L’AVETE FATTO A ME – XXXIV DOMENICA T.O./A NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

 

22 novembre 2020 – XXXIV DOMENICA T.O./A

NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

 

«La pandemia ci ha messo tutti in crisi. Ma da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Possano le comunità cristiane del ventunesimo secolo recuperare questa realtà, — la cura del creato e la giustizia sociale vanno insieme… — dando così testimonianza della Risurrezione del Signore. Se ci prendiamo cura dei beni che il Creatore ci dona, se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranzaper rigenerare un mondo più sano e più equo».

Queste parole di Papa Francesco, squarcio di una Udienza Generale dello scorso mese di agosto, sembrano calzare a pennello, per aiutarci a comprendere e mettere in pratica l’invito che ci viene dal Vangelo di questa ultima domenica dell’Anno liturgico.

 

  

Dal libro del profeta Ezechiele (34,11-12.15-17)

            11Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. 12Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.

15Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. 16Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.

17A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.

 

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,20-26.28)

            Fratelli, 20Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. 22Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
                  23Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. 24Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. 
            25È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.

                  28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

           

 

Dal vangelo secondo Matteo (25,31-46)

             In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

            34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

            37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

            44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

            46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

  

Per riconoscere, nel volto dell’altro che mi sta davanti, il Volto dell’Altro che ha creato entrambi, è necessario uno sguardo puro illuminato dalla fede.

Il Vangelo di oggi però ci offre una chance, ci dice che è possibile riconoscerlo nella concretezza, anche senza averne consapevolezza. Ci dice che anche se il nostro percorso di vita, ad esempio, non ci ha permesso di avere quella fede che ci parla della presenza del Signore nel fratello che incontriamo , saper amare comunque il prossimo, voler andare incontro con rispetto alle sue necessità, soffrire con lui nelle sue fragilità, dimostra quello che intende la Lettera di S. Giacomo apostolo quando afferma: Con le mie opere ti mostrerò la mia fede(cf. Gc 2,14-18).

“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Un esempio concreto del tentativo di mettere in pratica questa Parola, è venuto alla storia dall’intuizione con cui i Frati minori, eredi spirituali di san Francesco d’Assisi, alla fine del XV secolo fondarono i Monti di pietà. In quel tempoil passaggio ad un sistema economico centrato sulla rendita stava allargando il divario tra ricchi e poveri. Le famiglie più modeste si vedevano impossibilitate ad accedere al credito in modalità adeguate alle loro risorse; si trovavano costrette spesso a rivolgersi agli usurai, ma così finivano per precipitare del tutto in miseria. I francescani della riforma, rispondendo alle istanze del loro tempo, rendendo così pure concreta la loro scelta del Vangelo come “Forma di vita”, promossero quelle istituzioni come mezzo di “subventione et aiutorio de le povere persone” nelle loro estreme necessità come dettava il regolamento dei Monti di pietà

Quell’intuizione non riuscì a condizionare a sufficienza il sistema giuridico dell’Occidente, ma non è morta, perché in qualche modo continua a sfidare le nostre economie.

I frati del ‘400 cercarono di dare risposta concreta alla domanda di vita dei poveri di quell’epoca. Oggi tocca a noi a ciascuno nel suo ambiente, secondo il proprio stato di vita, le proprie capacità e forze e salute —: ci è chiesto di rispondere alla richiesta di amore che ci viene dal Signore stesso nella persona del povero, di qualunque tipo sia la fragilità che lo opprime.

Francesco, accogliendo il Vangelo come “Forma di vita”, ne aveva compreso le conseguenze rivoluzionarie anche per il modo di intendere e di realizzare il rapporto economico con i beni del creato. Anche i suoi frati avevano capito che era possibile vivere senza possedere alcun bene, distinguendo tra “proprietà dei beni” e loro “uso”: “Come il cavallo ha l’uso di fatto ma non la proprietà dell’avena che mangia, così il religioso ha il semplice uso di fatto del pane, del vino e delle vesti” (Bona grazia da Bergamo).

Sentirci “padroni” del creato, non ci aiuta a prendercene cura. Utilizzare i beni senza esserne padroni, apprendendo l’arte dell’uso senza proprietà, nella logica del sine proprio, dei beni comuni a tutti, faciliterebbe la vita di ciascuno, e non solo degli uomini, ma dell’intero creato.

 

 

Commento patristico

Dall’Omelia su Matteo di S. Giovanni Crisostomo, vescovo(88, 3)

 Noi invece — ripeto ancora le stesse cose — nemmeno quando ha fame gli diamo da mangiare, né lo vestiamo quando è nudo; se lo vediamo tenderci la mano, noi passiamo oltre. Eppure, se vedeste Cristo in persona, ognuno di voi darebbe ogni sua ricchezza. Ma anche ora è lui che si presenta; è proprio lui che dichiara: «Sono io».Perché allora tu non dai tutto? In realtà anche oggi lo senti ripetere: «Lo fai a me».Non vi è infatti differenza tra il dare al povero e il dare a Cristo. E non sei assolutamente in svantaggio rispetto a quelle donne che hanno assistito e alimentato Cristo durante la sua vita terrena; anzi sei in vantaggio. Non è infatti la stessa cosa nutrire Cristo, se personalmente apparisse — ciò sarebbe sufficiente ad attrarre anche un cuore di pietra — e, fidando esclusivamente sulla sua parola, prendersi cura e servire il povero, il mutilato, l’affaticato e lo spossato. Nel primo caso la vista e la dignità della persona condividono con te il merito dell’azione; nel secondo caso il premio appartiene interamente alla tua generosità. Tu infatti dai dimostrazione di maggiore riverenza quando, per la sua sola parola, ti prendi cura di chi è servo del Signore come te.

Risuonano così attuali queste parole pronunciate nei primi secoli del cristianesimo, parole che ben descrivono la dedizione, la cura, la “riverenza” che in questi mesi tanti operatori sanitari dedicano ai ricoverati che non possono essere assistiti dai propri famigliari o l’impegno di sacerdoti e laici nel tentativo di alleviare le situazioni di ulteriore povertà e solitudine che la pandemia ha generato.

 

 

Commento francescano

Dalla Leggenda maggioredi S. Bonaventura (7,8:FF 1128)

             Francesco talora, esortando i frati a cercarel’elemosina, usava argomenti di questo genere: «Andate, perché in questi ultimissimi tempi i frati minori sono stati dati in prestito al mondo, per dar modo agli eletti di compiere in loro le opere con cui meritarsi l’elogio del sommo Giudice e quella dolcissimaassicurazione: “Ogni volta che lo avete fatto a uno di questi miei frati più piccoli, lo avete fatto a me”».

Chiedere l’elemosina: un atto che suscita vergogna e umiliazione in chi lo compie. Preferiamo certamente stare dalla parte di chi la elargisce, piuttosto che dover tendere la mano e manifestare che siamo nell’estremo bisogno. Francesco lo adottò come gesto volontario, come mezzo di sussistenza per i suoi frati perchè vivessero come i poveri e potessero, attraverso la questua, aiutare i frati stessi e altri bisognosi.

 

 

Orazione finale

             O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in noi la certezza di fede che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti. Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.                 

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