LE SORELLE ALLE QUALI IL SIGNORE HA DATO LA GRAZIA DI LAVORARE – 8 agosto 2017

Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare 
(Regola Santa Chiara VII, l)

Lavorare come gli altri

Approfondire la categoria del lavoro al tempo di Chiara permette di pensare al lavoro delle sorelle povere nell’oggi. Tenendo presente che anche nel duecento il lavoro non era soltanto un mezzo per combattere l’ozio, ma per poter vivere, la fraternità scelse di essere volontariamente povera, custodendo la formula povertà-lavoro, tipica dei poveri di allora. La filatura e il cucito, lavori tipici del tempo di Chiara descritti nelle Fonti, non erano né un esercizio ascetico né un passatempo, ma una forma di lavoro con cui le sorelle povere si potevano guadagnare il pane, condividendo in questo modo la condizione delle donne lavoratrici. Nello stesso modo con cui si ponevano i frati minori nel lavoro dipendente, artigianale e agricolo, non chiedendo salario, così le sorelle povere offrivano i loro manufatti, quale compenso per aiuti, per elemosine ricevute. Le sorelle povere, come dice la regola, non lavoravano solo per evitare l’ozio, ma per procurarsi con le loro mani di che vivere: il lavoro manuale, scandito da un orario rigoroso, svolto in modo sistematico e non affidato al capriccio di un momento, certamente non era né attività delle religiose del tempo né di nobili dame, ma era esperienza solo delle donne povere, appartenenti a ceti subalterni. Pertanto, così come veniva concepito e vissuto a San Damiano il lavoro costituiva uno degli aspetti più evidenti di quella condizione di minorità che Chiara come Francesco ritenevano non disgiungibile dall’evangelo.

Una specificazione ancora più aderente al tempo circa la concezione del lavoro in Chiara è data dal seguente approfondimento: lavorare con le proprie mani, manibus suis, ha nella forma di vita clariana una dimensione vocazionale, nel contesto di quella “conversione alla povertà” anche dal punto di vista sociale che caratterizzò il movimento evangelico nei secoli XII-XIV.

Questo tema è centrale nello svolgimento della forma vitae, poiché della scelta di povertà il lavoro manuale è conseguenza diretta e importante.

Dalla regola bollata riprende la definizione del lavoro come “grazia”, che apre un orizzonte più vasto rispetto alla concezione tradizionale che vedeva il lavoro solo quale mezzo di sostentamento o impegno ascetico; a questo Chiara aggiunge l’orario del tempo di lavoro, necessario in una struttura monastica come la sua: post horam tertiae, dopo l’ora di terza. Possiamo vedere nel testo clariano la stessa logica di Francesco: lavoro mercede per il sostentamento elemosine (con la differenza che Chiara permette di ricevere la pecunia).

Le sorelle povere sceglievano il lavoro manuale, perché in questo modo si mettevano sullo stesso piano soprattutto di tante donne costrette a vivere nella povertà, condividendo in questo modo la loro esperienza di fatica per un lavoro scarsamente retribuito, nonché per l’umiliazione subita a causa della mendicità: il fine era sostentarsi, da povere, guardandosi da ogni forma di guadagno o di accumulo di beni, una scelta contro corrente sia nei confronti della nobiltà, da cui la gran parte delle sorelle di San Damiano proveniva, sia nei confronti della borghesia in crescente ascesa, per la quale l’economia era sempre più in funzione del massimo guadagno e dell’accumulo illimitato di denaro.

Articoli consigliati