Gen 18,20-32; Sal 137(138); Col 2,12-14; Lc 11,1-13
La preghiera, tema predominane in questa domenica, è un continuo e costante dialogo d’Amore che Dio vuole con l’uomo. Noi allora non dobbiamo ridurla a formule o precetti devozionali ma ogni uomo dev’essere umile e riconoscersi fragile, riposare nel Padre e fidarsi di Lui (cfr papa Francesco nell’udienza del 15.11.2017) nei tanti avvenimenti che la vita ci presenta.
Testo e commento alle Letture
Dal Libro della Genesi (18,20-32)
In quei giorni, disse il Signore: “il grido di Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!”. Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sodoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: ”Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?2. Rispose il Signore:” se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo”. Abramo riprese e disse: ”Vedi come ardisco a parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?”. Rispose: “Non la distruggerò se ve ne troverò quarantacinque”. Abramo riprese ancora a parlargli e disse: “Forse là se ne troveranno quaranta. “Non lo farò per riguardo a quei quaranta”. Riprese: “Non si adiri il mio Signore se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta”. Rispose: “Non lo farò se ve ne troveranno trenta”. Riprese. “Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti”. Rispose: “Non la distruggerò per riguardo a quei venti”. Riprese: “Non si adiri il mio Signore se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci”. Rispose: “Non la distruggerò per riguardo a quei dieci”.
Il brano della Genesi ci presenta un interrogativo attuale, quante volte anche noi ci siamo chiesti come il Signore agisce e cosa ha maggior peso, la cattiveria di molti o la bontà di pochi? Purtroppo nella storia della nostra vita, nella società in cui viviamo assistiamo tante volte ad avvenimenti di violenza, allora dentro di noi ritorna con prepotenza l’interrogativo dell’azione di Dio. Dio è Amore non scordiamocelo. Lui ha un amore che permette di superare la giustizia umana. Lui punisce il peccato non il peccatore: la gloria di Dio è l’uomo vivente! A noi è solo chiesto di essere “intercessori” che, forti della fiducia che pongono in Dio, chiedono il Suo intervento per porre fine al male e dare alla vita dell’uomo senso e significato. Da notare, infatti, il dialogo bellissimo tra Abramo e il Signore. C’è da un lato il progressivo assottigliarsi del numero dei giusti (50, 45, 40, 30, 20 e infine 10 e cioè il numero minimo per costituire nell’ebraismo una comunità), dall’altro lato “l’ardire” di Abramo che esprime il suo essere consapevole della sua “pochezza” e la sua ferma fiducia al totalmente Altro che sa amare e ascoltare.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (2,12-14)
Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato la vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
Con questi versetti della lettera ai Colossesi Paolo afferma che Dio ha voluto in Cristo dare la vita nuova anche a noi: ecco il significato del battesimo. In tale battesimo noi anticipiamo realmente l’intera vicenda della nostra assimilazione a Cristo, dal germe iniziale della sua morte allo splendore glorioso della sua risurrezione finale. Bellissima poi è la parte finale di tale brano che è un frammento di un inno che proclama la vittoria di Cristo sulla croce. Ma per capire pienamente questo brano dobbiamo contestualizzarlo ricordando che nel giudaismo il rapporto dell’uomo verso Dio è visto come quello del debitore verso il creditore. Come il mercante riscuote, tramite l’esattore, quanto gli è dovuto, così Dio, tramite l’angelo degli uomini, riscuote ciò che gli si deve. Il giudizio divino avviene sulla base di quanto è stato registrato nel libro della contabilità celeste. A Dio è rivolta questa preghiera: “Padre, nostro Re, strappa per la tua grande misericordia il registro dei nostri debiti (cfr Is 43,25; Mt 6,15; Lc 11,4). Ora Paolo qui dichiara che tutti gli uomini sono debitori insolubili verso Dio, ma il documento scritto contro di noi che Cristo annulla e toglie di mezzo inchiodandolo alla croce è la legge mosaica che con le sue prescrizioni ha appesantito la religione rendendo l’uomo schiavo di tali precetti. Ma è importante ricordarlo a noi, chi è morto con il Cristo è morto agli elementi del mondo, le vecchie prescrizioni non lo riguardano più, ma ritiene i beni del mondo un dono di Dio da usare con libertà. L’agente della salvezza è la potenza di Dio e non il nostro moralismo religioso che spesso ci impone determinati comportamenti, è Lui che farà risorgere anche noi perché solo “la Verità ci farà liberi”.
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (11,1-13)
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono».
In questo brano il teologo Luca ci dice che Gesù insegna ai suoi discepoli la preghiera distintiva del “Padre nostro” e rivolgendosi a Dio lo chiama: “Padre” e cioè Abba (babbo) e questo ci indica lo stile dell’intimità fiduciosa della preghiera che il Signore ci vuole trasmettere. La parabola che ne consegue ci dice la perseveranza che l’uomo deve avere nella preghiera perché pensiamo alla parabola del giudice ingiusto (18,4-5). L’amico cede alle richieste del suo vicino solo per l’insistenza di quest’ultimo. Lui, sappiamo bene, che è più buono di un amico infastidito e comprensivo, quindi certo non ci darà una pietra se gli chiediamo un pane; o una serpe se gli chiediamo un pesce; né tanto meno un uovo sarà sostituito dallo scorpione bianco palestinese, che ha l’aspetto esteriore di un piccolo uovo bianco; ma come segno dell’amore paterno di Dio non ci darà semplicemente “cose buone”, come il testo parallelo di Mt dice, ma lo stesso Spirito Santo. Quale ricchezza e sicurezza abbiamo nella vita! Abitiamo la nostra storia personale rendendo il nostro cammino storia di salvezza per il Regno.
Commento patristico
La preghiera è un grido che si leva al Signore. Quando si grida con il cuore per quanto la voce del corpo resti in silenzio, il grido, impercettibile all’uomo non sfuggirà a Dio. Ora questo grido del cuore consiste in una grande concentrazione dello Spirito, la quale quando avviene nella preghiera manifesta il profondo desiderio e l’ardore che sorreggono l’orante a non disperare del risultato. E si grida con tutto il cuore quando nel pensiero non si ha altro che la preghiera (Dall’esposizione sui salmi, S. Agostino).
Commento francescano
Nella Rnb al capitolo 22 viene descritto cosa Francesco intendesse riguardo alla preghiera e il suo conseguente insegnamento. Per Francesco la Regola della vita è il Vangelo, quindi spesso facendo riferimento a brani ben precisi esortava i fratelli ad avere la Parola di Dio nel cuore e il cuore in Dio (Leonhard Lehmann). Francesco è però ben consapevole della lotta che l’uomo deve affrontare tra il bene e il male quindi dice: “E guardiamoci bene dalla malizia e dall’astuzia di Satana, il quale vuole che l’uomo non abbia la sua mente e il cuore rivolti a Dio”. Esorta dunque tutti i frati a “servire, amare, adorare e onorare il Signore Iddio, con cuore mondo e con mente pura, ciò che egli domanda su tutte le cose”. Tutto questo deve costituire lo stile delle nostre azioni quotidiane affinché, “non si spenga lo Spirito della santa orazione e devozioni al quale devono servire tutte le altre cose temporali” (Rb 5,2).
Orazione finale
O Dio davanti al male l’uomo si sente indifeso; ma Tu, Padre misericordioso, fa’ che non ricada nella spirale della violenza ma, lavorando per il bene comune, si affidi a Te.