COMUNITÀ, TERRA NELLA QUALE SIAMO CHIAMATI A CRESCERE – 11 Agosto 2018

«Ammonisco poi ed esorto nel Signore Gesù Cristo,
che si guardino le sorelle da ogni superbia,
vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo,
dalla detrazione e mormorazione,
dalla discordia e divisione»
(Regola di Santa Chiara X,6)

 

            In monastero la vita è tale che ti permette di pregare, ascoltare se stessi e assumere la propria fragilità. Siamo chiamate a superare l’autosufficienza e la competizione per la comunione fraterna che è condivisione della propria fragilità. In una relazione che accoglie la propria e altrui debolezza non importano le idee, le differenze ma l’ascolto reciproco, la compassione, lo sguardo, il fare insieme piccole cose.

            Per diventare saggi occorre allora il tempo di riflettere, di ascoltare, di pregare. E’ questa la dimensione contemplativa. Senza la preghiera il cuore diventa agitato, competitivo, un terreno di guerra. Per crescere abbiamo bisogno della terra della comunità.  Io non crescerò mai senza queste sorelle che mi accettano con le mie qualità e i miei difetti e sono disposti ad aiutarmi.

            Siamo come i discepoli di Gesù, incapaci di sopportare un Dio debole, che ha bisogno dell’uomo. Noi bastiamo a noi stessi e portiamo il nostro ideale di potenza e autosufficienza anche nella comunità cui apparteniamo rifiutandone ogni debolezza.

            Del resto ci hanno talmente ripetuto che bisogna essere perfetti che non abbiamo il diritto di essere deboli e bisognosi di crescere in Dio e con gli altri. Quest’idea della perfezione, alla quale ci aggrappiamo, è così profondamente ancorata in noi che ci spinge a negare le nostre ferite e a disprezzare quelle degli altri, a condannare una comunità che non corrisponde al nostro ideale.

            Il sentimento di appartenenza alla comunità sgorga dalla fiducia, fiducia che è accettazione progressiva degli altri, così come sono, con i loro doni e i loro limiti, essendo ognuno chiamato da Gesù.

            E’ per questo che ci radichiamo in una comunità: non perché è perfetta e meravigliosa, ma perché crediamo che Gesù ci raduna per una missione.

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