LECTIO DIVINA – 4 Agosto 2019 – XVIII Domenica T. O. / C

 

 

Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21

 

 

 

«L’uomo che spera di ricevere più dal denaro e dai possedimenti che non da Dio elabora molti progetti per prevedere, assicurare, dominare un avvenire che, di fatto, non gli appartiene. Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”. Non si tratta di vivere da sconsiderati: abbiamo tutti dei bisogni essenziali. Ognuno di noi ha necessità diverse, ed è importante che ciascuno possa disporre di ciò che è necessario all’equilibrio personale». Basta tenersi lontano dall’avarizia e dalla cupidigia che «ci spingono a disprezzare chi ci è inferiore o a invidiare chi ha più di noi. Da qui provengono tutti i conflitti, i litigi, le occasioni di afflizione e di divisione, gli odi e tante paure» (Suzanne Giuseppi Testut, I movimenti dell’anima. Passioni e virtù secondo san Francesco d’Assisi e i Padri della Chiesa).

 

 

Testi e commento alle Letture

 

 

Dal libro del Qoèlet (1,2; 2,21-23)

 

         1,2Vanità delle vanità, dice Qoèlet,

         vanità delle vanità: tutto è vanità.

         2,21Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.

         22Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? 23Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità.

 

«Vanità»: hebel. È il “fumo”: svanisce, è inconsistente, vuoto. Hebel sono gli idoli e hebel è la fuggevole esistenza umana… Habel habalim: «vanità delle vanità» – sono parole che Qoèlet ama usare spesso –. Quale senso ha ogni agire umano – si chiede –, dove nulla “rimane”? Che cosa resta delle immani fatiche dell’uomo sulla terra? Quale vantaggio se ne ha?

Dopo aver osservato la vita e averne tratto delle personali conclusioni, l’autore sacro ribalta la teoria che a ogni fatica corrisponda un buon frutto. L’uomo è destinato a trovare “la vera gioia che non tramonta” non nelle realtà create, ma in Chi le ha create! Godi sì della vita, non però da epicureo («Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!» – dirà il riccone del Vangelo –), ma come chi riconosce quel sommo Bene – Dio solo – da cui proviene ogni dono perfetto. Qualcuno in passato ha creduto di riconoscere Salomone nel “predicatore” (questo vuol dire il titolo Qoèlet): Salomone sì potrebbe dirci per esperienza come – togliendo Dio – il potere, la fama, la ricchezza e il piacere non possono da soli riempire il cuore umano (cfr. Sir 47,13-21).

 

Dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (3,1-5.9-11)

 

         1Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; 2rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.

         3Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! 4Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

         5Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria. 9Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni 10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.

         11Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

 

         La prima parte del brano (v. 1-4) costituisce una delle letture che ascoltiamo ogni anno celebrando la Domenica di Resurrezione. Invitando a cercare «le cose di lassù» Paolo è molto più concreto di quanto si possa pensare. Infatti, il modo più “efficace” per impegnarsi nella storia è tenere fisso lo sguardo al Cielo. Senza smettere mai di tener presente la meta, il cammino assume la giusta direzione e si sopportano meglio le fatiche del tragitto. Grazie al Battesimo, la nostra vita «nascosta con Cristo in Dio» ci fa comprendere come sia la fede in Lui il grande tesoro di cui nessuno mai ci potrà derubare.

        

 

Testo e commento al Vangelo

        

 

Dal Vangelo secondo Luca (12,13-21)

 

         In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

         16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!. 20Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

 

         Non sappiamo se nella pericope evangelica odierna Gesù si rifaccia a un fatto di cronaca avvenuto in quei giorni, certamente risponde ad una provocazione, un affare di famiglia nel quale non accetta di farsi coinvolgere, se non per insegnare di cosa l’uomo debba veramente avere “avido desiderio”. Narra così la parabola di un “pover’uomo… ricco”, chiuso – non a caso – nel proprio isolamento. Non sa far altro che ragionare «tra sé», progettando per sé e secondo i suoi propri desideri. La noiosa litania autocentrata che si fa carico di intonare va però poco avanti, per un colpo di scena: «Ma Dio gli disse…». Fa comparsa il Signore, che lo mette davanti alla sua stoltezza: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?».

         La ricchezza, che la sapienza antica lodava come un segno della benedizione divina potrebbe essere ancora considerata tale. Il punctum dolens è questo: è proprietà di cui godere egoisticamente o bene da amministrare condividendolo per i bisogni di tutti? C’è gioia vera nel goderne da soli? Affannandoci a costruire magazzini, rischiamo di perdere tempo e capacità che potrebbero servire al bene di tanti; – come si suole dire – condividendo, la gioia si moltiplicherebbe .

        

 

Commento patristico

 

         «Bisogna far uso della ricchezza da intenditore, non da consumatore.
         Uomo, imita la terra. Come lei, porta frutto, non mostrarti meno generoso di lei che non ha anima! Non è per goderne lei stessa che la terra produce i suoi frutti, è a tuo servizio. Perché dunque tormentarti così e fare tanti sforzi per mettere la tua ricchezza al riparo dietro la malta e i mattoni?» (S. Basilio Magno).

 

 

Commento francescano

 

         Nella Regola non bollata del 1221, il nostro Francesco di Assisi sensibilizza i suoi Frati riguardo all’avarizia e alla cupidigia, con queste parole:

«Il Signore comanda nel Vangelo: “Fate attenzione: guardatevi da ogni malizia e avarizia”; e: “Guardatevi dalla sollecitudine di questo mondo e dalle preoccupazioni di questa vita”» (Rnb 8,1-2: FF 28).

E nelle Ammonizioni:

«Beato il servo che restituisce tutti i beni al Signore Iddio, perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del Signore suo Dio, e gli sarà tolto ciò che credeva di possedere» (Amm 18,2: FF 168).

 

 

Orazione finale

 

         Liberaci, Padre buono, dalla cupidigia, che ci fa desiderare un fumo per cui ci scopriremmo un giorno a mani vuote. Aiutaci, invece, a riconoscere i tuoi continui, innumerevoli doni e a gioirne condividendoli con i fratelli.      

         Amen.

 

 

 

 

 

 

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