Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104 (105); Eb11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40
La Famiglia di Nàzaret, che oggi festeggiamo, è certamente il modello, dolce ed esigente a un tempo, in cui ogni famiglia può specchiarsi per scoprire giorno dopo giorno la propria vocazione originaria. I membri della famiglia sono legati tra loro naturalmente e sacramentalmente per presentarsi al Signore insieme (cf. Lc 2,22), per aiutarsi vicendevolmente nel cammino verso la Gerusalemme del Cielo.
Commento alle Letture
Àbram riceve una Parola di speranza e di consolazione (Gen 15,1-6; 21,1-3): è invitato a non temere, perché Dio gli darà l’erede desiderato e, in più, una discendenza numerosa quanto le stelle del cielo.
L’esperienza del patriarca insegna come il figlio (e il fratello nella fede) viene da Dio, e non “quando lo si merita” o “come lo si vuole”. È grazia. Riconoscerlo tale, aiuta anche a difenderne la dignità, rispettarlo come persona, amarlo senza “se” e senza “ma”.
Grazie al brano della Lettera agli Ebrei (11,8.11-12.17-19) possiamo meglio capire come alla famiglia di Abramo e Sara non è stato chiesto l’impossibile, bensì di credere in colui che può operare l’impossibile.
Così anche ogni altra famiglia può collaborare con Dio, contribuendo a creare in se stessa le condizioni perché il suo disegno si realizzi. E questo, a partire dall’ascolto della Parola: « Abramo, chiamato da Dio, obbedì » (Eb 11,8).
Commento al Vangelo
Nella pericope evangelica (Lc 2,22-40) vediamo Maria e Giuseppe condurre al tempio Gesù come tanti giovani genitori portavano il loro primogenito. Confessavano così che quel figlio apparteneva a Dio. Lo riconducevano a Dio per testimoniare che da Lui lo avevano ricevuto.
La vita ci è data come un regalo, gratuitamente, e questo regalo è il Signore a farcelo. Il figlio è un dono per la famiglia; il fratello nella fede, un dono per la comunità.
Maria e Giuseppe sono chiamati ad una genitorialità che quasi sicuramente non avevano messo in conto, non faceva parte dei loro progetti da fidanzati. Al tempio quel giorno, Simeone « mosso dallo Spirito » li aiuta a capire meglio come quel figlio non è “per loro” e « il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui ».
I genitori, e chi per loro, sono responsabili nel rendere autonomi nella vita come nel cammino di fede e nelle scelte vocazionali le “loro creature”. Gesù era « la consolazione d’Israele » per « quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme ». Così su ciascuno il Signore ha un progetto che i genitori possono aiutare a scoprire, aldilà di qualunque aspettativa personale o, ancor più, aldilà di qualsiasi pretesa.
« Voglio un maschio », « Noi vogliamo una femmina », « Da grande farà il mestiere di suo padre »… « Signore, cosa desideri per nostro figlio? Aiutalo ad accogliere nella vita il tuo progetto. E aiuta noi… ad aiutarlo ».
Anche tra loro gli sposi hanno il compito di un vicendevole ausilio. Maria non si è occupata del Bambino senza Giuseppe; e lui, secondo i racconti evangelici, non è salito senza Maria ripetutamente a Gerusalemme. È un cammino insieme, quello degli sposi, per scoprire insieme il vero volto di Dio, che è comunione. C’è la fatica, come stancante è stato per la Sacra Famiglia alloggiare a Betlemme in un povero alloggio, fuggire in Egitto, scoprire di aver perso il figlio di ritorno dal tempio, e chissà quant’altro. Eppure sopportando la fatica del cammino, si giunge alla meta: « portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore ».
Commento francescano
La mamma del Santo di Assisi, madonna Pica, è lodata dalle Fonti come “specchio di rettitudine” e figura “tenera e compassionevole con il figlio”. Il suo amore ha segnato certo la sensibilità di Francesco, che parla di « madri » e « figli » per indicare i frati che negli eremi si avvicendavano tra servizio fraterno e vita contemplativa (cf. Rer 1.4-5.8-10: FF 136-138). L’amore materno è nel linguaggio del Poverello il parametro di misura della carità che tutti i frati in generale sono chiamati a realizzare tra loro (cf. Rnb IX,11: FF 32).
Il biglietto a frate Leone, in particolare, rivela come l’Assisiate si sentisse nei suoi confronti « madre » che dà fiducia da una parte e, dall’altra, è sempre pronta a consigliare e consolare:
« Così dico te, figlio mio, come una madre: che tutte le parole, che abbiamo detto lungo la via, le riassumo brevemente in questa parola di consiglio, e non c’è bisogno che tu venga da me a consigliarti, perché così ti consiglio: in qualunque maniera ti sembra meglio di piacere al Signore Dio e di seguire le sue orme e la sua povertà, fatelo con la benedizione del Signore Dio e con la mia obbedienza.
E se a te è necessario, perché tu ne abbia altra consolazione, che la tua anima ritorni a me, e tu lo vuoi, vieni! » (LfL2-4: FF 250).
Orazione finale
Famiglia di Nàzaret, « abbraccio di Dio con l’uomo », ispira ad ogni famiglia quell’amore che era vivo nella tua casa. Ispiralo alla Chiesa e a ciascuna Comunità, chiamata a guardarti per imparare la fiducia in Dio e l’obbedienza caritatevole, il silenzio necessario all’ascolto e il dialogo fraterno, il cammino continuo che da Betlemme, passando per il Calvario, giunge fino alla Gerusalemme del Cielo. Amen.