Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
Una mamma e un papà guardano con amore adorante il figlio ancora in fasce: davanti a loro tre scienziati, i “magi”, sapienti e facoltosi, s’inchinano al cospetto di questo bimbo segnato da un destino eccezionale e nato da poco in condizioni precarie; consegnano al piccolo tre doni simbolici: l’oro della dignità regale, l’incenso della preghiera, la mirra per l’unzione del Messia e la sua futura sepoltura. La meditazione di questo “quadretto” evangelico (Mt 2, 11) riporta alla mente la situazione di tanti piccoli pazienti dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, di cui siamo venute a conoscenza attraverso alcuni amici: bimbi di pochi mesi che, circondati dall’affetto dei genitori e dalle cure di medici e infermieri a loro volta supportati da team di ricercatori d’eccellenza, vivono la fragilità della malattia, della sofferenza, in alcuni casi della morte prematura. Accompagnandoli con la preghiera, chiediamo per i loro genitori lo stesso amore e lo stesso coraggio di Giuseppe e di Maria; per il personale medico, la stessa sapienza e umiltà dei Re magi nell’accostarsi al mistero di queste piccole vite e alle loro famiglie; per i bimbi la protezione di un Dio che si è fatto bambino come loro.
Testo e commento alle Letture
Dal Libro del profeta Isaia (60,1-6)
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra,
nebbia fitta avvolge le nazioni;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno i popoli alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
A quella vista sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te,
verranno a te i beni dei popoli.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Madian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Isaia non predice solo la nascita dell’Emmanuele, il “Dio-con-noi” (Is 7,14), ma anche il riconoscimento di questa presenza da parte di tutte le genti, che convergeranno verso Gerusalemme, la “città della pace”, della pienezza, il luogo geografico nel quale il Padre ha scelto di rivelarsi nel Figlio e che, ancora oggi, ci interroga come cristiani alla luce delle sofferenze che imperversano su questa terra. Isaia, con lo sguardo acuto del profeta, predice una conversione universale, la fine della dispersione, dell’isolamento reciproco, della chiusura del cuore. Il viaggio dalle terre di tenebra verso la città della luce è il viaggio di ogni uomo, di ogni cuore, verso la luce della fede; i doni e le ricchezze sono la restituzione al Signore della gloria, di tutto ciò che possediamo, di ciò che abbiamo costruito e raccolto “per mezzo di Lui e in vista di Lui” (Col 1, 16).
Dalla Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (3,2-3a.5-6)
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo.
La partecipazione dei Gentili, dei pagani, alle promesse evangeliche, la loro incorporazione alla Chiesa di Cristo, è il mistero, la realtà nascosta che Paolo ha conosciuto ed è chiamato da Cristo stesso a rivelare al mondo: il Dio di Gesù Cristo desidera che tutti gli uomini, non solo gli israeliti, lo conoscano e riconoscano come Padre misericordioso. Chi, come gli apostoli, i profeti e Paolo, lo ha incontrato, desidera che ogni uomo possa vivere la stessa esperienza di incontro, la stessa relazione d’amore.
Testo e commento al Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (2,1-12)
Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:
da te uscirà infatti un capo
che pascerà il mio popolo, Israele».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Dove mi conducono i talenti che ho ricevuto? Le mie capacità, gli studi, la professione, gli affetti? Quale “stella”, quale desiderio attira il mio cuore, cioè tutta la mia persona? La sapienza dei Magi, astronomi e sacerdoti di origine persiana, si apre al mistero, al divino: il loro sapere non è autoreferenziale né costretto entro i confini del materiale. Al contrario, li spinge a compiere un lungo viaggio per seguire un segno visibile, la stella, e incontrare un grande della terra, uno certamente più grande di loro, un “re” da adorare. La profondità e l’umiltà della loro sapienza, la certezza di avere seguito un segno che non li ha ingannati, consente ai Magi di riconoscere in un neonato uguale a tanti altri, adagiato in un luogo semplice, povero, insieme ad una mamma e ad un papà che non hanno nulla di apparentemente regale, un inviato del cielo, un sovrano davanti al quale inchinarsi.
L’atto dell’adorazione, che i Magi desiderano compiere ancora prima di essere giunti in Palestina, a Betlemme, è un gesto di intimità: ad os significa, infatti, portare la mano alla bocca per mangiare, per dare un bacio, per fare silenzio. Amore e stupore di fronte ad un Dio semplice, che si rivela così simile a noi, mettono in ginocchio l’intelligenza, le ricchezze, tutti i desideri del cuore. Il dono della mirra, in particolare, sottolinea la duplice natura di questo bambino: egli è il Cristo, l’unto (Mašīaḥ) del Signore, che rivelerà nel tempo la sua identità di Figlio del Padre celeste, ma è anche l’uomo che attraverserà come noi e a nostro vantaggio la morte, dotato di un corpo che riceverà i trattamenti tipici della sepoltura.
L’incontro con questo mistero di grandezza, depositato in una realtà umana ordinaria, cambia il tragitto dei Magi, che ritornano sì al loro paese, ai loro studi, ma per una via nuova, che elude la menzogna, la superbia, le ambizioni sfrenate rappresentate dalla figura di Erode. Non indugiano i Magi, non si attardano “in compagnia degli stolti” (Sal 1), ma trasformati da una “grandissima gioia” ritornano alle loro case.
Commento patristico
Dal Discorso 3 per l’Epifania di san Leone Magno, papa:
“I tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l’un l’altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere”.
Commento francescano
La purezza del cuore, la sua immersione nella santità di Dio, il disprezzo di tutto ciò che da Lui ci allontana rendendo il cuore ozioso, egoista, doppio, superbo, ribelle, ostinato…è la condizione essenziale per vedere e adorare il Signore. Così recita l’Ammonizione XVI di san Francesco:
“Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio. Veramente puri di cuore sono coloro che disprezzano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere sempre il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro” (FF 165).
Orazione finale
Padre misericordioso, che gradisci la sincerità del cuore e insegni la vera sapienza, crea in noi un cuore puro, rinnova in noi uno spirito saldo perché possiamo restare sempre con amore adorante alla Tua presenza. Amen. (cfr. Salmo 50)