IL SEGNO DEL PANE – 18 Febbraio 2019

       «Perché questa generazione chiede un segno?».

Mc 8,12

         Si è criticato con ragione un trionfalismo di marca ecclesiastica anche recente; si rimaneva interdetti dalla faciloneria con cui talvolta venivano manipolati, in confezione di religiosità naturale popolaresca, apparizioni e miracoli; ma non ci si accorge che forse si rischia di essere giocati in modo ancor più sottile quando si cerca di piazzare un segno vincente che ha come variante l’essere concreto, radicato sulla terra invece che nel cielo, ma che conserva come costante la pretesa della potenza, della bravura umana. Nuovo trionfalismo «sotto mentite spoglie», della stessa famiglia dell’autosufficienza.
         Il brano del vangelo è chiaro al riguardo. Gesù non ha concesso nulla in questa direzione: si è fermamente rifiutato. Non si è esibito.
         Gli preme la salvezza, la liberazione. Per nulla lo spettacolo! Quindi, se un segno dovrà esserci, sarà quello del pane, realtà semplice e quotidiana: si spezza, si consuma; e alla moltitudine deriva in modo sovrabbondante la vita e la liberazione.
        Altrettanto è richiesto alla comunità che crede. Tra l’altro, se è oggettiva e sincera, riconoscerà che talvolta il discorso del segno vincente finisce per essere inconsapevole pretesto o alibi per un reale disimpegno: ma dovrà soprattutto ammettere che fa parte della conversione e della fede accettare se stessa come poco glorioso «segno dal cielo», in cui però lo Spirito del Risorto agisce!
         La buona novella, in fondo, è questa. «L’uomo ha bisogno di pane, non di geometria o di dimostrazioni», ha detto qualcuno: questo, del nuovo testamento, è tempo di sostanza, di pane; perciò la fede non potrà nutrirsi di «dimostrazioni» sottilmente speculative o avvincenti il sentimento, ma crescerà nel «miracolo» quotidiano, sotto il segno del pane.

 

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