LECTIO DIVINA – 8 Ottobre 2017 – XXVII T.O. / A

 

 

 

 

 

                  Is 5,1-7; Sal 79 (80); Fil 4,6-9; Mt 21, 33-43

 

 

 

La vigna, simbolo di Israele nell’Antico Testamento e del Regno dei Cieli nelle parabole del Vangelo di Matteo, rimanda all’amore, alla cura del Padre verso i figli e il loro destino. Ciascuno di noi, leggendo il “Cantico della vigna” di Isaia e la parabola dei vignaioli omicidi di Matteo, può identificarsi alternativamente con il popolo amato da Dio e con i vignaioli per domandarsi quanta coscienza abbiamo dell’amore che Dio ha per noi e con quale grado di responsabilità ci occupiamo dei doni da Lui ricevuti facendoli fruttificare a vantaggio di tutti.

 

 

Commento alle Letture

 

Il Cantico di Isaia ha tutti i toni del canto d’amore dello sposo per la sposa: la vigna e il suo “sangue” (in ebraico il vino si chiama “sangue dell’uva”) sono Israele e la sua risposta d’amore alla passione dello sposo Jahvè. La cura della vigna, che è fatica, dedizione e attesa, azioni che un popolo agricolo ben conosce, viene però mal ripagata: l’identificazione con la vigna che dà “acini acerbi” ci spinge a domandarci quante volte e perché, nonostante la predilezione di Dio per noi, non corrispondiamo al suo amore, alla cura puntuale che ha per noi.

 

Anche san Paolo invita i Filippesi a rivolgersi a Dio “in ogni circostanza”: così la sua pace, il suo shalom, che è sinonimo di pienezza, custodirà le nostre volontà e il nostro intelletto (cuore e mente) entro il “recinto” di una vita virtuosa, a imitazione di quella di Cristo.

 

Commento al Vangelo

 

Nei capitoli 21 e 22 di Matteo Gesù rompe esplicitamente con gli anziani e i capi del popolo attraverso una serie di parabole a loro rivolte, che mettono a tema la cura della vigna/Regno dei Cieli da parte delle guide del popolo eletto (Mt 21,23-45). Questo dialogo polemico segue all’ingresso osannante di Gesù a Gerusalemme, da alcuni esegeti associato a Sukkot, la festa ebraica delle Capanne, memoria della presenza del Signore in mezzo al popolo nel deserto, in attesa di entrare nella Terra Promessa. Sukkot è detta anche “festa della vigna”, espressione della gioia del popolo e di ringraziamento a Dio per i frutti della terra. Qui si inserisce la parabola dei vignaioli omicidi che, anziché gioire per l’arrivo del Figlio/Messia, uccidono lui, e prima di lui i Profeti, per impadronirsi della vigna.

Dio è un padrone che allestisce la vigna con cura di ogni particolare, senza tralasciare di proteggerla attraverso il “recinto” dei Suoi comandamenti. Poi parte: è un Padre che ha fiducia totale nella libertà e responsabilità umane.

Gesù mette anche noi davanti a questo racconto perché possiamo riconoscere con maggior chiarezza la nostra ingratitudine, la perdita del cosiddetto “timor di Dio” che è la consapevolezza che i doni che amministriamo e che contribuiamo a moltiplicare vengono da Lui e a Lui appartengono; in secondo luogo, i frutti che traiamo dai suoi doni vanno amministrati secondo le Sue disposizioni e sono a vantaggio nostro e degli altri. 

Come il re Davide, di fronte al racconto imbastito da Natan per renderlo consapevole dell’ingiustizia compiuta nei confronti di Uria per sottrargli la moglie Betsabea, accettò l’ammonimento del Signore riguardo alla sua ingratitudine, anche noi lasciamoci interrogare dalla provocazione di Gesù. Diversamente dai capi dei Giudei che, punti sul vivo, percorsero fino in fondo la via del male, ammettiamo i nostri protagonismi, il nostro a-teismo, la tentazione di omettere la paternità di Dio sulla nostra vita per costruire il Regno dei Cieli sulla base della nostra volontà, ignorandone la Sua. 

Nonostante le difficoltà personali e le persecuzioni esterne, costruiamo con pazienza qui il Regno dei Cieli: non costringiamo il Padre a privarci dei suoi doni per affidarli ad altri, non priviamoci della bellezza di poter lavorare per Lui.

 

Commento francescano

 

San Francesco, innamorato cantore della natura, invitava la natura stessa, vigne comprese (FF460), a lodare il Creatore.

Nella Leggenda maggiore di san Bonaventura, la “vigna di Cristo” diventa l’Ordine stesso dei Frati minori (FF1072): Francesco si fece, con i suoi, itinerante annunciatore del Regno di Dio “guidato dalla grazia divina”, “non basandosi su discorsi persuasivi della sapienza umana, ma sulla potenza dello Spirito”. Con “la mente e il volto sempre rivolti al cielo, si sforzava di attirare tutti verso l’alto”. Riponendo la sua opera nelle mani di Dio e con l’indispensabile aiuto di Maria, l’Ordine incominciò a produrre “frutti abbondanti con fiori soavi di grazia e di santità”.

 

Preghiera finale

 

Padre nostro, datore di ogni bene materiale e spirituale, donaci amore e perseveranza nel costruire e custodire il Regno dei cieli in mezzo agli uomini: donaci fortezza, pazienza nelle avversità, fiducia totale nella Tua presenza in mezzo a noi. Amen.

 

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