Sap 9,13-18; Sal 89 (90); Fm 2,12-14; Lc 14,25-33
Quante volte nella nostra vita ci siamo sentiti soli e smarriti nelle tante situazioni incontrate; ma è proprio qui che il Signore ci attende per rinnovarci riconfermando la nostra adesione a Lui, per riconoscerLo operante nelle nostre esistenze e crescere così insieme alla Sua sequela.
Testo e commento alle Letture
Dal Libro della Sapienza (9,13 -18)
Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza.
Quante volte ci poniamo degli interrogativi sulla volontà di Dio nella nostra vita e di conseguenza sul retto modo di agire nelle nostre azioni quotidiane. Oggi la liturgia ci indica la maniera giusta per porci di fronte a queste domande. Infatti, i capitoli 6-9 sono la seconda parte del libro che la liturgia ci presenta e si concludono con una preghiera che Salomone innalza a Dio per ottenere proprio la Sapienza. I versetti che ci riguardano sono la terza e ultima strofa di tale preghiera. Presenti sono quattro domande retoriche. La risposta è unica e può essere d’aiuto anche a noi oggi, ricordiamocelo! La Sapienza è il solo tramite tra Dio e l’uomo che ci rivela la Sua volontà. Proprio per questo si ha una lettura cristiana della Sapienza: diviene una personificazione di Cristo che secondo la volontà di Dio s’incarna tra gli uomini per donarsi all’umanità. Quanto detto sopra ci sottolinea che la salvezza può essere effusa solo per grazia e non per i nostri meriti. Nel versetto 15 infatti è importante notare che è presente la formazione greco culturale dell’epoca che poneva l’anima, e cioè la realtà spirituale, schiacciata dal peso del corpo, ma questa tensione corpo-anima era ben lontana dal radicalismo proprio di Platone; essa vuole semplicemente sottolineare i limiti di un’esperienza umana e porre quindi in risalto l’efficacia della sapienza di Dio come dono. Nel versetto 17 la Sapienza è posta in parallelo con il santo Spirito cioè con la manifestazione vivificante e salvifica di Dio. Dopo tutto questo, allora, impariamo come è importante invocare la sapienza perché la nostra vita abbia un itinerario diritto e perché, istruiti sui veri valori dell’esistenza, possa manifestarsi in essa la salvezza.
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Filemone (9b-10.12-17)
Carissimo, ti esorto io, Paolo, così come sono, vecchio e ora prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onesimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.
Qui vediamo Paolo vecchio e prigioniero che chiede al suo amico Filemone, suo collaboratore nell’annunciare il Vangelo, un singolare favore. Onesimo era uno schiavo generato alla fede da Paolo ma fuggito dalla casa Filemone, amico di Paolo. Il diritto romano prevedeva che una volta restituito lo schiavo fuggito al padrone, questi ne decideva la sorte. Paolo ricorda a Filemone che lui stesso è debitore all’apostolo dell’intera sua vita proprio perché anche lui si è convertito e gli chiede di accogliere Onesimo, seppur schiavo, come un fratello nella fede (anche noi ringraziamo Dio per le tante persone che abbiamo incontrato e ci hanno fatto innamorare di Dio). C’è qui il compimento di quello che Paolo scrive nella lettera ai Galati (3,28): “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.
Da notare che Paolo in tutto questo non da’ ordini come pastore e maestro ma invita l’amico a riconoscere nello schiavo convertito un fratello da accogliere come tale. Quanto lontani siamo da tale apostolo che abolendo ogni frontiera umana restituisce a tutti la propria dignità perché l’amore fraterno deve regnare sovrano!
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:” Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli e fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono cominciano a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini che gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.
Gesù seguito da “una folla” si rivolge al singolo cercando sempre e comunque un rapporto io-tu che dia la responsabilità personale alle singole scelte delle singole persone. Luca in questo brano usa frasi un po’ dure ma c’è bisogno di capirle perché la terminologia presente è quella ebraica che non conosce comparativi pertanto il termine tradotto con “amare di meno” (in greco è molto più duro ed è “odiare”) vuole semplicemente significare che il Regno di Dio deve essere preferito ad ogni realtà e per la sua costruzione l’uomo deve impegnarsi sapientemente come le due parabole ci insegnano. Insomma, davanti ad un’impresa così importante l’uomo deve comprendere come la divisione che Gesù propone non genera conflitto ma serenità e pace perché queste sono frutto della decisione riguardo alle priorità della nostra vita. E’ necessario perciò prendere posizione con la coerenza propria dell’uomo evangelico che non si fa spaventare o scoraggiare da inevitabili divisioni o contrasti che ogni scelta evangelica porta con sé. Innamorato di Dio, donerà totalmente la sua vita abbandonando ogni cosa che lo possa dominare, come il possesso delle cose o il potere sugli altri. Facendo spazio a Dio e al suo primato, assaporerà la vera libertà interiore.
Commento patristico
O Dio, creatore dell’universo, concedimi prima di tutto che io ti preghi bene, quindi che mi renda degno di essere esaudito, e infine di ottenere da te la redenzione. Non ho altro che il buon volere: so soltanto che le cose caduche e passeggere si devono disprezzare, le cose immutabili ed eterne ricercare. Ciò so, o Padre, poiché questo solo ho appreso, ma ignoro da dove si deve partire per giungere a te. Tu suggeriscimelo, Tu mostrami la via e forniscimi ciò che necessita al viaggio. Se con la fede ti ritrovano coloro che tornano a te, dammi la fede. Se con la virtù, dammi la virtù. Se con il sapere, dammi il sapere. Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità. O bontà tua ammirevole e singolare (Sant’Agostino: “Il maestro interiore”).
Commento francescano (FF 49)
E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni (omnia bona) e riconosciamo che tutti i beni (omnia bona) sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene (bona cuncta).
L’uomo è amato da Dio: questa è la sua ricchezza di fondo, che lo fa essere figlio di un Re, figlio di un Padre che è nei cieli. Accorgersi degli “omnia bona” e stupirsi di questa condizione sono costitutivi dell’essere dell’uomo. Egli è ricco non per merito o per suo guadagno, ma per abbondanza gratuita riversata su di lui dal Padre celeste che lo ha amato nel Figlio. Allo stupore per la ricchezza donatagli da Dio, l’uomo deve far seguire una fondamentale scelta, la loro restituzione. A questa fondamentale vocazione cristiana a cui Francesco richiama i suoi frati, si affianca l’esortazione inversa, costituita dal pericolo costante in cui si può incorrere nell’utilizzo di questi beni, quando invece di restituirli, cioè, si tenta di appropriarsene per un uso personale di autoesaltazione.
Orazione finale
Donaci o Dio di saperti invocare sul cammino delle nostre esistenze per ritrovarti Padre e poter chiamare fratello ogni uomo. Amen.