LECTIO DIVINA XXIV T.O. / A – 17 Settembre 2017

 

 

Sir 27,30-28,7. (NV) gr.27,33-28,9; Rm14, 7-9; Mt 18,21-35

 

 

     Oggi la liturgia della Parola ci propone il tema del  perdono reciproco, dono che viene da Dio stesso. Siamo chiamati ad essere segno visibile di questa misericordia che è capace di farci uscire delle nostre chiusure.

 

 

Commento alle letture 

     La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, ci ricorda come i peccati si trovano dentro il cuore dell’ uomo. Tante volte ci lasciamo invadere dall’ira, dal rancore ma se riconosciamo con umiltà e semplicità i nostri peccati,saremo salvati da Dio e coltiveremo nel suo nome relazioni fraterne profonde.

     Solo perdonando restiamo fedeli all’amore di Dio. Se coltiviamo sentimenti negativi nei confronti dei nostri fratelli seminiamo solo distruzione e divisione, invece il perdono ci ridona la gioia della salvezza. Possiamo accogliere il suggerimento che ci viene dal Siracide: “Una lite concitata accende il fuoco, una rissa violenta fa versare sangue. Se soffi su una scintilla, divampa, se vi sputi sopra, si spegne; eppure ambedue le cose escono dalla tua bocca”. (Sir 28,11-12). 

     Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani ci dice che Cristo è morto ed è risorto per diventare il Signore dei morti e dei viventi e che quindi la nostra vita e la nostra morte appartengono solo a Lui. La cosa più importante è che ogni cosa che facciamo sia per far piacere a Dio e vivere sotto il suo sguardo d’amore; vivere per il Signore Gesù è sceglierlo ogni giorno.

 

Commento al Vangelo                                                             

     Il Vangelo di questa domenica ci parla della necessità di perdonare. L’esempio che Gesù fa è quello del padrone misericordioso che ha avuto pietà del servo che supplicava perdono perche non era in grado di restituire il suo debito; il servo, invece, a sua volta non ha avuto pietà del suo debitore e non ha saputo perdonare. L’espressione di Gesù “settanta volte sette” era un’allusione chiara alle parole di Lamech che diceva: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gen 4,23-24). Gesù vuole capovolgere la spirale di odio, di vendetta, di violenza entrata nel mondo per la disobbedienza di Adamo ed Eva, per l’uccisione di Abele da parte di Caino e per la vendetta di Lamech.

     Nel Vangelo di Matteo, Pietro domanda a Gesù quante volte deve perdonare il proprio fratello, la risposta di Gesù, non si ferma ad indicarci solo dei numeri, ma semplicemente ci invita a perdonare “sempre”.

     Nella  parabola raccontata, Gesù mette in evidenza la compassione e la pazienza di Dio con noi, questi atteggiamenti ci mostrano non solo la forza di Dio nell’amarci ma la sua tenerezza di ‘Madre’. La benevolenza e la pazienza sono proprie di Dio: se vogliamo amare come Dio, dovremmo armarci di pazienza verso noi stessi e accogliere anche le mancanze dei nostri fratelli.

     Oggi il Vangelo ci dice anche che sono i compagni del servo a raccontare al Re che il servo non ha avuto pietà. La comunità, i fratelli, ci portano davanti a Dio nella nostra bellezza e nella nostra ingiustizia. Abbiamo bisogno che qualcuno si prenda cura della nostra vita e sia testimone dell’amore che cerchiamo di vivere; grazie ai nostri fratelli ci presenteremo a Dio perché sono loro l’unica via per vivere veramente da fratelli. Chi per amore del prossimo è pronto a perdonare vive in pienezza l’amore fraterno. Non perdonare è uccidere i nostri fratelli, è negare loro il diritto di sbagliare, di essere umani, cioè soggetti alla precarietà e al limite.

     Il perdono non è solo un atto, è una dinamica e in quanto tale deve coinvolgere il nostro quotidiano. Dal perdono reciproco nasce e si costruisce ogni vera comunità cristiana. Solo nel perdono diveniamo sempre più figli di Dio, viviamo da fratelli, generiamo nell’altro Dio.

 

Commento francescano

     Santa Chiara D’Assisi nella sua Regola, al capitolo X, ricordava ad ogni Sorella di vivere alla luce della vera carità che perdona e che accoglie con umiltà i peccati altrui. Dice infatti:

« L’abbadessa e le sue sorelle si guardino dallo adirarsi e turbarsi per il peccato di alcuna, perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in se stesse e nelle altre. Se accadesse, il che non sia, che fra una sorella e l’altra sorgesse talvolta, a motivo di parole o di segni, occasione di turbamento e di scandalo, quella che fu causa di turbamento, subito, prima di offrire davanti a Dio l’offerta della sua orazione, non soltanto si getti umilmente ai piedi dell’altra domandando perdono, ma anche con semplicità la preghi di intercedere per lei presso il Signore perché la perdoni. L’altra poi, memore di quella parola del Signore: “Se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà voi, perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale”» (FF 2802- 2803).

     Come Sorella povera, Chiara viveva innanzitutto nella dimensione della restituzione, del perdono gratuito e generoso, esortava le sue Sorelle a non appropriarsi dei peccati altrui, vivendo senza possesso le relazioni fraterne ed evitando di sentirsi giudice delle sorelle. Chiara ci ricorda di  non lasciarsi invadere dell’ira, ma piuttosto essere disposte a vivere nella santa unità.

 

Orazione finale

     Dio, padre nostro e creatore dell’universo, insegnaci ad amarci gli uni agli altri con la stessa generosità e comprensione che tu hai con ciascuno di noi. Donaci lo Spirito Santo perché apra i nostri occhi e i nostri cuori alla  tua misericordia, aiutaci ad essere tuoi figli donando come te il perdono ai nostri fratelli. Amen.

 

 

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