LECTIO DIVINA – 1 Aprile 2018 – DOMENICA DI PASQUA, RISURREZIONE DEL SIGNORE / B

                           

  

At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Lc 24,13-35

 

 

Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (v. 34). È con questa frase che si potrebbe  descrivere lo stupore del cuore dei discepoli dopo il terremoto della passione del Signore. La mattina di Pasqua fino alla sera, è un susseguirsi di passaggi: dalla delusione alla gioia, dallo stare chiusi in casa, al correre. È bello cogliere la fretta e la ricerca, la fedeltà che va al di là delle delusioni. Come i discepoli di Emmaus “speravamo che fosse Lui a liberare Israele” (v 21). Ecco il cammino della Pasqua: la corsa di Maria di Magdala, di Pietro e Giovanni, dei discepoli di Emmaus che ritornano a Gerusalemme.

Tutti i racconti dopo la Risurrezione, sono racconti di movimento. È l’incontro con il Signore che ci trasforma, che mette fuoco al cuore, imprime forza ai nostri passi, da energia all’azione, alla vita. La gioia della Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele.

 

Commento alle letture 

 

Nella prima lettura, tratta degli Atti degli apostoli, troviamo Pietro che si fa voce della  prima Chiesa per portare l’annuncio della fede cristiana e cioè la vita, morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo.

Pietro, con gli altri apostoli, passato il primo momento di stordimento e di abbandono per la passione e morte di Gesù, cominciano ad “azzardare” i primi discorsi che implicavano la Risurrezione. Possono dire e descrivere la grandezza di Gesù, le sue parole, i suoi gesti, ma non possono parlare o descrivere il momento della risurrezione. Non l’hanno vista, non c’erano. Per questo Pietro dice: “e Dio che lo ha risuscitato dai morti” (v. 40). Solo grazie alla fede si può “immaginare” che la resurrezione sia stato un intervento diretto, forte di Dio. La risurrezione è un incontro con Gesù risorto, che ci fa gustare il dono della salvezza “chi crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome”(v. 43). “Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni” (v. 37). Pietro rilegge la dimensione storica dell’evento di Gesù attraverso l’esperienza vissuta con il maestro, come esperienza di fede. Dichiara di essere testimone privilegiato, di aver “mangiato e bevuto con lui.” (v. 41b)

E’ questa familiarità umana che indica la predilezione del Signore nella sua manifestazione di Risorto. Per quanto la resurrezione sia opera di Dio, tanto la sua manifestazione necessita di umanità, di una umanità semplice che si tesse di quotidiano. La nostra quotidianità è il luogo della manifestazione del divino. E’ necessario accogliere la storia con serena umiltà, saperne leggere i segni della rivelazione, le indicazioni che Dio ci dona, per fare esperienza della risurrezione.

 

Il brano della seconda lettura (Col 3,1-4) fa parte della seconda sezione della lettera ai Colossesi, quella dedicata all’esortazione: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù”(v 1). Paolo, nel secondo capitolo, aveva messo in guardia i Colossesi dalla “loro eresia”, cioè il culto degli angeli e un insieme di pratiche ascetiche che niente avevano a che fare con il Vangelo predicato da Paolo.

I colossesi, come noi oggi, sono chiamati a vivere da risorti, a rivolgere lo sguardo verso Gesù. Essi sono morti allo stile di vita che conducevano prima di conoscere il Vangelo.“Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”(v.3). Ciò non significa una fuga dal mondo o dalla storia, ma si concretizza in uno stile di vita e di rapporti sociali. “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete come lui nella gloria” (v. 4). Chi ha abbracciato la sorte di Cristo attraverso il battesimo, è come nascosto il mondo, la sua realtà profonda e autentica, è come se fosse “velata”. Questa attesa della manifestazione piena di Cristo, tempera ogni pretesa trionfalistica o dall’altro lato corregge quella fuga utopica che non tiene conto del quotidiano e della storia.

 

Commento al Vangelo

 

Oggi abbiamo scelto di proporvi come Vangelo, il brano di Luca(24,13-35), della messa vespertina. Lo abbiamo fatto perché ci sembra che porti a compimento ed esprime molto bene l’esperienza del cuore, nel momento dell’incontro con il Risorto. La presenza del Risorto, come Verbo Incarnato, si accoglie e non costringe a credere,  non fa effetti speciali; il Risorto si pone in cammino nella nostra realtà. Proviamo quindi a rileggere questo brano.

Chi ha accompagnato Gesù a Gerusalemme (liturgia domenica delle palme), in una sola settimana ha visto di tutto. Gesù è stato acclamato come re e accolto in maniera trionfale; ha ardentemente desiderato mangiare la cena di Pasqua con i suoi; e durante la cena ha rivelato il valore della carità con la lavanda dei piedi; ha impegnato i suoi discepoli con il comandamento dell’amore; ha lasciato un segno della sua presenza, spezzando il pane e versando il vino; poi è stato arrestato; ha sopportato tradimenti, rinnegamento e abbandono; è stato condannato a morte, su una croce, morto, sepolto…

 Tutto è finito, si chiude, si torna a casa. Nel giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze, attese e illusioni che erano cresciute nei suoi discepoli in tre anni di sequela. Tutto è sparito, tutto è scomparso, tutto è definitivamente diventato nulla, dietro quella grande pietra rotolata all’entrata di quel sepolcro. Sembra di sentire l’angoscia, i pianti, la delusione e lo sbigottimento agitarsi nell’aria tra i suoi discepoli, così due di loro ritornano a casa, decidono di tornare alla realtà di prima, alla vita di ogni giorno.

 “Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma loro erano impediti a riconoscerlo” (v.15-16). Il Risorto ci cerca nelle nostre paure e delusioni. A volte l’amarezza della delusione è più dolorosa di una morte. Il Risorto si fa carico di questa situazione, se la fa raccontare questa sofferenza, li ascolta, permette loro di dire la delusione e in ciò cammina con loro, “noi speravamo che gli fosse colui che avrebbe liberato Israele” (v. 21).

La prima cosa che Gesù fa, per chi si lascia raggiungere dal suo sguardo, è di leggerci dentro nel cuore. C’è un luogo preciso dove il Risorto oggi vuole raggiungerci. Lui si fa vicino, ascolta con pazienza ma una volta che è entrato, parla di sé, porta il nostro baricentro su di lui.

 E il primo miracolo si compie già lungo la strada: “non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le scritture?” (v. 32)

La Pasqua è tempo di ascolto della Parola. A Emmaus Gesù, “fa come se dovesse andare più avanti” (v.28),  Gesù per farsi riconoscere ci chiede il permesso, è come se consegnasse a noi la sua risurrezione: chiede una partecipazione alla sua salvezza; un gesto concreto che manifesti la nostra fede: Resta con noi perché si fa sera e il giorno e ormai al tramonto”(v.29).

E questo resta con noi perché si fa sera, è il nostro bisogno di lui, è la nostra sera, il nostro buio. Gesù entra, compie il gesto dello spezzare il pane, lì lo riconobbero. Capiamo la forza del gesto che lui ha compiuto nell’ultima cena, compiuto proprio per avere un gesto da rifare dopo la resurrezione, che spiegasse l’offerta della sua vita. La croce è riletta. Il contenuto del pane spezzato è la croce. Ma la croce senza il pane è un evento vuoto, ingiusto. Nel pane spezzato consegnò se stesso, la presenza Sua di Risorto. Nel momento in cui lo riconoscono, scompare e rimane il suo pane spezzato, quasi a dire che è più importante la Sua presenza in quel pane che non la sua apparizione. Lui ha scelto di continuare la logica dell’incarnazione, donando la sua presenza nell’umiltà del pane. Il pane spezzato è  più delle apparizioni del Risorto, perché esso spiega l’apparizione, che altrimenti sarebbe rimasta vuota. Questo pane è una forza strepitosa: ha la possibilità di farlo riconoscere, di rimetterli in cammino; hai il potere di trasformare la vita, se ne vanno col volto gioioso. La conoscenza di Lui trasfigura, fa tornare a Gerusalemme, luogo della sua morte, il luogo preciso della nostra sofferenza, ma ci tornano con un volto nuovo, con la gioia di poter dire a chi è ancora chiuso nella sua delusione:  “Gesù è vivo ed è apparso a me”.

 

Commento Patristico

 

Sant’Agostino dice: “La fede dei cristiani è la risurrezione di Cristo. Non è gran cosa credere che Gesù è morto; questo lo credono anche i pagani, tutti lo credono. Ma la cosa veramente grande è credere che egli è Risorto”.

 

Commento francescano

 

La vita di Chiara e Francesco è come un grande libro illustrato, ci svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto, a vivere secondo il modo di Dio. Nel cammino di fede, infatti, ciascuno di noi è guidato e illuminato dalla scoperta di un tratto nuovo del volto di Dio, conosciuto nella verità: è conoscenza intima e profonda, rischiarata dalla preghiera e compreso all’interno della relazione con il Tu di Dio; a volte è conoscenza incarnata nel volto di un fratello o di una sorella che si fanno Epifania di quella verità. Ci sono dei passaggi nella vita di Chiara in cui realmente cogliamo qualcosa di nuovo operato da Dio, una crescita in umanità e nella sua conformazione a Cristo, una trasformazione. Passaggi reali di Dio, che le hanno chiesto un lasciare qualcosa per un bene maggiore, una morte per la vita; passaggi in cui Chiara ha sperimentato la povertà nei suoi diversi aspetti (povertà materiali ma anche relazionali) e che sono stati decisivi per la sua santificazione, per la sua pienezza in umanità “Cristiforme”. Sono passaggi significativi che di volta in volta hanno creato in Chiara qualcosa di nuovo, l’hanno fatta sempre di nuovo “uscire dalla propria terra”, l’hanno trasformata “di povertà in povertà” nell’immagine di Cristo, fino a che il modo di Cristo si è realizzato pienamente in lei e nel suo vivere la vocazione evangelica. Un dono che si è compiuto, nella logica della Pasqua, proprio al culmine della sua espropriazione, quando prima di morire chiese ad una sorella a lei vicino: “ Vedi tu lo Re della gloria, lo quale vedo io?”(FF3017)

 

Orazione finale

 

Signore Gesù Cristo, nell’oscurità della morte, Tu hai fatto luce; nell’abisso della solitudine più profonda abita ormai per sempre la protezione potente del Tuo amore; in mezzo al Tuo nascondimento possiamo ormai cantare l’alleluia dei salvati. Concedici l’umile semplicità della fede, che non si lascia fuorviare quando Tu ci chiami nelle ore del buio, dell’abbandono, quando tutto sembra apparire problematico; concedici, in questo tempo nel quale attorno a Te si combatte una lotta mortale, luce sufficiente per non perderti; luce sufficiente perché noi possiamo darle a quanti ne hanno ancora più bisogno. Fai brillare il mistero della Tua gioia pasquale, come Aurora del mattino, nei nostri giorni; concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo al sabato Santo della storia. Concedici che, attraverso i giorni luminosi e oscuri di questo tempo, possiamo sempre con animo lieto trovarci in cammino verso la Tua gloria futura. Amen.

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