Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 padre Scalfi si dedicò sempre di più a far conoscere il samizdat, cioè i testi che si diffondevano clandestinamente in Unione Sovietica per esprimere la resistenza all’ideologia imperante ma soprattutto per testimoniare una visione dell’uomo inteso come libertà, responsabilità e comunione. Questi testi non erano necessariamente di autori cristiani, e andavano da lettere aperte e appelli, a poesie, romanzi, saggi di filosofia e teologia. In comune, avevano la fede nell’uomo.
« Se accendono le stelle vuol dire che qualcuno ne ha bisogno? » (Majakovskij). Noi rispondiamo positivamente. Abbiamo bisogno delle stelle. Abbiamo bisogno di goni cosa bella, buona e vera, perché abbiamo bisogno di felicità. Soltanto che la felicità, come l’arte, come la vita, ha bisogno di una roccia su cui edificarsi se vuol essere una casa che resiste alle tempeste, per non crollare, come dice il Vangelo. Václav Havel ha definito la cultura « rapporto del particolare con l’assoluto ». La felicità, parte della cultura di un popolo sano, non può essere da meno. Riconosco che a parlare oggi del desiderio di felicità, della ricerca della verità, si passa per gente non aggiornata, ma come cantava Okudžava, « finché la terra ancor gira, finché la luce è ancora chiara », vale la pena ostinarsi nel coltivare questo desiderio e insistere in questa ricerca.
(Padre Romano Scalfi)