LECTIO DIVINA – XIX T.O. / A – 13 AGOSTO 2017

1 Re 19, 9a.11-13a Sal 84; Rm 9, 1-5; Mt 14,22-33

Nell’antifona d’ingresso ci viene presentato il “gregge del Signore” come sconfitto e senza guida che lo invoca affinché tenga presente la fedeltà della sua alleanza.  Noi oggi abbiamo la stessa angoscia dell’antico popolo di Israele anche se la attribuiamo “stoltamente” alle vicissitudini della nostra vita. Per questo nella liturgia, la Chiesa ci invita a pregare il Signore e ad ascoltare… il suo silenzio che continua ad istruirci e a consolarci.

Commento alle letture

Elia nella prima lettura ci parla di una rivelazione silenziosa di Dio aprendoci ad una esperienza interiore del nostro rapporto con l’Eterno: la voce potente terribile di Dio tace per far posto a quella dolce della grazia che perdona. Dio può risvegliare gli uomini per mezzo delle prove della sua potenza ma, per toccare i nostri cuori, non esita ad usare la voce tenera della grazia nonostante tutta la nostra indegnità.

Nel brano della Lettera ai Romani proposto dalla liturgia di oggi, Paolo mostra la sua sofferenza nel vedere il distacco dei Giudei da Cristo, nonostante i tanti privilegi ricevuti.

Infatti egli vorrebbe essere separato da Cristo se ciò portasse qualche vantaggio a coloro che considera fratelli

Noi, come loro, non possiamo ritenerci a posto perché cristiani per “nascita”, per ambiente o per cultura perché Dio è guidato unicamente dalla sua misericordia. Dio chiama tutti gli uomini alla salvezza e solo la nostra libera adesione ci fa essere suo popolo.

Commento al Vangelo

Nel Vangelo di questa domenica siamo di fronte a un altro segno miracoloso: Gesù cammina sulle acque. Il racconto è costruito da una breve narrazione ed una conversazione. La narrazione introduce, e giustifica, il dialogo. Ma mentre la narrazione si concentra su Gesù ed i suoi discepoli, il dialogo di Gesù ha Pietro come interlocutore unico. I discepoli rientreranno nel racconto, e come credenti, solo quando sono in salvo, il vento calmato, Gesù e Pietro sulla barca.

Gesù, soddisfatta la fame della moltitudine, sente la necessità di rimanere da solo e lascia che i suoi navighino soli in mezzo alla notte ed al temporale. Non è la prima volta che Gesù abbandonava momentaneamente chi lo seguiva; ma normalmente non li lasciava neanche soli in mezzo al mare in tempesta. Con tutto ciò, Gesù non tarda a farsi presente, perfino quando non gli è stato chiesto ancora l’aiuto. Andando verso di loro, i suoi discepoli lo confondono con un fantasma: non potevano immaginarsi chi fosse colui che, davanti ai loro occhi, aveva sfamato la moltitudine. Ben poco avevano capito di quanto avevano appena visto! 

La parola di Gesù, familiare in mezzo alla tempesta, li tira fuori dalle loro paure, ed incoraggia Pietro ad imitarlo camminando sulle acque. Ma il mare e la paura possono condizionare più che la fiducia: l’invito che Gesù fa a Pietro affinché vada al suo incontro non riesce a salvarlo dai suoi dubbi. E l’incredulità cresceva nel cuore di Pietro man mano che, camminando sull’acqua, affondava nel mare. Non gli bastò l’obbedienza a Gesù al quale aveva appena detto “comandami” e solo la mano del Maestro gli salvò la vita.

Sul mare ostile di questo mondo, la barca della Chiesa, avanza in mezzo alle onde. Il Signore non è nella barca: si attende il suo ritorno per la fine della notte. In questo intervallo di tempo, la chiesa proseguirà il suo cammino verso il porto della salvezza soltanto con la fede nella parola potente del Signore risorto. Anche dopo la resurrezione, la fede dei discepoli conosce molte incertezze: il loro cuore è attraversato dalla paura di fronte a colui che scambiano per un fantasma.

E’ ciò che normalmente succede a noi che, spossati per le difficoltà, ci dimentichiamo dell’aiuto che Dio ci ha appena prestato: l’ultimo pericolo, la necessità più recente, la nuova pena, ci fanno credere di essere stati dimenticati da Gesù.

L’unica maniera sicura di distinguerlo nella notte, in mezzo alla nostra angoscia, è tornare ad ascoltare Gesù. Affinché nella nostra vita torni a sorgere la speranza di essere in salvo, come i discepoli nella barca, dobbiamo lasciare che Gesù ci parli. La sua parola ci tirerà fuori dalla paura, benché ancora non sia sparita la tempesta; la sua mano ci afferrerà con più forza che il temporale. Ci allevierà la pena, benché stiamo soffrendo ancora.

Il peggiore dei temporali che può cadere su noi non è quello che mette più in pericolo la nostra vita, bensì quello che occulta Dio e ci fa dubitare del suo interesse per noi. Finché continuiamo a sentirlo, finché lo seguiamo per sentirlo meglio, avremo ancora motivi per contare sulla sua presenza ed il suo aiuto. Perdiamo Dio, e ci perdiamo noi stessi, perché, dovendo fare tanto per salvarci, non abbiamo tempo di ascoltarlo.

Commento Francescano

«Vedendolo camminare sulle acque, i discepoli furono sconvolti e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”» (Mt 14,26-27). Essere profeti in questo tempo è scegliere di camminare sulle acque come i poveri di oggi, con la speranza nel cuore, per rivelare la vicinanza di Dio, che non abbandona mai l’umanità. Francesco e Chiara, rispondendo alla voce dello Spirito, scelsero di vivere il Vangelo, a livello personale e fraterno, senza nulla di proprio: “Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino per le elemosina” (Regola di Santa Chiara, FF 2795). La predilezione per la povertà radicale si ispira all’amore di Cristo; dall’amore per il Cristo povero e crocifisso nasce il coraggio di riscegliere la marginalità e recuperare la dimensione profetica. Non dobbiamo avere paura se, anche se spossati dalle difficoltà, ci fermiamo ad ascoltare la voce dello Spirito e respingiamo ogni comodità e compromesso che non renda credibile la libertà del Vangelo. Vivendo di contemplazione sulla soglia del Mistero siamo chiamati a essere testimoni delle parole che affondano in Dio.

Preghiera

Signore, spesso mi capita di subire la violenza del mare e del vento perché la mia lotta è debole, la mia volontà è incerta, mi scoraggio di fronte alla potenza del male perché non credo e non voglio credere che Tu puoi tutto. Aiutami ad uscire da me stesso, dammi il coraggio di scendere dalla barca, quell’unica certezza, che non mi salverà dalla violenza delle onde. Non permettere che io affondi nel mare delle incertezze e della superbia, ma fa che la mia storia diventi un narrare le Tue opere, e non le mie.  Amen.

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