Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14 – 23,56
Inizia oggi, con la domenica delle Palme, la Settimana Santa, dove nella liturgia rivivremo i misteri centrali della nostra salvezza: la passione, morte e risurrezione di Gesù! Oggi riviviamo l’accoglienza festosa che la gente riservò a Gesù all’entrata di Gerusalemme: tutti i discepoli acclamano il Messia, agitano rami di palma perché è giunto il liberatore!
Lo senti il boato della folla dei discepoli? Dove ti collochi nel leggere questo brano? Lo stiamo seguendo da tre anni verso Gerusalemme, guarda, osserva, senti la sua voce che ci manda a slegare un puledro… Nel nostro cuore iniziamo a sentire qualcosa di nuovo che non era mai accaduto, Lui che non cercava mai la “gloria” vuole fare il suo ingresso trionfale a Gerusalemme… Sarà giunta davvero l’ ORA?
Sì, eccolo e finalmente entra a Gerusalemme per conquistarla… anzi no… per consegnarsi e morire. Che strano Messia, diremmo! Mi confondi Signore Gesù, mi stravolgi i sogni, i desideri, la mia immagine di Dio stesso.
Eh sì, Gesù, cioè Dio in mezzo a noi, non trionfa alla maniera umana, ma alla maniera divina: amando e perdonando nonostante il rifiuto delle sue creature! Qui è la sua Onnipotenza: nell’amore e nel perdono infinito, anche verso quelli che prima lo osannavano e dopo un po’ lo vogliono morto! Sì, Gesù ama fin dove noi non siamo capaci di amare, perdona fin dove noi non arriveremmo mai a perdonare per renderci come Dio, capaci di amare come Lui!
Forse in quel momento lo sguardo di Gesù si sarà posato con dolcezza e commozione sulla folla di “poveri in spirito e semplici di cuore”, Suoi amici, che davano prova di credere nella potenza dell’Amore… ma il suo trionfo, senza armi o eserciti, a dorso di un puledro, era un’aperta “sfida” alla superbia di altri. Su quel puledro Gesù manifesta tutta la Sua mansuetudine che Lo renderà – e Lo rende ancora oggi – l’Agnello pronto ad essere umiliato, senza opporre resistenza.
Testo e Commento alle letture
Dal libro del profeta Isaìa (50,4-7)
“Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso”.
Il profeta Isaia, con il suo terzo cantico sul servo sofferente di Iahvè, ci prepara ad ascoltare questo passo del Vangelo. La sofferenza fa parte della missione del servo. Essa fa anche parte della nostra missione di cristiani. Non può esistere un servo ‘coerente’ di Gesù se non con il suo fardello da portare.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (2,6-11)
“Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre”.
Nella sofferenza risiede la vittoria. “Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”. E, come il suono trionfale di una fanfara, risuonano le parole che richiamano l’antico inno cristiano sulla kenosi citato da san Paolo: “Per questo Dio l’ha esaltato al di sopra di tutto”. L’intera gloria del servo di Iahvè è nello spogliarsi completamente, nell’abbassarsi, nel servire come uno schiavo, fino alla morte. La parola essenziale è: “Per questo”. L’elevazione divina di Cristo è nel suo abbassarsi, nel suo servire, nella sua solidarietà con noi, in particolare con i più deboli e i più provati. Poiché la divinità è l’amore. E l’amore si è manifestato con più forza proprio sulla croce, sulla croce dalla quale è scaturito il grido di fiducia filiale nel Padre.
Commento al Vangelo
Passione del Signore secondo Luca (22,14-23,56)
Luca racconta la sua passione lasciando trasparire tutto il bene che ha ricevuto da Cristo. Ama il Dio di Gesù, ama il Signore che egli ha conosciuto attraverso le parole vibranti di Paolo. E racconta le ultime ore di battaglia, racconta dello scontro titanico tra il Dio rifiutato e la tenebra incombente che suggerisce a Gesù di abbandonare l’uomo al suo destino. La battaglia, l’agonia è in Luca tutta concentrata nella preghiera sanguinante del Getsemani e di una misericordia sconfinante.
Gesù sceglie: consapevolmente, drammaticamente, dolorosamente.
Andrà fino in fondo, si immergerà nella volontà degli uomini (di morte), sperando che essi scoprano la volontà di Dio (di dono di sé).
Gesù, sia pure tra le acclamazioni della folla, è consapevole di quanto lo attendeva: dall’Ultima Cena, al tradimento di Giuda e di Pietro, alla fuga degli Apostoli, a quel passare da un tribunale all’altro, alla flagellazione, all’incoronazione di spine, alle percosse e agli sputi sul Suo meraviglioso Volto, la via Crucis verso il Calvario e la Crocifissione. Chissà quanto avrà pianto “dentro il cuore”. Ma sapeva che tutto questo era necessario per salvare me, voi, ogni uomo. Ed allora, davanti alla Passione del Signore, nasce una domanda essenziale: “Chi sono io?”
Prepariamoci riflettendo e pregando in sincerità di cuore con le parole di Papa Francesco: «Chi sono io, davanti al mio Signore? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo o prendo le distanze? Chi sono io, davanti a Gesù che soffre?… I discepoli che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano che cosa fosse tradire Gesù? Come quell’altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che ama alla sua maniera e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni? E quando faccio queste cose, se le faccio, credo che con questo salvo il popolo? Sono io come Pilato? Quando vedo che la situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare – o condanno io – le persone? Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba? Per loro è lo stesso: era più divertente… Sono io come quelle donne coraggiose, e come la Mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio o come le due Marie che rimangono davanti al Sepolcro piangendo, pregando? Sono io come quei capi che il giorno seguente sono andati da Pilato per dire: “Guarda che questo diceva che sarebbe risuscitato. Che non venga un altro inganno!”, E bloccano la vita, bloccano il sepolcro per difendere la dottrina, perché la vita non venga fuori? Dov’è il mio cuore? A quale di queste persone io assomiglio?».
Che questa domanda (Chi sono IO?) ci accompagni durante tutta la Settimana Santa per viverla intensamente, in unione di fede e di amore, per una vera Pasqua di Resurrezione. Ne abbiamo tutti bisogno! Non servono altri commenti per questa Parola di questa domenica…. dobbiamo fermarci davanti alla Parola che ci interpella e ci pone una domanda precisa: “Chi sono io e cosa faccio io della mia libertà?”.
Commento Patristico
Guglielmo di Saint Thierry, nella sua “Lettera d’oro”, invita i novizi a crescere e avanzare spiritualmente nella relazione con Dio attraverso un itinerario ben preciso. In un passaggio sulla preghiera e meditazione afferma: “Tuttavia, come si è già detto, a chi prega o medita, la cosa migliore e più sicura è mettere davanti l’immagine dell’umanità del Signore, della sua nascita, passione e risurrezione, in modo che il suo animo malfermo, che non sa pensare ad altro che a corpi ed a ciò che ad essi è legato, abbia un tema su cui fissarsi, a cui attaccarsi con sguardo devoto, secondo la misura della sua pietà. Egli si presenta, infatti, sotto forma di Mediatore, nel quale, come si legge nel libro di Giobbe, l’uomo, che rende visita alla propria immagine, non pecca; poiché, quando dirige verso di lui l’attenzione del suo sguardo, contemplando l’umanità in Dio, non si allontana affatto dal vero; così, mentre, mediante la fede, non separa Dio dall’uomo, arriva un bel momento a cogliere Dio nell’uomo” (n.174).
Commento francescano
Santa Chiara in tutta la sua vita riuscì ad “abitare” la cenere, a renderla atto liturgico, come abbiamo fatto noi all’inizio di questa quaresima, è riuscita a rimanere nell’attesa che la Pasqua faccia fiorire il deserto, attraverso una continua contemplazione della Vita, Passione, Morte e Risurrezione del Signore.
Così aveva scritto nella IV lettera ad Agnese: «Mira lo specchio Gesù al suo principio posto nel presepio e avvolto in poveri pannolini. Che meravigliosa umiltà, che stupenda povertà! Il Re del cielo e della terra è deposto in una greppia! Al centro dello specchio considera le pene senza numero, le fatiche continue per l’annunzio del regno di Dio per la nostra redenzione. E alla fine contempla l’ineffabile carità e la terribile realtà del patibolo della croce, dove volle morire della morte più turpe di ogni altra. Lo stesso Specchio grida: O voi tutti che passate per la strada considerate e guardate se vi è una sofferenza o un dolore simile al mio dolore! Contemplando le sue delizie, le sue ricchezze, i suoi onori, sospiriamo con tutto il desiderio del cuore e dell’amore: Attirami dietro di te, correremo al profumo dei tuoi unguenti, o sposo celeste. Correrò senza stancarmi, finché non mi introduci nei tuoi segreti, finché la tua sinistra cinga il mio capo e la tua destra mi abbracci felicemente, e la tua bocca mi baci con il tuo felicissimo bacio! In questa tua mistica contemplazione, ricordati di me, tua madre poverella!».
Orazione finale
Signore Gesù Cristo, nell’oscurità della morte Tu hai fatto luce; nell’abisso della solitudine più profonda abita ormai per sempre la protezione potente del Tuo amore; in mezzo al Tuo nascondimento possiamo ormai cantare l’alleluia dei salvati. Concedici l’umile semplicità della fede, che non si lascia fuorviare quando Tu ci chiami nelle ore del buio, dell’abbandono, quando tutto sembra apparire problematico; concedici, in questo tempo nel quale attorno a Te si combatte una lotta mortale, luce sufficiente per non perderti; luce sufficiente perché noi possiamo darle a quanti ne hanno ancora più bisogno. Fai brillare il mistero della Tua gioia pasquale, come Aurora del mattino, nei nostri giorni; concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo al sabato Santo della storia. Concedici che attraverso i giorni luminosi e oscuri di questo tempo possiamo sempre con animo lieto trovarci in cammino verso la Tua gloria futura. Amen