At 15, 1-2.22-29; Sal 66; Ap 21, 10-14.22-23; Gv 14, 23-29
L’impegno dei veri discepoli, che agiscono a favore della pace e della felicità degli uomini, incontra sempre l’ostilità di quanti sono attaccati a qualsiasi forma di potere e di ricchezza. Ma il Signore assicura: Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Vi do la mia pace.
Testo e commento alle letture
Dagli Atti degli apostoli (15, 1-2.22-29)
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per talequestione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
La prima lettura ci pone subito davanti la contraddizione di un uomo che per portare la pace di Cristo, si scontra duramente con chi la osteggia. Alcuni cristiani di origine ebraica vogliono imporre ai pagani convertiti l’osservanza dell’intera legge religiosa ebraica, in primis la circoncisione, sostenendo che non può esserci salvezza per l’uomo all’infuori della norma. Paolo si oppone fortemente e finirà più tardi prigioniero con l’accusa di turbare l’ordine pubblico. Paolo non minimizza il contrasto in atto tra pagani ed ebrei rigoristi, non assume una posizione di mediazione accomodante tra le parti, non tace le divisioni per quieto vivere né, scoraggiato dalla difficoltà, si tira fuori dalla missione conferitagli da Dio e a cui lui ha risposto. Innanzitutto Paolo capisce che quei giudei stanno tentando di negare ad altri uomini l’accesso a Dio e stanno difendendo il loro potere e il loro presunto diritto di dominio sulla gente. Di fronte a tutto ciò, Paolo non ha dubbi su cosa va difeso ma forse ha qualche problema sul come difenderlo, tanto che viene richiamato dagli apostoli e dagli anziani a Gerusalemme. Questi si riuniscono, accolgono le ispirazioni dello Spirito Santo e stabiliscono per i fedeli 3 norme, che non sono semplici pratiche esteriori ma sono azioni che è bene evitare perché impedirebbero la grazia di Dio. Non viene quindi stabilito un confine tra la condizione dei salvati e quella dei dannati, perché la salvezza di Dio è per tutti. Viene però definito un ambito di comportamento che favorisce l’azione di Dio nell’uomo e nella sua vita.
Ed è proprio questo che viene chiesto a noi in quanto Chiesa: mettere gli altri nelle condizioni di ricevere il dono di Dio. Paolo porta la pace di Cristo a coloro che la desiderano e per fare questo è necessaria la sua lotta contro coloro che la impediscono, cioè contro coloro che agiscono per potere e dominio. Sulle modalità della lotta, lasciamoci guidare dal magistero della Chiesa e dallo Spirito Santo. “Donando a noi Cristo, rendendolo vivo e presente in mezzo a noi, rigenerandolo continuamente nella fede e nella preghiera degli uomini, la Chiesa dà all’umanità la luce. Chi desidera la presenza di Cristo in mezzo all’umanità, la può trovare soltanto nella Chiesa, mai contro di essa” (J. Ratzinger, Perché sono ancora nella Chiesa, Rizzoli, 2008).
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (21, 10-14. 22-23)
L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.
Se la prima lettura ci fa prendere coscienza della realtà che abitiamo, questa seconda lettura ci ricorda dove siamo diretti. Nella Gerusalemme celeste c’è una luce abbagliante, un ESSERE e non più un FARE, c’è finalmente la comunione piena con Dio. Questa unione con Dio è descritta come leggera, cristallina e luminosa. E pensare che il Signore ci ha chiamati a vivere già ora una parte di tutto ciò! Non si tratta solo di una promessa per l’aldilà ma di una possibilità per il presente.
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni (14, 23-29)
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Il Vangelo è chiarissimo nel presentarci la pace come un dono che viene dalla Pasqua. E’ un regalo che non ha nastri e non ha carta colorata ma si può riconoscere nelle persone che lo accolgono: la pace è un modo di pensare e di essere. La pace è avere la dimora di Dio in noi, infatti questo vangelo ci parla di pace in relazione all’obbedienza e all’amore verso il Padre. Non suggerisce modalità per creare attorno a noi condizioni di assenza di conflitti. Anzi “la pace della quale i discepoli devono essere portatori non si costruisce senza conflitti, ma è essa stessa causa di conflitto. Per questo, dissipando ogni equivoco su una pace calata dal cielo senza alcun coinvolgimento degli uomini, Gesù dichiara: “Non pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare una pace, ma una spada” (Mt 10,34).” (p. Alberto Maggi)
Cristo ci dà la sua pace, non la pace nel mondo; condizione, quest’ultima, che è nostra responsabilità costruire e che si realizzerà quando tutti gli uomini ne saranno capaci, cioè quando avranno accolto la pace che viene da Lui. La pace che ci lascia Gesù è una condizione interiore che ci fa vivere nel mondo pieno di conflitti da santi, nell’accezione etimologica di separati.
Separati non significa che non abbiamo a cuore il mondo o che siamo passivi. Separati significa più consapevoli perché più distaccati dalle distorsioni umane e più prossimi allo Spirito Santo. Il Paraclito, se lo accogliamo, ci insegna e ci ricorda, ci dà consapevolezza senza farci stagnare nei sensi di colpa e ci apre ad un orizzonte che trascende sofferenze e fallimenti. Ci apre lo sguardo e il desiderio alla Gerusalemme celeste e nello stesso tempo, ci dà la grazia per vivere consapevolmente e responsabilmente la Gerusalemme terrestre.
Commento Francescano
(Ammonizioni, XV: FF 164)
Sono veri pacifici coloro che in tutte le cose che sopportano in questo mondo, per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo.
“Notiamo che il santo non identifica l’essere pacifico con l’attività di mediazione e pacificazione ma che sembra insistere più sul fatto che la pace è una condizione del cuore o, più precisamente, della persona umana nella sua totalità: nell’anima e nel corpo; in altre parole dà maggior risalto al pacifico che al pacificatore. Questo significa che annunciare la pace agli altri è un impegno positivo, ma è molto più importante anzitutto portarla nel cuore, talmente importante che questa pace del cuore diventa un’esigenza imprescindibile in vista di qualunque sforzo so pacificazione. E’ una condizione che non nasce da interessi politici, e non va confusa con una strategia demagogica: è radicata nella convinzione che all’origine della riconciliazione e della pace tra gli uomini sta l’amore redentore di Cristo” (F. Uribe, L’identità francescana, Edizioni Biblioteca Francescana, 2019).
Commento patristico
(Giovanni Crisostomo, Commento a Matteo 15,10)
Quando vediamo persone che si battono e si fanno del male, non restiamo lì a godere del disonore e del dolore altrui… Cosa può esservi di più inumano di un simile comportamento? Vedete un uomo che agisce male, e voi credete di essere innocenti, se restate lì fermi?… Se voi temete di ricevere una ferita per salvare un vostro fratello, ricordate che nostro Signore non ha esitato a farsi crocifiggere per voi. Le persone che litigano sono come uomini umiliati e ottenebrati, perché sono trasportati dal furore che li domina come un tiranno. Essi dunque hanno bisogno, sia quello che offende, sia quello che riceve l’offesa, di qualche persona saggia, che li aiuti in questa difficile circostanza: il primo, per poter smettere di offendere, l’altro per non subire più offese. Avvicinatevi quindi e tendete le vostre mani, voi che siete moderati e sobri, a chi è ubriaco. Vi è un’ubriachezza prodotta dall’ira, che è ben più grave e deteriore di quella prodotta dal vino.
Orazione finale
Padre, donaci il discernimento per distinguere il bene e il coraggio per sceglierlo. Ti ringraziamo per il dono della tua pace, insegnaci ad accoglierlo. Amen.