risplende la vittoria definitiva della Vita. E allora non abbiamo paura! Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte. Dio ci ha dato una potenza più grande di tutte le ingiustizie e le fragilità della storia, più grande del nostro peccato: Gesù ha vinto la morte dando la sua vita per noi. E ci manda ad annunciare ai nostri fratelli che Lui è il Risorto, è il Signore, e ci dona il suo Spirito per seminare con Lui il Regno di Dio. Quella mattina della domenica di Pasqua è cambiata la storia: abbiamo coraggio!

(Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani 11 Agosto 2018)

O VAI DA SOLO O VAI LONTANO – 15 Agosto 2018

         Cari amici, sarò felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa è un po’ lento e timoroso, attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto. E un’altra cosa: camminando insieme, in questi giorni, avete sperimentato quanto costa fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure. Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, forse più veloci, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. Il popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza dell’appartenenza al popolo di Dio. E col popolo di Dio ti senti sicuro, nel popolo di Dio, nella tua appartenenza al popolo di Dio hai identità. Dice un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.

(Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani 11 Agosto 2018)

IL CORAGGIO DI ANDARE AVANTI – 14 Agosto 2018

          Cari amici, la mia gioia è sentire che i vostri cuori battono d’amore per Gesù, come quelli di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni. E poiché siete giovani, io, come Pietro, sono felice di vedervi correre più veloci, come Giovanni, spinti dall’impulso del vostro cuore, sensibile alla voce dello Spirito che anima i vostri sogni. Per questo vi dico: non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna. Abbiamo bisogno di fraternità: rischiate, andate avanti!

(Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani 11 Agosto 2018)

UNA CORSA PER LA FEDE – 13 Agosto 2018

            Il Vangelo secondo Giovanni (20, 1-8) ci racconta quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità. Quella mattina, alle prime luci dell’alba, attorno alla tomba di Gesù tutti si mettono a correre. Maria di Magdala corre ad avvisare i discepoli; Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro… Tutti corrono, tutti sentono l’urgenza di muoversi: non c’è tempo da perdere, bisogna affrettarsi…
            Abbiamo tanti motivi per correre, spesso solo perché ci sono tante cose da fare e il tempo non basta mai. A volte ci affrettiamo perché ci attira qualcosa di nuovo, di bello, di interessante. A volte, al contrario, si corre per scappare da una minaccia, da un pericolo…
            I discepoli di Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è sparito dalla tomba. I cuori di Maria di Magdala, di Simon Pietro, di Giovanni sono pieni d’amore e battono all’impazzata dopo il distacco che sembrava definitivo. Forse si riaccende in loro la speranza di rivedere il volto del Signore! Chi corre più forte è Giovanni, certamente perché è più giovane, ma anche perché è stato vicino a Maria, e per questo è stato “contagiato” dalla sua fede. Quando noi sentiamo che la fede viene meno o è tiepida, andiamo da Lei, Maria, e Lei ci insegnerà, ci capirà, ci farà sentire la fede.

(Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani 11 Agosto 2018)

 

LA PREGHIERA CRISTIANA – 12 Agosto 2018

La regola di vita comune a tutta la famiglia francescana consiste nel  vivere il Vangelo  desiderando anzitutto di “avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”  (Regola di S. Chiara, FF 2811).

 

Avere lo Spirito del Signore” ci porta al significato più profondo e autentico della preghiera in questo nostro tempo in cui, ammesso che preghiamo, la facciamo coincidere con uno stato di benessere mentale che giova alla salute del corpo. La vera preghiera cristiana coincide con la volontà di Dio, coinvolge non un momento ma l’intera nostra esistenza. Sentiamo Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose:

            In questo nostro tempo è difficile rendere evidente la “differenza” cristiana, la specificità del cristianesimo. Così accade che la preghiera sovente venga presentata come una pratica che “fa bene”, come un antidepressivo… Ma nel cristianesimo la preghiera è un predisporre tutto il nostro essere all’ascolto, al riconoscimento di una Presenza, all’arte ineffabile del dialogo con Dio in cui però il vero protagonista è lo Spirito Santo: è lui che ti spinge a pregare, è lui che unisce la tua preghiera a quella di Cristo. Sì, la preghiera cristiana non è “fare delle cose”, “dire delle parole” che producono automaticamente degli effetti sulla mente o sul corpo ma è “accoglienza” di un’azione che Dio, attraverso lo Spirito, compie nel cristiano che viene così trasformato.

            Oggi più che mai siamo tentati di fare solo ciò che è utile, efficace ma questa è una logica radicalmente mondana e pagana: la preghiera cristiana non promette una saggezza di vita individualistica e neppure un esito terapeutico ma tende all’incontro con Dio, a discernere la sua presenza nella vita quotidiana, a contemplare persone ed eventi con il suo sguardo.

            C’è una dimensione “scandalosa” nella preghiera cristiana che non si deve ignorare o nascondere perché fa parte di quella “differenza” senza la quale si confonderebbe il cielo con la terra, Dio con i tuoi desideri. La preghiera cristiana, infatti, si configura come cammino di costante purificazione di quelle immagini di Dio che sono “opera delle mani dell’uomo” (Sal 115,4);  è conversione del nostro desiderio che non chiede a Dio: “Fa’ la mia volontà” ma: “Sia fatta la tua volontà”.

COMUNITÀ, TERRA NELLA QUALE SIAMO CHIAMATI A CRESCERE – 11 Agosto 2018

«Ammonisco poi ed esorto nel Signore Gesù Cristo,
che si guardino le sorelle da ogni superbia,
vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo,
dalla detrazione e mormorazione,
dalla discordia e divisione»
(Regola di Santa Chiara X,6)

 

            In monastero la vita è tale che ti permette di pregare, ascoltare se stessi e assumere la propria fragilità. Siamo chiamate a superare l’autosufficienza e la competizione per la comunione fraterna che è condivisione della propria fragilità. In una relazione che accoglie la propria e altrui debolezza non importano le idee, le differenze ma l’ascolto reciproco, la compassione, lo sguardo, il fare insieme piccole cose.

            Per diventare saggi occorre allora il tempo di riflettere, di ascoltare, di pregare. E’ questa la dimensione contemplativa. Senza la preghiera il cuore diventa agitato, competitivo, un terreno di guerra. Per crescere abbiamo bisogno della terra della comunità.  Io non crescerò mai senza queste sorelle che mi accettano con le mie qualità e i miei difetti e sono disposti ad aiutarmi.

            Siamo come i discepoli di Gesù, incapaci di sopportare un Dio debole, che ha bisogno dell’uomo. Noi bastiamo a noi stessi e portiamo il nostro ideale di potenza e autosufficienza anche nella comunità cui apparteniamo rifiutandone ogni debolezza.

            Del resto ci hanno talmente ripetuto che bisogna essere perfetti che non abbiamo il diritto di essere deboli e bisognosi di crescere in Dio e con gli altri. Quest’idea della perfezione, alla quale ci aggrappiamo, è così profondamente ancorata in noi che ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri, a condannare una comunità che non corrisponde al nostro ideale.

            Il sentimento di appartenenza alla comunità sgorga dalla fiducia, fiducia che è accettazione progressiva degli altri, così come sono, con i loro doni e i loro limiti, essendo ognuno chiamato da Gesù.

            E’ per questo che ci radichiamo in una comunità: non perché è perfetta e meravigliosa, ma perché crediamo che Gesù ci raduna per una missione.

TESTIMONI DI SPIRITUALITÀ’ DELLA COMUNIONE – 10 Agosto 2018

Se accadesse – non sia mai! – che tra sorella e sorella
per una parola o un segno
talvolta nascesse occasione di turbamento o di scandalo
(Regola di Santa Chiara IX, 7)

 

Nelle relazioni umane i rapporti non sempre sono autentici. Possono essere dettati da competizione, gelosia, invidia, arrivismo, individualismo che minano la spiritualità di comunione a causa di una mancata maturità umana. La spiritualità della comunione è capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio; è saper fare spazio al fratello portando insieme gli uni i pesi degli altri. La vera natura dell’amore cerca sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà  ‘esserci’ per l’altro.

Per curare la formazione umana bisognerebbe favorire un cammino spirituale autentico, attraverso cui la persona rende visibile l’assunzione consapevole della propria umanità abitata da Dio e la riconosce negli altri. Il riscontro della formazione umana si esprime con le qualità richieste in tutte le relazioni umane: educazione, gentilezza, sincerità, controllo di sé, delicatezza, senso dell’umorismo e spirito di condivisione, la lieta semplicità, la chiarezza e la fiducia reciproca, la capacità di dialogo, l’adesione sincera a una benefica disciplina comunitaria.

Scoprire in fraternità giorno per giorno la gioia di vivere, pur in mezzo alle difficoltà del cammino umano e spirituale e alle noie quotidiane, fa parte già del Regno. Questa gioia è frutto dello Spirito.

 

NON ESTINGUANO LO SPIRITO DELLA SANTA ORAZIONE E DEVOZIONE – 9 Agosto 2018

Non estinguano lo spirito della santa orazione e devozione
(Regola di Santa Chiara VII, 2)

 

Chiara non dimostra una separazione tra vita di preghiera e lavoro, anzi il lavoro è strumento per non estinguere lo spirito della santa orazione e devozione.

Quando si è unificati interiormente intorno alla persona di Gesù Cristo, non c’è frammentarietà nella vita personale e fraterna: il fondamento evangelico della vita consacrata va cercato nel rapporto speciale che Gesù, nella sua esistenza terrena, stabilì con alcuni dei suoi discepoli invitandoli non solo ad accogliere il regno di Dio nella propria vita ma a porre la propria esistenza a servizio di questa causa lasciando tutto e imitando da vicino la sua forma di vita.

Fondate in Cristo le sorelle povere possono essere, con il dono totale di sé a Dio, “memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli”.

La dimensione contemplativa abbraccia tutta la vita umana vissuta in Dio. Il confronto con la Parola permette di assimilare i sentimenti di Cristo per poter assumere, da persone unificate, la forma di vita evangelica nel quotidiano. L’ascolto della Parola diviene un incontro vitale e privilegiato con Dio attraverso il metodo della lectio divina che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza.

Non si può essere persone che rendono presente storicamente Dio con la propria esistenza, senza il continuo riferimento alla sua Parola. Se ciò vale per la vita del credente, a maggior ragione per quella del consacrato chiamato a coniugare senza sconti la fede con la vita: la Parola di Dio è alimento per la vita, per la preghiera, per il cammino quotidiano, il principio di unificazione della comunità nell’unità di pensiero, l’ispirazione per il costante rinnovamento e per la creatività apostolica. La preghiera e la contemplazione sono il luogo di accoglienza della Parola di Dio e, nello stesso tempo, esse scaturiscono dall’ascolto della Parola. Senza una vita interiore di amore che attira a sé il Verbo, il Padre, lo Spirito (Cfr Gv 14, 23) non può esserci sguardo di fede; di conseguenza la propria vita perde gradatamente senso, il volto dei fratelli si fa opaco ed è impossibile scoprirvi il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono ambigui quando non privi di speranza.

LAVORARE COME GLI ALTRI – 8 Agosto 2018

Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare 
(Regola Santa Chiara VII, l)

Approfondire la categoria del lavoro al tempo di Chiara permette di pensare al lavoro delle sorelle povere nell’oggi. Tenendo presente che anche nel duecento il lavoro non era soltanto un mezzo per combattere l’ozio, ma per poter vivere, la fraternità scelse di essere volontariamente povera custodendo la formula povertà-lavoro, tipica dei poveri di allora. La filatura e il cucito, lavori tipici del tempo di Chiara descritti nelle Fonti, non erano né un esercizio ascetico né un passatempo ma una forma di lavoro con cui le sorelle povere si potevano guadagnare il pane, condividendo in questo modo la condizione delle donne lavoratrici. Nello stesso modo con cui si ponevano i frati minori nel lavoro dipendente, artigianale e agricolo, non chiedendo salario, così le sorelle povere offrivano i loro manufatti, quale compenso per aiuti, per elemosine ricevute. Le sorelle povere, come dice la regola, non lavoravano solo per evitare l’ozio, ma per procurarsi con le loro mani di che vivere: il lavoro manuale, scandito da un orario rigoroso, svolto in modo sistematico e non affidato al capriccio di un momento, certamente non era né attività delle religiose del tempo né di nobili dame, ma era esperienza solo delle donne povere, appartenenti a ceti subalterni. Pertanto, così come veniva concepito e vissuto a San Damiano, il lavoro costituiva uno degli aspetti più evidenti di quella condizione di minorità che Chiara come Francesco ritenevano non disgiungibile dall’evangelo.

Una specificazione ancora più aderente al tempo circa la concezione del lavoro in Chiara è data dal seguente approfondimento: lavorare con le proprie mani, manibus suis, ha nella forma di vita clariana una dimensione vocazionale, nel contesto di quella “conversione alla povertà” anche dal punto di vista sociale che caratterizzò il movimento evangelico nei secoli XII-XIV.

Questo tema è centrale nello svolgimento della forma vitae, poiché della scelta di povertà il lavoro manuale è conseguenza diretta e importante.

Dalla regola bollata riprende la definizione del lavoro come “grazia”, che apre un orizzonte più vasto rispetto alla concezione tradizionale che vedeva il lavoro solo quale mezzo di sostentamento o impegno ascetico; a questo Chiara aggiunge l’orario del tempo di lavoro, necessario in una struttura monastica come la sua: post horam tertiae, dopo l’ora di terza.

Le sorelle povere sceglievano il lavoro manuale, perché in questo modo si mettevano sullo stesso piano soprattutto di tante donne costrette a vivere nella povertà, condividendo in questo modo la loro esperienza di fatica per un lavoro scarsamente retribuito, nonché per l’umiliazione subita a causa della mendicità: il fine era sostentarsi, da povere, guardandosi da ogni forma di guadagno o di accumulo di beni, una scelta contro corrente sia nei confronti della nobiltà, da cui la gran parte delle sorelle di San Damiano proveniva, sia nei confronti della borghesia in crescente ascesa, per la quale l’economia era sempre più in funzione del massimo guadagno e dell’accumulo illimitato di denaro.

CONDIVISIONE DELLA MARGINALITÀ’ DEI POVERI, COME CRISTO – 7 Agosto 2018

 “E affinché non ci scostassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo…” (Regola Santa Chiara VI,6)

Le costituzioni dell Sorelle Povere di S. Chiara evidenziano i fondamenti teologici della povertà nelle seguenti espressioni: «guarda Cristo, “fatto per te oggetto di disprezzo e seguilo, rendendoti per amor suo spregevole in questo mondo”» (art. 36.2) e «da ricco che era si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (art. 32.1). Il primo senso della povertà è quindi testimoniare che Dio è la vera ricchezza del cuore umano e che «la povertà rende liberi dalla schiavitù delle cose e dei bisogni artificiali a cui spinge la società dei consumi e fa riscoprire Cristo, l’unico tesoro per il quale valga la pena di vivere veramente».

Una scelta di vita che assume la povertà come valore evangelico ha bisogno di essere visualizzata, però, con comportamenti concreti e congruenti: «La povertà è il segno di appartenenza a Lui, è la garanzia di credibilità del Regno già presente in mezzo a noi. Un segno sempre più convincente ai nostri giorni quando si tratta di una povertà vissuta in fraternità, con uno stile di vita semplice ed essenziale, espressione di comunione e di abbandono alla volontà di Dio».

La povertà radicale, codificata da Francesco e Chiara nell’espressione «vivere senza nulla di proprio», si ispira non alle mode correnti ma all’amore di Cristo, al Povero per eccellenza (cf. TestsC 45), da cui entrambi hanno appreso l’arte della spoliazione e dell’abbassamento più radicale e assoluto. Per Chiara e per Francesco la «Santissima povertà» non è semplicemente una virtù, né solo una rinuncia alle cose, ma è soprattutto un nome e un volto: il volto di Gesù Cristo povero e crocifisso (cf. 2 LAg 19). Per Francesco e Chiara la contemplazione di Cristo povero non si riduce a una bella teoria mistica del distacco ma prende carne in una povertà reale, concreta, essenziale.

Francesco prima e Chiara successivamente scelgono di vivere come i poveri per «seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signor nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre» (cf. RsC VI, 7): «il momento centrale della conversione di Francesco non è stato quello pauperistico ma il passaggio da una condizione umana ad un’altra, l’accettazione del proprio inserimento in una marginalità, l’ingresso fra gli esclusi. Francesco dunque non scelse tanto di venire in soccorso degli ultimi: erano già in molti a farlo, anche ai suoi tempi; semplicemente scelse di farsi uno di loro, abbracciando il dolore umano e l’emarginazione come via prediletta per seguire le orme di Cristo crocifisso. La sequela Christi, che ritrovava nell’obbedienza e nella povertà i suoi connotati essenziali, portava come sua necessaria conseguenza la condivisione di vita con le categorie marginali della società».