LÀ DOVE SBOCCIA LA LIBERTÀ – 29 Luglio 2017

Il vuoto che langue nel nostro cuore d’un tratto ci sorprende. La libertà sboccia là dove c’è un’interrogazione del cuore, un risveglio del cuore alla ‘responsabilità’ nei confronti di ciò che avverte come mancanza. La menzogna del cuore non è là dove non si sa che volto abbia ciò che ci manca, la menzogna scatta là dove il cuore inganna la mancanza che lo riempie con idoli che non lo riempiono. Ci vuole allora qualcosa che faccia sussultare in noi la coscienza della mancanza che ci invade. Deve accadere ad un tratto un richiamo, un lampo nella notte, un tuono nel silenzio, un volto, uno sguardo, una parola nella nebbia della solitudine che riempie il cuore. E’ come una freccia che qualcuno scocca e che viene a trafiggere il cuore e a ridestarlo, a svegliarlo dall’anestesia al suo dolore, al dolore che solo il cuore prova: quello della solitudine, della mancanza di un Altro.

Si, ci vuole una ferita affinché il bisogno vago che ci  invade si concentri in desiderio. La ferita inferta da una freccia è un dolore che attira e concentra l’attenzione del cuore su un desiderio di guarigione, di salvezza. Il cuore ferito, di colpo, d’un tratto, diventa cosciente della sua mancanza.

Quando all’età di 17 anni ho incontrato in una fredda e umida sera di febbraio la Comunità monastica, le persone che mi hanno rivelato il volto vivo della Chiesa, cioè di Cristo, la reazione immediata del mio cuore fu una lancinante tristezza; ma, subito dopo, da quella ferita è sgorgata, è entrata in me la gioia più sorprendente che io abbia mai percepito. Cosa è successo? Un incontro! Un incontro che veniva a rivelarmi a un tratto che ero solo, che vivevo nella solitudine. E ne provavo malessere, da anni, da sempre, ma fino a quel momento non riuscivo a definire la mancanza che riempiva il mio cuore. Ci voleva una scelta, una ferita definitiva. E quando è venuta, la sorpresa fu che essa non era inferta da qualcosa di negativo, di brutto, di triste, da qualcosa che mi odiava. La ferita mi era inferta da una realtà positiva, da una bellezza, da una letizia che mi amava come mai mi ero accorto di essere amato. E’ come uno che vive tutta la vita in fondo ad una caverna e d’un tratto lo raggiunge un raggio di sole, e gli occhi si sentono feriti dalla luce, dalla bellezza, dal bel giorno che inizia, che diventa esperienza. Il cuore è ferito dall’incontro con ciò che gli manca, che ferendolo si rivela, e quindi lo attira  (Padre Mauro Giuseppe Lepori, Si vive solo per morire?).

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