1 Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1 Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
Oggi celebriamo la solennità della Santa Famiglia di Nazaret. Il Figlio di Dio è nato e vissuto in una famiglia umana. La nostra salvezza passa attraverso la semplicità, la forza, l’amore di questa famiglia. Gesù ha fatto l’esperienza fondamentale di vivere in una famiglia, lo ha fatto solo per amore perché desidera condividere tutto con noi, illuminando così la nostra strada attraverso la via umana dell’amore familiare. “Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi che cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile; ci faccia vedere come è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegna la sua funzione naturale nell’ordine sociale” (Paolo VI, Discorso a Nazaret 5 gennaio 1964).
Testo e commento alle Letture
Dal libro del Profeta Samuèle (1,20-22.24-28)
Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.
Nella prima lettura vediamo la storia di Anna, una donna che dopo anni di sterilità divenne madre di “Samuele” (lett. “nome di Dio”, colui sul quale è stato pronunciato il nome di Dio). Anna avendo ottenuto la grazia di un figlio decidi di consacrarlo a Dio.
Anche a noi il Signore ci dona diverse grazie e proviamo tanta gioia nel sentirci esauditi da Lui ma c’è più gioia nel restituire tutto a Dio, non solo le grazie ricevute ma le persone da noi amate, i nostri amici, i nostri desideri, difficoltà, cadute, debolezze, progetti, speranze, affinché in lui ritroviamo la vera obbedienza alla sua volontà. Come Anna, nel dono quotidiano di noi stessi a Dio e agli altri, nella preghiera silenziosa e incessante scopriamo tutto quanto il nostro cuore desidera: “restare nella presenza del Signore sempre”.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (3,1-2.21-24)
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
L’apostolo Giovanni ci ricorda che “noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato”. È lo Spirito Santo che ci rivela chi siamo, che ci fa diventare figli di Dio e fratelli. Ma “se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito”: il cuore qui indica la nostra coscienza, così quando siamo consapevoli d’aver peccato siamo certi e fiduciosi che possiamo ottenere il perdono e la salvezza perché Dio è più grandi del nostro cuore, delle nostre infedeltà, è solo Lui che conosce come siamo. La nostra vocazione è credere nel nome di Gesù, credere e sperare che in questo nome la nostra vita diviene una vera obbedienza ai suoi comandamenti, in Lui obbediamo all’amore e viviamo in comunione con i nostri fratelli.
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (2,41-52)
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Il brano del Vangelo di oggi, raccontato dall’evangelista Luca, ci presenta Gesù tra i dottori della legge e il suo ritrovamento dopo il terzo giorno, questo particolare è evidenziato per orientare il nostro cuore verso la sua Pasqua. Maria e Giuseppe conducono Gesù verso Gerusalemme per partecipare a uno dei tre pellegrinaggi (Pasqua, Pentecoste, Capanne) secondo l’obbligo la Legge. Gesù, come ogni adolescente, si preparava per celebrare la “Bar Mitswa” (figlio del precetto) e quindi doveva recarsi al tempio per diventare figlio del precetto. Giuseppe e Maria ritrovarono Gesù seduto tra i dottori del tempio “mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”: tutta questa sapienza Gesù l’aveva in qualche modo in sé in quanto figlio di Dio ma l’aveva appresa anche alla scuola della sua famiglia. Giuseppe e Maria lo avevano infatti custodito con il loro esempio e la loro fede semplice e forte.
Maria con cuore di madre si rivolge al figlio dicendo: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Quante volte diciamo Signore perché hai permesso questo? Perché non hai fermato questa malattia, sofferenza, disgrazia? …ma neppure i suoi genitori “compresero le sue parole”. Anche noi non comprendiamo, non capiamo quanto viviamo e soffriamo ma la luce della fede ci orienta a cercarlo nell’amore sempre presente nelle nostre vite, nella ricchezza della nostra umanità, anche nelle nostre ferite, nella nostra ferialità, nella semplicità dei nostri relazioni col prossimo.
La risposta di Gesù “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” dimostra il desiderio incondizionato di Gesù di voler compiere la volontà del Padre, ma allo stesso tempo si dice che “stava loro sottomesso” per indicare che l’unica sottomissione di Gesù sia all’amore, ai suoi genitori come segno di un amore profondo.
Maria ‘custodisce nel cuore’ le incomprensioni sul vissuto del figlio che cresce e le cui risposte hanno bisogno di sedimentare nel suo cuore di madre. Anche noi come lei possiamo custodire ogni parola di Dio in noi, cercare di vivere con sapienza ogni evento, ogni relazione e diventare custodi dei nostri fratelli.
Commento patristico
“Imitiamo, fratelli miei, la santa Madre del Signore, conservando anche noi gelosamente nel cuore le parole e le opere del nostro Salvatore: meditandole giorno e notte, respingiamo i molesti assalti dei vani e perversi desideri. Se infatti desideriamo abitare nella beatitudine del cielo, nella casa del Signore, e lodarlo in eterno, è estremamente necessario che anche in questa vita mostriamo chiaramente che cosa desideriamo per la vita futura: non solo andando in chiesa a cantare le lodi del Signore, ma anche testimoniando con le parole e con le opere, in ogni luogo del suo regno, tutto ciò che da gloria e lode al nostro Creatore” (San Beda il Venerabile).
Commento Francescano
Nella Leggenda dei tre compagni (memorie scritte dai tre primi compagni di San Francesco d’Assisi sulla sua vita e sull’origine dell’Ordine) vediamo come i primi frati erano guidati dall’umiltà e dalla carità fra loro. Il senso dell’appartenenza e dell’obbedienza reciproca costante era la modalità con cui si conformavano alla volontà del Signore, diventando nella fraternità gioia l’uno per l’altro.
Erano tanto fondati e radicati nell’umiltà e nella carità, che ciascuno riveriva l’altro come suo padre e signore. E chiunque, per il suo incarico o per i doni di grazia, precedeva gli altri, appariva più basso e vile di tutti. Tutti inoltre si offrivano senza riserve all’obbedienza, preparandosi continuamente alla volontà di chi comandava. Non facevano distinzione fra comando giusto e ingiusto, perché qualunque cosa fosse loro comandata, ritenevano il comando conforme alla volontà del Signore: e per questo riusciva loro facile e piacevole eseguire tutti i comandamenti (FF1448).
Orazione finale
Santa Famiglia di Nazaret, rendi anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole di Vangelo e piccole Chiese domestiche. Santa Famiglia di Nazaret, fa’ che tutti ci rendiamo consapevoli del carattere sacro e inviolabile della famiglia, della sua bellezza nel progetto di Dio (Dall’Amoris laetitia, Esortazione apostolica di Papa Francesco). Così sia.