Nella storia cristiana certamente le idee di fraternità e fratellanza sono prevalse su quelle di amicizia. Il principio è incontestabile: siamo figli di un unico Padre, e dunque inevitabilmente fratelli e sorelle”.
Ma l’immagine di fraternità andava letta nell’ottica di un generale appiattimento delle relazioni, un grigio livellamento? C’è il campo di grano, ma c’è anche il fiordaliso.
Vorrei ricavare alcune suggestioni sull’amicizia attingendole alla Bibbia.
Nel Primo Testamento: Abramo.
Mi incuriosisce il fatto che Abramo per ben 4 volte nella Bibbia (2 Cr 20, 3; Is 41, 8; Dan 3, 35; Ge 2, 23) sia chiamato “amico di Dio.
Così nel rotolo di Isaia:
“Ma tu, Israele, mio servo
tu, Giacobbe, che ho scelto
discendente di Abramo, mio amico” (Is 41, 8).
Perché amico, amico di Dio, Abramo? E dove il segno della sua amicizia?
Forse perché nell’ora calda del giorno, alle Querce di Mamre, aveva ospitato nella sua tenda, con una generosità prorompente, i tre sconosciuti. E quando ospiti uno sconosciuto è come se tu ospitassi Dio.
O forse perché Dio ad Abramo non sa nascondere ciò che ha nel cuore, e questo è dono dell’amicizia, questa trasparenza. Ricordate Gesù: “Vi ho chiamato amici perché ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”.
E così Dio con Abramo non sa nascondere che sta per punire Sodoma e Gomorra. “Il Signore diceva: Posso io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?” (Gen 18, 17).
O forse amico perché con l’amico puoi intercedere, puoi osare: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere” (Gen 18, 27). C’è una distanza ed è superata.
E Abramo, da buon orientale, “tira sul prezzo” con Dio: “Forse si troveranno cinquanta giusti, quaranta, trenta, venti, forse se ne troveranno dieci…”. Lo puoi fare con un amico, suoi tirare di prezzo.