LECTIO DIVINA – 27 Ottobre 2019 – XXX Domenica T. O. / C

 

Sir35,15b-17.20-22a;Sal33(34); Tm4,6-8.16-18; Lc18,9-14

 

La liturgia di oggi ci fa entrare nel mistero del Signore giudice. La giustizia di Dio non è una sentenza, è la verità del nostro cuore che riesce a vedersi con onestà, è la verità che si rende manifesta. Da ciò deriva anche che il termine giusto, nel lessico biblico, non è sinonimo di innocente ma di corretto.  

 

Testo e commento alle Letture

 

Dal libro del Siracide  (35,15b-17.20-22a)

 

Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

 

Dio sa come siamo e per cosa ci ha creati e vuole che tutti arriviamo a partecipare della comunione per la quale ci ha creati. Sapendo che noi non siamo in grado di farlo da noi stessi, lo fa Lui. Proprio in nome della sua giustizia, non rinuncia a noi. Lasciamolo agire, supplichiamolo da poveri, quali realmente siamo. La preghiera del povero attraversa le nubi.

 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (4,6-8.16-18)

 

           Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. 7Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. 8Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
16Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. 17Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. 18Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

           

            Paolo è certo che Dio gli offrirà la salvezza anche nell’ultima ora: Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore mi consegnerà e ancora Il Signore mi porterà in salvo nei cieli. La morte è vista come compimento di ciò che è già stato iniziato da Dio nel corso della sua esistenza terrena, è attesa con amore come partecipazione totale a Cristo.

Da questa lettera capiamo che, per Paolo, la giustizia di Dio consiste nell’offrire all’uomo la salvezza. “Già in Gal 2,11-21, Paolo dà al verbo  essere giustificato  la sua impronta cristiana. Noi abbiamo creduto in Cristo Gesù, per essere giustificati a motivo della fede in Cristo, e non a motivo delle opere della legge (Gal 2,16). Con ciò la nozione di giustizia cambia completamente. Ormai l’uomo crede in Dio, e Dio lo  giustifica , cioè gli assicura la salvezza mediante la fede e l’unione con Cristo.” (Dizionario di Teologia biblica Dufour)

 

 

Testo e commento al Vangelo

 

 Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)

 

Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 

Essere giustificato nel lessico biblico significa dimostrare la correttezza del proprio comportamento, che non coincide con l’essere innocente. Nessun essere umano è innocente, perché tutti noi abbiamo le radici del male nel nostro cuore e siamo complici del male in misure diverse e spesso senza rendercene conto. Dice il Salmista: Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre (Sal 51,7). Nella parabola né il fariseo né il pubblicano sono dichiarati innocenti, sono peccatori tutti e due. Non c’è un “approvato” e uno “squalificato”. Ci sono due posture diverse nei confronti del proprio peccato. Ci sono due comportamenti di cui uno permette al soggetto di accogliere la grazia di Dio, l’altro non consente a Dio di penetrare con la sua misericordia, il suo perdono e la sua pace.

Il fariseo mette davanti a Dio la sua presunta giustezza, le sue opere buone. In sostanza si autocompiace e disprezza l’altro. Si fida di sé stesso, di quello che può e riesce a fare con le sue forze. Il  fariseo non è povero, nel senso che sta coprendo di false ricchezze la sua povertà. Vuol mostrare a Dio il vestito bello e sgargiante ma  l’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore (1Sam 16,7). Il problema del fariseo non è il suo peccato, è la sua poca onestà. Quel vestito luccicante che ostenta è una cortina che lo separa dall’amore di Dio.

Il pubblicano è povero, nel senso che si mostra a Dio così come è, senza sotterfugi, senza nascondimenti. Abbi pietà di me peccatore, che tradotto potrebbe essere: “Signore, guarda il mio peccato, te lo porto davanti. Guardami in questa mia vigliaccheria, in questa mia disonestà, in questa mia cattiveria, in questa mia incapacità, in questa mia infedeltà,  in questo mio egoismo, in questa mia resistenza a te”.  Gesù ci suggerisce un’ onestà, che è alla nostra portata e che è a fondamento della preghiera fatta con ostinazione e fiducia finché l’Altissimo non sia intervenuto (Sir 35,18) a guarirci.

 

Il giudizio divino, quindi, non è una sentenza, quanto una rivelazione del nostro cuore, che in realtà facciamo noi. Siamo noi infatti a decidere cosa fare del nostro peccato, se nasconderlo o mostrarlo a Lui. Secondo l’atteggiamento che ciascuno assume, il giudizio si compie subito e consiste nell’ accogliere la salvezza e nell’essere riaccolti nella casa del Padre a condividere le sue ricchezze, quelle vere: la pace, la gioia, la comunione con gli altri, la verità, la libertà.

 

 

Commento francescano (Regola non bollata: FF 32)

 

E con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in tutte quelle cose in cui Dio gli darà grazia. E colui che mangia, non disprezzi chi non mangia.

 

 Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia. Il fariseo non disprezzi il pubblicano, non lo consideri un estraneo e un indegno; piuttosto lo consideri come un figlio a cui dare ciò di cui ha bisogno. Francesco ci ricorda che ognuno di noi è chiamato ad essere madre dell’altro per ciò che può e in tutte quelle cose in cui Dio gli darà grazia.

 

                                                      

Commento patristico  (San Giustino, Dialogo con Trifone , XXX)

 

Noi che crediamo in lui lo preghiamo di preservarci dagli estranei, cioè dagli spiriti della malizia e dell’errore, come dice la parola profetica rappresentandosi nel ruolo di uno dei credenti in lui. Infatti sempre invochiamo Dio per mezzo di Gesù Cristo di preservarci dai demoni, che sono “estranei” al culto di Dio e che un tempo noi adoravamo.

 

Il fariseo della parabola avvertiva come estraneo, cioè come indegno del culto di Dio, il pubblicano. San Giustino ci dice che gli unici indegni sono i demoni. Questi spiriti agiscono sugli uomini e attraverso gli uomini ma a noi è chiesto di distinguere il peccato dal peccatore. Ci viene chiesto di aver misericordia per il peccatore ma di allontanare il male dal nostro cuore. È quindi del male che dovremmo preoccuparci, più che dell’uomo in sé, il quale è stato abilitato e redento da Cristo.

                                            

 

Orazione finale

 

Padre, insegnaci a non lasciarci scoraggiare dalla nostra precarietà e dalla nostre insufficienze ma a riconoscere in esse la porta della tua grazia. Per Cristo nostro Signore.

 

 

 

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