VITA INTERIORE – 21 Maggio 2018

Nel mondo di oggi siamo abituati a vedere una crescita esponenziale delle capacità tecniche dell’uomo. Sembra quasi che siamo arrivati a un livello tale di competenza sulle cose che la naturale conseguenza nel pensiero è quella di credere di poter tenere sotto controllo ogni cosa.

Ma è proprio davanti a questo delirio che una parte nell’uomo si ribella. È il cuore la parte in ribellione. Infatti, se da una parte le nostre capacità tecniche crescono, sperimentiamo anche una immensa crescita di tutte le patologie depressive, espressione di un disagio interiore che si vuole ignorare e non ascoltare. L’uomo è tale proprio per la sua interiorità, per la sua capacità di sapersi rivolgere al “mondo dentro” più che al “mondo fuori”. L’essere umano esprime la sua umanità non nel riuscire a trasformare ciò che lo circonda, ma nel percepire una significatività della vita che nessun altro essere può percepire. Lo spazio di questa percezione potremmo definirlo interiorità. La vita interiore non è ancora vita spirituale. Quando parliamo di vita interiore ci stiamo riferendo alla capacità che l’uomo ha di portare dentro di sè ciò che vive, ciò di cui fa esperienza, e rileggerlo attraverso una categoria che è diversa dal semplice utile. Ad esempio, un uomo non mangia solo per nutrirsi (l’utile), ma nel cibo riassume cose anche più profonde come la condivisione, l’amicizia, la gioia, la festa, o persino il lutto, il dolore, la mancanza. È troppo riduttivo per l’uomo mangiare solo per un bisogno biologico. Questo è il motivo per cui in ogni gesto, in ogni esperienza egli deve essere capace di interiorità, capace cioè di “sentire” la vita in una maniera più profonda. Ma non educare più all’interiorità significa lasciare l’uomo solo in balia dei suoi bisogni. Nasce così il disagio: siamo nati con una terza dimensione interiore, e invece ci costringiamo a vivere solo in due dimensioni esteriori (lo spazio e il tempo).

Luigi Maria Epicoco

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