LECTIO DIVINA – 29 Marzo 2018 – Giovedì Santo, Messa in coena Domini / B

 

 

     Es 12,1-8.11-14; sal 115, 12-13. 15-18; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

 

Cominciando il Triduo pasquale con la Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, risuonano nel cuore le parole di Gesù riportate dall’evangelista Luca: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione” (Lc 22,15). La Liturgia odierna, con il gesto della lavanda dei piedi compiuto da Gesù, rivela come questo ardente desiderio si compia nel servizio che Egli rende ai suoi “amandoli sino alla fine” (Gv 13,1).

Perché Signore? – verrebbe da chiedergli – Perché sei arrivato ad abbassarti così tanto? Egli ha compiuto in pienezza il progetto di salvezza che il Padre gli aveva affidato.

All’uomo di ogni tempo che, come i discepoli, cerca il primo posto, il Maestro è venuto ad insegnare che bisogna sporcarsi e scendere in basso per poter incontrare l’uomo e il Dio che lo abita.

 

Commento alle letture

 

Nella I lettura, il Signore ordina al popolo, per bocca di Mosè, “di procurarsi un agnello per famiglia” (Es 12,3), per celebrare la Pasqua. Esso doveva essere: “maschio, nato nell’anno” e “senza difetto”. In quanto simbolo della Pasqua di liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (e da tutto ciò che teneva Israele lontano dal ‘suo Dio’!), con il sacrificio dell’agnello si radunava tutta la comunità degli israeliti al tramonto. Così si faceva memoria della notte in cui il Signore liberò il suo popolo dalla schiavitù.

Nella II lettura, colui che è “senza difetto e senza macchia”, prefigurato nel sangue dell’agnello ‘sgozzato’, “come immolato” (Ap 5,6) è Gesù che, nell’Ultima Cena, anticipa il suo sacrificio e che Paolo “trasmette” (1 Cor 11,23) alla comunità di Corinto, biasimandoli per il modo indegno di celebrare ‘la Cena del Signore’. L’Apostolo afferma che il Signore “nella notte in cui veniva tradito” (11,23), offrì se stesso per la salvezza del mondo ‘nei segni del pane e del vino’. La consegna che Cristo fa in quella cena, trasforma  la Passione da frutto della malvagità e del rifiuto dell’uomo in dono d’amore che Egli fa di se stesso al Padre ‘per i suoi fratelli’.

 

Commento al Vangelo

 

Nella pericope evangelica odierna, l’evangelista Giovanni narrando il gesto della Lavanda dei piedi fatto da Gesù, mostra quale coscienza abbia avuto il Signore nell’affrontare la sua morte e del perché Egli si offre (Gv 13,1). Gesù intende vivere la ‘sua Ora’ non per costrizione ma per amore, e questo sino all’ultimo istante della sua vita.

Per questo si fa Servo. Giovanni ci dice che alzatosi da tavola, “depose le vesti” (13,4). Questo gesto e il chinarsi di Gesù, lascerà i discepoli, di cui Pietro si fa interprete, nella condizione di chi non accetta un Dio così, un Dio che per amore si ‘abbassa’ a lavare i nostri piedi. Gesù, in questo modo vuole insegnare ad amare: “Vi ho dato un esempio” (13,15), non vuole imporre un comandamento che non abbia vissuto Lui in prima persona (v. 15). È per questo che “il Signore e il Maestro” rimane, pur sedendo a tavola, ‘Servo’.

L’imitazione di Gesù nell’amore e nel servizio è ciò che regge la comunità rendendoci simili a Lui.

 

Commento patristico

 

Melitone di Sardi non è un santo molto noto, ma la sua ‘Omelia in preparazione alla Pasqua’ è la più antica omelia pasquale cristiana giunta fino a noi, ed è tutta una contemplazione della Persona e del Mistero di Cristo, messo al centro del cosmo e della storia:

«È Lui, che in una Vergine s’incarnò, che sul legno fu sospeso, che in terra fu sepolto, che dai morti fu risuscitato, che alle altezze del cielo fu elevato. È Lui l’agnello muto, è Lui l’agnello sgozzato, è Lui che nacque da Maria, l’Agnella pura, è Lui che fu preso dal gregge e all’immolazione fu trascinato, è Lui che di sera fu immolato e di notte seppellito; è Lui che sul legno non fu spezzato, che in terra non andò dissolto, che dai morti è risuscitato. È Lui che ha risollevato l’uomo dal profondo della tomba».

 

Commento francescano

 

San Francesco, nel suo Testamento, facendo eco alla parola di Gesù “fate questo in memoria di me”  parla dell’Eucaristia in relazione alla persona del sacerdote.

Dice il Santo:

“….E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri”(FF 113).

 

Questo passo del Testamento fa pensare a quanto sia fondante per un sacerdote (e per ogni cristiano) assumere nella vita le parole consegnate da Gesù nell’Ultima Cena; di dirle, cioè, non solo in Persona Christi, ma anche in persona propria. Questo cambierà la vita di ciascuno, se accetteremo di condividere non solo quello che Gesù ha detto ma di vivere come Lui ha vissuto. Ciò ci condurrà a dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.

 

Orazione finale

 

O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita. Per Cristo nostro Signore.

 

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