19 novembre 2023
XXXIII DOMENICA T.O./A
Il Vangelo di questa XXXIII Domenica del Tempo Ordinario ci presenta la parabola dei talenti, narrata da Gesù insieme a quella delle dieci vergini di domenica scorsa, dopo il suo ingresso trionfale a Gerusalemme. Si tratta di un racconto escatologico, che ci proietta verso la conclusione ormai prossima dell’anno liturgico.
Gesù parla di un uomo che, in procinto di partire per un viaggio, chiama i suoi servi e consegna loro i propri beni perché, durante la sua assenza, ciascuno di loro possa farli fruttificare, preparando in qualche modo i suoi ascoltatori a quella che sarà, di lì a pochi giorni, la sua “partenza” sul legno della Croce.
Interessanti sono alcuni termini utilizzati dall’evangelista Matteo: il padrone consegna dei talenti – un’unità di misura di 30-40 kg, corrispondenti a 6000 denari, una somma ingente, se si tiene conto del fatto che un denaro è pari alla paga per un giorno di lavoro (cfr Mt 20,2) – secondo le capacità di ciascuno, mostrando così di conoscere bene i suoi servi e di avere fiducia in ciascuno di loro, non chiedendo a nessuno qualcosa di superiore alle proprie forze.
Così, i primi due servi, con entusiasmo impiegano, cioè trafficano i propri talenti guadagnandone altrettanti e, al ritorno dell’uomo sono invitati a partecipare (dal greco eiserkomai, letteralmente “entrare”) nella gioia del proprio padrone, perché ne siano davvero pieni. Gesù, dunque, ci testimonia il valore di una fede viva, attiva e operosa, invitandoci a partecipare della sua opera creatrice, con cui ci viene affidata l’opportunità e la responsabilità di rendere migliore non solo la nostra vita e quella di coloro che vivono accanto a noi, ma il mondo intero.
Siamo invitati a fare esperienza di un abbandono totale a Dio, non concentrandoci in maniera esclusiva sul frutto sensibile derivato da nostri talenti davanti a noi stessi e agli altri, ma “accontentandoci” che sia Dio solo a vedere il frutto con cui Egli ci renderà destinatari di una ricompensa maggiore di quella che possiamo immaginare. Il servo buono e fedele è allora colui che ascolta i comandi del re, eseguendoli non per mera obbedienza, ma perché si fida di Lui, perché ha fatto del Signore il senso profondo della propria esistenza.
Tuttavia, nella nostra vita quotidiana può capitare di correre il rischio di essere malvagi e pigri quando non riconosciamo la bontà del Donatore, ripiegandoci su noi stessi e trattenendo per egoismo o per paura i nostri talenti, così da non permettere al Padre di diffondere attraverso di noi il suo dono di amore tra i fratelli.
Io, dunque, che servo sono? Ringrazio il Signore per i talenti che mi ha consegnato? E per quelli consegnati ai miei fratelli? Li nascondo gelosamente, oppure li condivido con generosità e gioia?
Il Signore ci invita a donare noi stessi: le nostre opere potranno così trasformarsi nell’olio destinato ad alimentare la lampada della fede in noi e nei nostri fratelli, perché ciascuno, specchiandosi nel volto dell’altro, potrà scoprirvi il dono d’amore del Padre.
Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; tu me lo hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo la tua volontà: dammi solo il tuo amore e la tua grazia; e questo mi basta. (Sant’Ignazio, Suscipe)