LECTIO DIVINA – 9 Febbraio 2020 – V Domenica T. O. / A

 

 

Is 58,7-10; Sal 111; 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16

 

 

 

           

 

            La liturgia di oggi ci accompagna nel mistero della sequela e della testimonianza di Cristo. Essere luce è un invito rivolto innanzitutto a noi affinché accogliamo Colui che rischiara le nostre tenebre con il calore dell’amore e con la leggerezza della riconciliazione, senza temere la croce, perché proprio attraverso di essa arriva la potenza di Dio. Se si accende un lumino in una lanterna, la luce non rischiara solo l’interno della lampada: si diffonde illuminando tutto ciò che le è attorno. Così viene descritto l’apostolato: essere luce per portare luce. Si comprende allora che il vero impegno consiste nel custodire la luce che ci è stata donata, perché da ciò dipende la gioia e la salvezza nostra e di tutti coloro che sono accanto a noi.

 

Testo e commento alle letture

 

Dal libro del profeta Isaia (Is 58,7-10)

 

Così dice il Signore:

7«Non consiste forse [il digiuno che voglio]

nel dividere il pane con l’affamato,

nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,

nel vestire uno che vedi nudo,

senza trascurare i tuoi parenti?

8Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,

la tua ferita si rimarginerà presto.

Davanti a te camminerà la tua giustizia,

la gloria del Signore ti seguirà.

9Allora invocherai e il Signore ti risponderà,

implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”

Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,

il puntare il dito e il parlare empio,     

 10se aprirai il tuo cuor e all’affamato,

se sazierai l’afflitto di cuore,

allora brillerà fra le tenebre la tua luce,

la tua tenebra sarà come il meriggio».

 

Il profeta Isaia ci parla del digiuno come eccezione rispetto alla normale e prevalente situazione di egoismo. Fare digiuno dal proprio egoismo consiste nell’aprire il cuore, nello spezzare la nostra chiusura verso l’altro, nel lasciar rompere la scorza delle difese dietro la quale ci nascondiamo. Per far ciò, dice il profeta, è necessario alzare lo sguardo inchiodato sulla nostra storia e sul nostro dolore (Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio), e rivolgerlo a ciò che ci circonda per accorgerci del bisognoso che ci è affianco. Inoltre evidenzia che la nostra guarigione (la tua ferita si rimarginerà presto) passa per la cura dell’altro. È curando l’altro nella sua fame e nella sua afflizione, che ciascuno cura se stesso.  Se è vero che Dio è nell’altro, allora è prestando attenzione all’altro che si incontra Lui. Finché non si fa spazio al fratello, con le sue tenebre, accogliendolo sia nel cuore che nella vita, non si permette a Dio di entrare nelle nostre di tenebre. Allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.

 

             

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 2,1-5)

 

1Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

                 

Paolo afferma che si può testimoniare Cristo solo dalla croce, cioè rinunciando alla volontà di potere sull’altro (Mi presentai a voi nella debolezza) e vivendo la paura (con molto timore e trepidazione) nella fiducia che c’è il Padre oltre il vuoto. In Cristo Crocifisso, infatti, vediamo sia la fragilità dell’essere umano sia la potenza di Dio che, attraverso la morte, ci conduce a maggior vita.

           

 

Testo e commento al Vangelo 

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,13-16)

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 13«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

           

La pericope proposta dalla liturgia segue immediatamente la proclamazione delle beatitudini, in cui Cristo ha annunciato ai suoi discepoli che, per essere beati, è necessario somigliare a lui piuttosto che osservare delle norme. Gesù indica, infatti, come essere e non cosa fare. Ora, compiendo un passaggio ulteriore, afferma che il discepolo, se diventa come lui, non solo sperimenta la beatitudine della vita eterna ma la rende manifesta anche agli altri. Avere Cristo nel cuore e nel corpo, avere i suoi stessi sentimenti, agire come farebbe lui, pensare secondo lo sguardo del Padre … tutto questo manifesta Dio agli uomini. Non le parole ma l’essere Cristo porta Gesù al mondo.

Essere sale

Gesù non esorta a comprare del sale per dare gusto e durata alle cose della terra; non indica, guardando al mondo esteriore, una soluzione per le cose esteriori. Chiede ai discepoli di essere loro stessi sale per mostrare alle genti come un’esistenza si può riempire di senso (gusto) e di vita eterna (durata). Sta quindi richiamando l’attenzione alla sorgente interiore che dà sostanza e significato alle circostanze della vita presente, così come sono. E sta anche sottolineando che il diventare sale è affidato alla libertà di ciascuno ed è direttamente proporzionale alla disponibilità di lasciarsi cuocere dal fuoco dello Spirito Santo e dal suo amore, per poi lasciarsi spezzare per essere mangiato da tanti. Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6,37).

Essere luce

Gesù invita i discepoli ad essere una luce per indicare alle persone che esiste una strada (via) da percorrere in piena consapevolezza (verità) e nel contempo nella gioia autentica (vita). Una testimonianza che si fonda sulla sua persona, che è Via, Verità e Vita (Cfr. Gv 14,6). Solo quando siamo in lui possiamo sperimentare la vita vera che scorre nella sua potenza, travolgendo la nostra vita e l’esistenza di chi ci sta accanto in una traiettoria sconosciuta che, tra gioie e dolori, manifesta il Padre in modo sempre più autentico (perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre). Essere luce è vivere la grazia di Dio.

     

      

Commento patristico (San Giovanni Crisostomo, In Matth. 15, 6 s.)

 

“Ma se il sale diviene insipido, con che gli si renderà il sapore? A null’altro più è buono che ad essere buttato via perché sia calpestato dagli uomini” (Mt 5,13). Nel timore che gli apostoli, sentendo dire che il mondo li avrebbe coperti di ingiurie, che li avrebbe perseguitati e che avrebbe detto di loro tutto il male possibile, avessero avuto paura di farsi avanti e di mettersi in mezzo a parlare alla gente, Gesù dichiarò apertamente che, se essi non erano pronti ad affrontare questo, invano li aveva scelti. Voi non dovete temere – sembra dire – di essere calunniati; dovete piuttosto temere di apparire adulatori, perchè‚ allora diverreste un sale insipido, «a null’altro buono che ad essere buttato via, perché sia calpestato dagli uomini». Ma, se voi conservate tutta la vostra sapidità di fronte alla corruzione, e se allora la gente dirà male di voi, rallegratevi perché questo è l’effetto che fa il sale, che morde e punge le piaghe. Le maledizioni degli uomini vi seguiranno inevitabilmente; ma, lungi dal procurarvi del male, esse testimonieranno la vostra fermezza. Se, invece, il timore delle calunnie vi farà perdere il vigore che vi è indispensabile, allora patirete conseguenze ben peggiori e sarete coperti dalle ingiurie e dal disprezzo di tutti: questo significano le parole «calpestato dagli uomini».

 

 

Commento francescano Compilazione di Assisi (FF 1616)

 

Non c’è condizione in cui non si possa essere luce per gli altri. Ce lo dimostra Francesco, il quale si fa strumento del Padre anche quando non si può muovere dal letto a causa della malattia. Si sente coinvolto e interpellato dalla situazione di divisione creatasi tra il podestà e il vescovo di Assisi. Si dispiace profondamente perché nessuno si prende a cuore la questione e prende iniziativa lui stesso. Fa il suo possibile, in modo originale e creativo, con la certezza che il Padre agirà dove lui non può arrivare.

Francesco, malato com’era, fu preso da pietà per loro, soprattutto perché nessun ecclesiastico o secolare si interessava di ristabilire tra i due la pace e la concordia. E disse ai suoi compagni: “Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il podestà si odino talmente l’un l’altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia ».

Compone allora una strofa nuova da aggiungere al Cantico delle creature e chiede ai frati di cantarlo alla presenza del podestà e del vescovo, che aveva fatto riunire al vescovado. Francesco aveva fiducia che il Signore sarebbe intervenuto rendendo umili i loro cuori e riportando la pace tra i due. E così infatti accade.

 

 

Orazione finale

 

Padre, insegnaci a non lamentarci di ciò che abbiamo attorno e ad essere noi il cambiamento che vorremmo vedere. Insegnaci a non aspettare di ricevere dagli altri ma a dare noi stessi quello che vorremmo avere. Insegnaci a non seguire gli abbagli ma ad essere il riflesso della luce vera. Insegnaci a non mendicare l’attenzione dagli altri ma ad essere lo sguardo che dona la vita. Amen.

 

 

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