Ger 31,7-9; Sal 125 (126); Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
Spesso ci troviamo ai margini della strada come mendicanti, fermi e nel pianto. Quando incontriamo Dio e lo accogliamo, Lui ci fa alzare. Ci ridona la luce e la dignità per stare in piedi sulla strada. E se davvero ci rendiamo conto del dono ricevuto, non possiamo far altro che seguirlo e camminare lasciandoci condurre da Lui. Da questo momento sappiamo che sulla strada possiamo camminare con Dio senza temere. Dobbiamo solo ricordarcelo.
Testo e commento alle letture
Dal libro del Profeta Geremia (31, 7-9)
Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele». Ecco, li riconduco dal paese del settentrione e li raduno dall’estremità della terra; fra di essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente; ritorneranno qui in gran folla. Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno; perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito.
Dio è un padre per l’uomo, per questo vuole che il figlio viva nell’amore, d’amore e per amore. Desidera per il figlio la gioia e l’abbondanza. Se noi, che siamo figli, non viviamo questo, dobbiamo chiederci a causa di quali nostre resistenze impediamo la realizzazione di questo progetto di Dio per noi. Invochiamo l’aiuto del Padre, perché non possiamo farcela da soli. Il Padre lo sa che siamo nel pianto e ci dice di chiamarlo e attenderlo senza disperare. Ci chiede di non credere che la nostra vita è un desolante “stare nel pianto”. Ci chiede di credere che siamo stati creati per vivere altro, per qualcosa di meglio che ci farà cantare di gioia.
Dalla lettera agli Ebrei (5, 1-6)
Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek.
L’uomo è figlio di Dio quando è consapevole della sua natura, cioè della sua debolezza. La condizione di tutti gli uomini è quella di creature che desiderano e hanno bisogno del creatore, ma non possono raggiungerlo con le loro forze. L’uomo chiamato da Dio in modo particolare, il “sacerdote”ed esempio, è colui che aiuta gli altri ad avvicinarsi a Dio. Il ministro (da ministrare, ossia servire) è un uomo come gli altri ma ha ricevuto da Dio di più e quindi è chiamato a dare di più. Il dono ricevuto è fonte di maggiore responsabilità e servizio. Ma è importante notare che per servire il prossimo è necessario amarlo, averne compassione, ascoltarlo, soffrire con lui, gioire con lui, chiedere a Dio per lui… donarsi a lui in sostanza. E’ ciò che ha fatto Cristo fino a morirne. E’ciò che il Padre chiede a tutti in forme diverse.
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco (10, 46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Bartimeo è l’uomo che si lascia travolgere dallo Spirito di Dio. L’evangelista Marco, attraverso questo brano, ci racconta come avviene la conversione, come l’uomo si apre alla dimensione dello spirito.
Il primo passo è il riconoscimento della cecità, ossia il renderci conto che siamo nelle tenebre e che il male abita in noi. Sembra assurdo ma noi, piuttosto che essere realisti, preferiamo negare il nostro dolore, le nostre ferite, la nostra debolezza, il nostro peccato, l’esistenza del male.
Il secondo passo è il riconoscimento del bene (luce), unito al desiderio di questo. Chiamiamo Gesù perché siamo nel disagio e nel malessere. Chiediamo per egoismo ed egoisticamente, ma siamo sospinti da una forza che ci induce a credere al bene. Bartimeo riconosce il male (sa di non vedere), chiede stando nel male (chiede per se stesso di vedere). Il cieco crede alla vista e la vuole a tal punto che urla con insistenza, anche quando cercano di impedirglielo. La perseveranza qui è nell’azione; a volte consiste nel saper attendere con apertura di cuore.
Il terzo passo è l’accoglienza dello Spirito di Dio che guarisce e salva. Il cieco getta il mantello e va da Gesù. Per un mendicante, il mantello è l’unico possesso, è quindi il suo “tutto”. Solo quando l’uomo si è spogliato, può accogliere radicalmente Dio. E il Padre dà al figlio molto più di ciò che aveva chiesto. Anche noi, di solito, chiediamo poco. Chiediamo la consolazione e l’adempimento dei nostri desideri piccoli. Dio, invece, ci dà vita nuova, se lo lasciamo entrare. E chi rinasce a vita nuova, si mette al seguito di Cristo. L’aver conosciuto e sperimentato l’abbondanza della grazia, ci fa arrendere all’amore di Dio e desiderare di seguirlo. In questo modo la salvezza si estende a tutti, non si esaurisce al cieco. E’ dono fatto ad uno per tutti. Anche la conversione è dono condiviso. E la moltiplicazione del bene è la firma di Dio.
Commento Francescano
Frate Francesco nell’Ammonizione XVIII mette il relazione il sentimento della compassione con l’azione del donare. La condivisione di ciò che si è ricevuto, nasce dal riconoscersi nella fragilità dell’altro.
Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile. Beato il servo che restituisce tutti i suoi beni al Signore Iddio, perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del Signore suo Dio (Cfr. Mt 25,18), e gli sarà tolto ciò che credeva di possedere (Cfr. Lc 8,18). (Amm XVIII: FF 167-168)
Commento patristico
In due modi portiamo la croce del Signore: quando con la rinuncia domiamo la carne e quando, per vera compassione del prossimo, ~ sentiamo i suoi bisogni come fossero nostri. Chi soffre personalmente quando il prossimo è ammalato, porta la croce del Signore. Ma si sappia bene: vi sono alcuni uomini che domano con gran rigore la loro carne non per la volontà di Dio, ma solo per futile vanagloria. E ve ne sono altri, e molti, che hanno compassione del prossimo non in modo spirituale, ma solo carnale; e questa compassione non è in loro virtù, ma piuttosto vizio, per la loro esagerata tenerezza.
(Da Predica per la festa di un santo martire di San Gregorio Magno)
Orazione finale
Padre, rendici consapevoli dei doni che ci hai fatto. Concedici occhi nuovi per riconoscerli e un cuore nuovo per condividerli. Amen.