Is 66, 18-21; Sal 116; Eb 12, 5-7.11-13; Lc 13, 22-30
Introduciamo il commento alle letture odierne ricordando un episodio della vita di santa Teresa d’Avila che, afflitta dall’ennesima infermità fisica nel corso di uno dei faticosi viaggi di fondazione attraverso la Spagna, si lamentò con il Cristo dicendo: “Signore, dopo tante noie, ci voleva anche questo guaio!”. Gesù le rispose: “Così tratto i miei amici” e lei, di rimando, “Ah, Dio mio, ora capisco perché ne avete così pochi”. Il cammino di fede cristiana passa per la porta stretta della rinuncia al proprio ego, all’imposizione dei propri schemi mentali, dei giudizi limitati, della superbia, della prepotenza, anche nelle loro forme più sottili e mascherate. Teresa d’Avila, donna inizialmente amante delle comodità, passionale, volitiva, imparò anche dalla sofferenza fisica e interiore a conformarsi all’immagine di Cristo per passare attraverso quella porta di misericordia aperta a tutti eppure attraversata da pochi. Seppe trarre insegnamento dalle piccole e grandi umiliazioni della vita, dalla malattia, allenandosi con perseveranza a lasciarsi guidare dal Signore.
Testo e commento alle Letture
Dal Libro del profeta Isaia (66,18-21)
18 Così dice il Signore: “Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. 19 Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti di Tarsis, Put, Lud, Mesech, Ros, Tubal e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni. 20 Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l’offerta su vasi puri nel tempio del Signore. 21 Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti, dice il Signore”.
La paternità di Dio sull’uomo è universale. Siamo ancora nell’Antico Testamento, eppure il messaggio lanciato dal Signore per bocca di Isaia parla di un Dio che desidera manifestarsi ad ogni creatura. La tentazione della chiusura elitaria è sempre in agguato fra gli israeliti, come vedremo all’inizio del Vangelo odierno, nella domanda tipicamente giudaica posta a Gesù, così come lo è nel nostro cuore, spesso ambizioso, presuntuoso, desideroso di primati e di privilegi. La larghezza della misericordia divina non è un invito all’irresponsabilità: è un richiamo commovente ad una presa di responsabilità maggiore sulla nostra vita, perchè si spogli di tante inutilità per passare per la porta stretta, e su quella degli altri, alla cui salvezza contribuiamo anche noi con le nostre parole e con le nostre azioni.
Dalla Lettera agli Ebrei (12,5-7.11-13)
5 Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
“Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
6 perché il Signore corregge colui che egli ama
e sferza chiunque riconosce come figlio”.
7 È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? 11 Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. 12 Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite 13 e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Dice Papa Francesco: “Quando il popolo si allontana da Dio, diffida di Lui e non gli obbedisce, sperimenta l’afflizione della prova. Dio la permette con una ottica di salvezza, affinché il popolo peccatore, sentendo il vuoto e l’amarezza di essere lontano da Lui possa aprirsi alla conversione e al perdono. Dio parla con amore alla coscienza dei suoi figli, affinché si pentano e si lascino amare di nuovo da Lui. La salvezza è sempre un dono gratuito di Dio, ma presuppone la decisione di ascoltarlo e lasciarsi correggere da Lui. La correzione è parte del percorso della misericordia divina. Dio perdona il suo popolo, lascia sempre una porta aperta alla speranza, Dio non chiude mai la porta” (Omelia, 3 marzo 2016).
La correzione costituisce un allenamento interiore, una palestra spesso faticosa che, se vissuta con perseveranza, conduce alla fortezza, alla pace e alla vera giustizia. “Sul momento” è fonte di amarezza; se integrata in noi, se accolta e lasciata “ruminare”, ci permette il passaggio attraverso la soglia che conduce ad una vita piena, bella, redenta.
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (13,22-30)
22 In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme. 23 Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: 24 «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. 25 Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. 26 Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. 27 Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità! 28 Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. 29 Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30 Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi».
La durezza di Gesù è determinata dall’urgenza della salvezza: di fronte alle nostre lentezze, alle perdite di tempo su ciò che non è essenziale se non addirittura su ciò che è “iniquo”, cioè sproporzionato, malvagio, non ragionevole, la risposta di Gesù si fa volutamente provocatoria. La domanda posta («Signore, sono pochi quelli che si salvano?»), tipica del giudaismo, vuole indagare la volontà di Dio e piegarla, in fondo, ai propri desideri d’elite, di una salvezza destinata a pochi osservanti. Nel dibattere con i giudei, Gesù dibatte con il “giusto” che abita in ciascuno di noi, conducendolo ad una giustizia divina, aperta, di misericordia, e allontanandolo da una giustizia forense, umana, iniqua. La palestra di Cristo è una cura dimagrante per l'”io” di ciascuno di noi che va diretto, condotto “oltre”, “al di là” (questi sono i termini alla base del significato della parola “ultimo”) delle proprie visioni ristrette e troppo schematiche, rigide. La “porta stretta”, stretta se guardata dal punto di vista dell'”ego”, è in realtà una porta larga, di amore viscerale, materno, inesauribile, capace di lasciar entrare uomini e donne dai quattro angoli della terra.
Commento patristico
Leggiamo da “La correzione e la grazia” come sant’Agostino scandagli l’animo umano, mettendone in luce i moti più sottili e aiutandoci a conoscere noi stessi, le nostre difficoltà e le grandi potenzialità contenute nell’accettazione di una correzione:
“Se tu, chiunque sia, non adempi i precetti che ti sono già noti e non vuoi essere rimproverato, anche per questo sei da rimproverare, perché non vuoi essere rimproverato. Infatti non vuoi che ti siano dimostrati i tuoi difetti; non vuoi che essi siano colpiti producendo un dolore per te utile, che ti induca a cercare il medico; non vuoi essere mostrato a te stesso in modo che, vedendoti deforme, tu senta il bisogno di chi ti può cambiare e lo supplichi di non farti rimanere in quella turpitudine. Certamente è colpa tua il fatto che sei malvagio e colpa ancora maggiore non voler essere rimproverato per la tua malvagità. Si direbbe quasi che i difetti siano da lodarsi o da mantenersi nell’indifferenza, senza elogiarli né vituperarli; o che il timore dell’uomo che si è visto ripreso non abbia alcuna efficacia, e nemmeno la sua vergogna o la sua pena; al contrario, questo è l’effetto che ottengono simili sentimenti, pungolando in maniera salutare: che si preghi il buon Dio e che i malvagi da rimproverare si trasformino in buoni da lodare. Quel dolore per cui è ingrato a se stesso, quando sente l’aculeo della riprensione, lo incita ad un desiderio di più intensa preghiera; cosicché, grazie alla misericordia di Dio e aiutato dall’incremento della carità, smette di fare cose che richiamano vergogna e dolore e compie cose che richiamano lode e plauso. Questa è l’utilità della riprensione, che viene usata con esito salutare in grado ora maggiore ora minore in proporzione ai diversi peccati; e allora ha esito salutare, quando il Medico celeste le rivolge il suo sguardo. Infatti essa non giova se non quando fa sì che uno si penta del suo peccato. E chi è che concede ciò, se non Colui che volse il suo sguardo all’apostolo Pietro mentre lo rinnegava e lo fece piangere? Perciò anche l’apostolo Paolo, dopo aver detto che se alcuni hanno convinzioni diverse, vanno ripresi con modestia, di seguito aggiunge: Perché forse Dio concederà loro il pentimento affinché conoscano la verità, e rinsaviranno liberandosi dai lacci del diavolo (2 Tm 2, 25-26)”.
Commento francescano
L’Ammonizione XXII (“Della correzione fraterna”) (FF 172) dice: “Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente da un altro la correzione, l’accusa e il rimprovero, come se li facesse a sé. Beato il servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il servo che non è veloce a scusarsi e umilmente sopporta la vergogna e la riprensione per un peccato, sebbene non abbia commesso colpa”.
All’ordinario atteggiamento con il quale vivere le correzioni meritate, Francesco aggiunge che si è beati, cioè veri discepoli di Cristo, quando si accettano le correzioni immeritate, per ciò che non si è commesso: passaggio difficilissimo, fonte di amarezza ancora più grande, come ben sapeva il Santo che fu osteggiato e umiliato dai suoi stessi compagni, anche dai più giovani e inesperti, e tutto sopportò affidandosi alla preghiera e al silenzio, alle mani sicure del Cristo, fino a riportarne i segni nelle stigmate visibili.
Orazione finale
O Padre, che chiami tutti gli uomini per la porta stretta della croce al banchetto pasquale della vita nuova, concedi a noi la forza del tuo Spirito, perché unendoci al sacrificio del tuo Figlio, gustiamo il frutto della vera libertà e la gioia del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
(Colletta XXI Domenica T.O./C)