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MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI – 23 Novembre 2017

UNA CHIESA CHE STIMA UNA CHIESA POVERA

   La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità,  e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero. È un cammino dietro a  Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà significa un  cuore umile che sa accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di essere immortali.

   La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obbiettivo di vita e condizione per la felicità. È la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa, è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli affetti (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.25-45).

   Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli, proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se, pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che portano impresso nella loro vita.

   Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, da sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata.

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI – 22 Novembre 2017

DAL DARE AI POVERI A STARE CON I POVERI

   Quante pagine di storia, in questi duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità,  hanno servito i loro fratelli più poveri!

   Tra tutti spicca l’esempio di Francesco d’Assisi, che è stato seguito da numerosi altri uomini e donne santi nel corso dei secoli. Egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai  lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro. Lui stesso vide in quest’incontro la svolta della sua conversione: « Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo » (Test 1-3: FF 110). Questa testimonianza manifesta la forza trasformatrice della carità e lo stile di vita dei cristiani.

   Sempre attuali risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: « Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità » (Hom. in Matthaeum, 50, 3: PG 58). Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine.

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI – 21 Novembre 2017

LA SEQUELA È L’AMORE

L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio, d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la propria vita (cfr 1 Gv 3,16).

Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale, senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da muovere la nostra volontà  e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo.

 

UN PRIMO SEGNO IL SERVIZIO AI POVERI

È certamente uno dei primi segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il servizio ai più poveri. Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli di Gesù doveva esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento principale del Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3).

« Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno » (At 2,45). Questa espressione mostra con evidenza la viva preoccupazione dei primi cristiani. L’evangelista Luca, l’autore sacro che più di ogni altro ha dato spazio alla misericordia, non fa nessuna retorica quando descrive la prassi di condivisione della prima comunità. Al contrario, raccontandola intende parlare ai credenti di ogni generazione, e quindi anche a noi, per sostenerci nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei poveri.

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI – 20 Novembre 2017

NON AMIAMO A PAROLE MA CON I FATTI

« Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità » (1Gv 3,18). Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci.

POESIA DI UN SOLDATO – 19 Novembre 2017

Ascolta, Dio! Mai prima dora in vita mia

ti ho parlato, ma oggi

ho voglia di mandarti un saluto.

Lo sai, fin da piccolo mi han sempre detto

che non esisti… e io stupido ci ho creduto.

Non ho mai contemplato le tue opere,

ma questa notte ho guardato

dal cratere di una granata

al cielo di stelle sopra di me

 e di colpo ho capito, ammirando il loro scintillio,

quanto crudele possa essere l’inganno…

Non so, Dio, se mi darai la mano.

Ma voglio dirti qualcosa, e Tu mi capirai…

Non è strano che in mezzo al più tremendo inferno

d’un tratto mi sia apparsa la luce e abbia scorto Te?

Più di questo non c’è niente da dire…

Solo questo mi fa felice, che ti ho conosciuto.

A mezzanotte dobbiamo attaccare,

ma non ho paura, Tu vegli su di noi.

È il segnale! Che vuoi farci, vado.

Si sta bene con Te…

Voglio ancora dirti che, come sai,

la battaglia sarà dura,

può darsi che questa notte stessa venga da Te a bussare.

E anche se finora non sono stato tuo amico,

quando verrò mi farai entrare?

Ma che succede, piango?

Dio mio, Tu vedi cosa mi è successo,

soltanto ora comincio a veder chiaro.

Addio, mio Dio, vado… difficilmente tornerò.

Ma com’è strano, ora la morte non mi fa paura…

CHIAMATI A TRASFIGURARE IL MONDO – 18 Novembre 2017

   Nel torrente del samizdat, padre Scalfi riservava naturalmente una particolare attenzione ai testi che giungevano dai cristiani, sottolineando il loro impeto missionario e la lieta certezza della vittoria di Cristo, che permetteva loro di vivere e operare lietamente in un mondo così segnato dal male dell’ideologia, di tendere alla sua trasfigurazione e contemporaneamente di valorizzare tutto il bene che vedevano, nei cristiani ma anche in ogni uomo incontrato, indipendentemente dalla sua appartenenza culturale e religiosa..

 

   Chi ritorna dai lager in Russia spesso dice che lì ha trovato se stesso. Ma ho un episodio meraviglioso da raccontare. Subito dopo la rivoluzione i cristiani potevano ancora parlare. Un giorno arriva un propagandista per dimostrare scientificamente che Dio non poteva esistere. Dopo aver parlato a lungo dice: « Beh, adesso se qualcuno ha obiezioni da fare venga avanti ». Un vecchio allora si alza e dice: « Fratelli, Cristo è risorto! ». A queste parole tutti si alzano e rispondono a gran voce: « In verità è risorto ». La Resurrezione, quell’avvenimento, le parole di quella liturgia erano nella loro carne. Per la spiritualità russa la resurrezione anima la speranza di ogni giorno. Con quell’avvenimento si può sfidare la perfidia del mondo e il proprio male, come testimonia la rinascita cristiana sotto la persecuzione.

Da Il gran padre della Pasqua,

« Il Sabato », 21 aprile 1984

 

VIVERE SENZA MENZOGNA – 17 Novembre 2017

   Uno degli aspetti che maggiormente impressiona nei testi del samizdat è il « mea culpa » che gli autori pronunciano dinnanzi alla catastrofe della rivoluzione e del regime ateo e repressivo che le seguì. Proprio questo aspetto, più di ogni altro, colpì padre Scalfi all’apparire in Occidente di Arcipelago GULag di Solženicyn e del suo appello « Vivere senza menzogna ».

   Quando la violenza irrompe nella pacifica vita degli uomini, il suo volto arde di tracotanza, e porta scritto sulla bandiera e grida: « IO SONO LA VIOLENZA! Via, fate largo o vi schiaccio! ». Ma la violenza invecchia in fretta, dopo pochi anni non è più tanto sicura di sé, e per reggersi, per salvare la faccia, deve inevitabilmente allearsi con la menzogna. Infatti la violenza non ha altro con cui coprirsi se non la menzogna, e la menzogna non può reggersi se non con la violenza. Non tutti i giorni né su tutte le spalle la violenza abbatte la sua pesante zampa: da noi esige solo docilità alla menzogna, quotidiana compartecipazione ad essa. Non occorre altro per esserne sudditi fedeli.

   Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: IL RIFIUTO DI PARTECIPARE PERSONALMENTE ALLA MENZOGNA. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini PER OPERA MIA!

   È questa la breccia nel presunto cerchio della nostra inazione: la breccia più facile da realizzare per noi, la più distruttiva per la menzogna. Perché, se gli uomini ripudiano la menzogna, essa cessa semplicemente di esistere. Come un contagio, può esistere solo negli uomini…

                                                                             

Aleksandr Solženicyn

                                                                                                              Mosca, 12 febbraio 1974

RESPONSABILE DI TUTTO CIÒ CHE ACCADE – 16 Novembre 2017

   Leonard Ternovskij, nato nel 1933, medico, si batte in difesa dei diritti umani. Arrestato nel 1980 per « attività antistatale », viene condannato a 3 anni di lager. Nel 1991 viene riabilitato. È morto a Mosca nel 2006.

   La convinzione che la cosa più terribile e deleteria sia tacere davanti alle ingiustizie si è venuta formando in me per effetto dei documenti del XX congresso del PCUS. Il ’56 è stato l’anno del mio risveglio civile. Ho compreso che per quanto insignificante fossi di fronte alle proporzioni del mio paese, ero tuttavia responsabile di tutto ciò che vi accadeva. Si trattava ancora di idee molto iniziali. Deciso soprattutto a rifiutare tutto ciò che fosse connesso  con la violenza, non riuscivo però a vedere alcuna possibilità di una protesta intelligente, dotata di sbocchi costruttivi. Verso la fine degli anni ’60 ho conosciuto delle persone che combattevano apertamente contro quello che ritenevano ingiusto. Il fatto che usassero come strumento la parola, e solo la parola, così come il coraggio con cui agivano, mi infondeva simpatia e rispetto. Vedevo che all’ingiustizia si poteva contrapporre una posizione umana decisa e una parola aperta.

   Oggi mi si imputa a colpa la mia pubblica attività, che io definisco « difesa dei diritti umani», e invece l’accusa chiama « diffusione di menzogne denigratorie ». Ho partecipato all’attività della Commissione  per la psichiatria, ho firmato innumerevoli documenti e comunicati. Ho già detto che sono convinto della loro veridicità.

   Avevo previsto il mio arresto e questo processo. Questo naturalmente non significa che desiderassi andare a finire in prigione. Non sono un quindicenne, ho 50 anni, e quindi non ho più idee romantiche per la testa. Avrei preferito scampare alla galera. Ma rinunciare per questo a ciò che secondo me è il mio dovere lo considero indegno.

   Ora ascolterò la vostra decisione. Ma so che la condanna è anche, in certo modo, il segno dell’importanza di quanto ho fatto e detto. E in futuro la mia riabilitazione sarà inevitabile, così come ora lo è la mia condanna…

   Secondo le mie convinzioni ho cercato di lottare contro l’ingiustizia, di aiutare la gente, di fare del bene. Così si spiegano tutte le mie proteste e tutta la mia attività. Vado in prigione con la coscienza pulita.

 

                                                                  Dall’ultimo intervento al processo, 30 dicembre 1980

« Russia cristiana »

SAMIZDAT: UNA RISPOSTA AL GRIDO DELL’UOMO DI OGGI – 15 Novembre 2017

Per Grossman come per tutti gli autori del samizdat la grandezza dell’uomo è preminente a ogni struttura socio-politica. E questo lo esprime in un modo unico, in situazioni tragiche, che sembrerebbero dover togliere ogni libertà all’uomo; proprio osservando i lager, la guerra, giunge alla conclusione: l’uomo è libero in ogni situazione. Sono sue le parole: « La mia fede io l’ho temprata nell’inferno, la mia fede è uscita dal fuoco dei forni crematori  ». Qual è questa fede? « Ho visto che non è l’uomo a essere impotente nella lotta contro il male, ma è il potente male a essere impotente quando lotta contro l’uomo ».  Non ho trovato un’espressione di fede nell’uomo come questa, ma è una fede nell’uomo che è particolarmente nostra, per chi crede in Dio.

(Padre Romano Scalfi)

SAMIZDAT: UNA RISPOSTA AL GRIDO DELL’UOMO DI OGGI – 14 Novembre 2017

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 padre Scalfi si dedicò sempre di più a far conoscere il samizdat, cioè i testi che si diffondevano clandestinamente in Unione Sovietica per esprimere la resistenza all’ideologia imperante ma soprattutto per testimoniare una visione dell’uomo inteso come libertà, responsabilità e comunione. Questi testi non erano necessariamente di autori cristiani, e andavano da lettere aperte e appelli, a poesie, romanzi, saggi di filosofia e  teologia. In comune, avevano la fede nell’uomo.

« Se accendono le stelle vuol dire che qualcuno ne ha bisogno? » (Majakovskij). Noi rispondiamo positivamente. Abbiamo bisogno delle stelle. Abbiamo bisogno di goni cosa bella, buona e vera, perché abbiamo bisogno di felicità. Soltanto che la felicità, come l’arte, come la vita, ha bisogno di una roccia su cui edificarsi se vuol essere una casa che resiste alle tempeste, per non crollare, come dice il Vangelo. Václav Havel ha definito la cultura « rapporto del particolare con l’assoluto ». La felicità, parte della cultura di un popolo sano, non può essere da meno. Riconosco che a parlare oggi del desiderio di felicità, della ricerca della verità, si passa per gente non aggiornata, ma come cantava Okudžava, «  finché la terra ancor gira, finché la luce è ancora chiara », vale la pena ostinarsi nel coltivare questo desiderio e insistere in questa ricerca.

 

(Padre Romano Scalfi)

HANA LA YAZIDA – L’inferno è sulla terra – 13 Novembre 2017

Hana, giovane donna yazida, infermiera in un ospedale di Duhok, il 3 agosto 2014 era a Sinjar a visitare la sua famiglia, quando sono arrivati i guerriglieri dell’ISIS. In quell’occasione, come molte altre donne della minoranza yazida, ha perso il fratello, la madre e non sa dove sia finita la sorella, che come lei è stata presa prigioniera e poi venduta come schiava. Dopo vicende assai dolorose Hana riesce a scappare e a salvarsi dal suo aguzzino. Il libro narra di lei nel suo attuale presente, mentre vive a Duhok e lavora al campo profughi di Khanke, dovendo nel medesimo tempo fare i conti con le sue ferite interiori dovute alle sevizie subite d parte dei Daesh, gli uomini neri dell’ISIS, che hanno abusato più volte di lei, ma anche con la sua voglia di ritrovare uno spiraglio di normalità e felicità. Il suo raccontare, ricco di dettagli, diventa un affresco della vita e della società nel Kurdistan, permettendo al lettore di entrare nell’anima di un popolo del quale si sente parlare dai giornali e dalle televisioni per gli eventi di guerra di questi nostri martoriati giorni.

(HANA LA YAZIDA – L’inferno è sulla terra, di Claudia Ryan)

LA LEGGE DELLO SPIRITO – 11 Novembre 2017

     “C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio». Gli rispose Gesù: «In verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»” (cfr. Gv 3, 1-3).

 

            Nicodemo è attratto dai prodigi che Gesù compie. Ma Gesù non si lascia incantare da simili apprezzamenti e gli rimprovera la sua inettitudine a comprendere, nonostante sia dottore in Israele.

 

            Nicodemo si aggrappa a forme legalistiche di religione. Lui conosce la legge. Esercita un “potere spirituale”. Ma le certezze e la legge possono anche chiuderci in noi stessi, nell’autocompiacimento della conoscenza e di sentimenti di rettitudine e superiorità. Questo può impedirci di ascoltare le persone e di essere aperti alle nuove strade di Dio.

            Al “sappiamo” di Nicodemo, Gesù propone un altro modo di essere e di vivere: il modo di “non sapere”, di “rinascere dall’alto”.

 

            E’ necessario rinascere dallo Spirito, in quanto solo lo Spirito ci rende capaci di intendere le cose spirituali, senza lasciarci guidare da principi puramente umani. Lo Spirito interviene nello spazio della nostra povertà e insicurezza, ispirandoci a dire o a fare cose che non avevamo programmato.

 

 Intuito e ragione. 

«Fin da quando eravamo giovani ci è stato insegnato ad essere autonomi, competenti e a pianificare la nostra vita, a volte con chiare certezze morali e religiose. Tali certezze danno sicurezza, questo è importante e necessario. Tuttavia, Gesù sta affermando un nuovo sentiero che implica rischi, insicurezza e vulnerabilità. Implica intuito e fiducia più che ragione.

Una volta, un cronista televisivo mi chiese come capii di dover lasciare la marina militare per seguire Gesù, come seppi che la mia vocazione era di vivere con persone disabili. Lo sorpresi, chiedendogli in risposta: “Lei è sposato? Perché ha chiesto a questa donna in particolare di essere sua moglie?”. Era confuso. Gli dissi: “Ci sono momenti nella nostra vita in cui non ragioniamo sulle cose, ma sappiamo, nel profondo del nostro cuore, che questa è la cosa giusta da fare”.

Sentiamo o intuiamo delle cose. Esse non sono programmate. Non possiamo controllare lo Spirito, dobbiamo lasciarci guidare da lui. Questo ci porta ad assumere dei rischi, a vivere in comunione con Dio e con gli altri.

 “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne…Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé: contro queste cose non c’è legge” (Gal 5,16.22-23)».

                                                                                     

                                                                                                                              Jean Vanier