5 aprile 2020 DOMENICA DELLE PALME

Siamo oggi invitati a riflettere sul mistero fondamentale della fede cristiana: la passione, morte e risurrezione del Signore. È un evento che ci riguarda molto da vicino, perchè non si è concluso nel passato. Dio non si è stancato di desiderare disperatamente di ricondurci alla vita vera e anche oggi ci chiede di fidarci di Lui e seguire il Figlio per sperimentare la resurrezione a vita nuova. Ci chiede di accorgerci che la fragilità non è un ostacolo per vivere in comunione con gli uomini e con Dio. A causa della durezza del nostro cuore, ci lasciamo interrogare sulla vita solo in tempi di forte crisi, che possono quindi diventare i momenti più propizi per un rinnovamento autentico. A decidere il futuro saranno le nostre scelte, fatte assumendo e non eludendo la verità della nostra natura. Siamo esseri precari e finiti, che hanno bisogno di Dio.

 

Dal libro del profeta Isaia               Is 50,4-7

 

            Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare 
una parola allo sfiduciato. 
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.

 

Il profeta Isaia racconta la piena fiduciache si può osservare in chi ha incontrato Dio. Si tratta di una certezza interiore che nessun uomo può strappare via e neppure certe prove della vita, tale è il senso di appartenenza tra quest’uomo e Dio.

             

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi                                  Fil 2,6-11

 

            Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. 

 

                  Cristo scelse di essere simile agli uominie quindi assunse la precarietà e la creaturalità che è propria dell’uomo. Cristo è uomo in modo autentico e pieno: è colui che depone le illusioni del proprio Io e vive da figlio e non da padrone, secondo la verità della realtà umana. Se Cristo ha potuto vivere da figlio di Dio nonostante la fragile condizione umanache assume, perchè noi, che riceviamo anche il suo Spirito, ci ostiniamo a considerare questa condizione un impedimento a vivere da figli del Padre?

 

Passione di nostro Signore secondo Matteo      Mt 26,14-27,66

Per il commento: Mt 26,33-46

          Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare».  E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 
Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».

 

            Come conciliare la possibilità di una piena fiducia in Dio con la fragilità umana e le prove della vita?

In alcuni momenti non è possibile evitare di camminare su un filo sottilissimo teso tra l’angoscia e la fiducia in Dio. Gesù stesso di fronte alla morte si comporta come qualsiasi uomo farebbe: prova tristezza e angoscia, chiede ai suoi affetti più cari di restare insieme a lui a condividere quel momento di buio.Restate qui e vegliate con me.Sitratta di un filo tanto esile quanto la nostra fragilità; eppure è proprio qui che abita l’umanità più profonda, in cui non è possibile separare l’umano dal divino, il mortale dall’eterno. Si tratta di uno spazio dentro di noi, tanto stretto, scomodo, a volte doloroso, che dobbiamo quasi costringerci per abitarlo. Infatti è più facile per noi fuggirlo piuttosto che rimanerci, vigili e desti. E’ talmente difficile da sopportare che ci addormentiamo, come i discepoli. Eppure è qui che risiede l’essenziale della condizione umana, che Gesù esprime con un grido contraddittorio perché profondamente vero: Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!  Questa supplica dà voce ad una lotta tra due poli(Lo spirito è pronto, ma la carne è debole). Da un lato avanza la paura della morte, il desiderio disperato di evitarla, l’angoscia e la tristezza che si prova nel sentirsi strappare via dalla vita e dai propri cari (passi via da me questo calice). Dall’altro si impone la fiducia estremain un Padre che non abbandona nè tradisce i suoi figli, a cui Egli stesso ha dato la vita (come vuoi tu); la certezza che la morte fisica non è il termine dell’esistenza ma l’attraversamento di un torrente per tornare alla sorgente della vita; la fede in un Dio che sa condurre la storia meglio di come farebbe l’uomo; la verità, vissuta sulla propria pelle, di un Dio che scende a prendere in braccio il proprio figlio quando questo, arreso sulla sponda della sua impotenza, si è fermato ed ha chiamato il Padre. Da bambini, quando sperimentiamo l’impotenza, quando sappiamo che non possiamo fare nulla e abbiamo bisogno che qualcuno venga a prenderci, cosa facciamo? Chiamiamo la mamma. Forse una cosa simile accade, non solo quando ci troviamo a guardare in faccia la morte, ma anche ogni volta che accettiamo di guardare la nostra vita in modo realistico: tutto ci sfugge di mano, non possediamo nulla, tutto ci è dato ma nulla ci appartiene. Se l’impotenza dell’uomo viene riempita dalla potenza di Dio, allora quel vuoto che ci fa tanta paura potrebbe addirittura trasformarsi in un pieno traboccante. Il cambiamento dell’uomo è il vero miracolo. Se ci fidassimo di Dio, potremmo scoprire che la fragilità e la caducità non sono ostacoli alla vita nuova. Se non sprecassimo il nostro dolore inevitabile, ci accorgeremmo che, nonostante la sofferenza, esso può essere trasformato in opportunità di bene per molti.

 

Commento patristico             SanBernardo, Sermones in Psalmum «Qui habitat», 17, 4, 6

 

             Si è svuotato di se stesso fino in fondo e non sopporta di essere occupato da qualcosa che non può colmarlo. Sa bene a immagine di chi egli è stato creato, di quale grandezza è capace, e non tollera di accrescersi con cose meschine per poi perdere il bene supremo. “Lo soddisfo con la lunghezza dei giorni”: sì, ma soddisfo solo chi non può essere appagato che dalla luce vera, chi non sa essere colmato che dalla luce eterna. E quella lunghezza di giorni non avrà termine, quella chiarezza non conoscerà tramonto, quella sazietà non provocherà disgusto.

 

Commento francescano                 Francesco d’Assisi,Ufficio della Passione(FF 280-284)

 

            Mio Padre santo non allontanarti da me, perchè la tribolazione è vicina e non c’è chi mi aiuti. […] Accorri in mio aiuto, Signore, Dio della mia salvezza.

Angoscia e fiducia insieme. L’Ufficio di San Francesco è una preghiera di lotta. Una lotta che non compete solo a Gesù, ma coinvolge quanti desiderano essere suoi discepoli, soprattutto nell’ora della sofferenza e della prova.

Orazione finale

Padre,donaci la grazia di arrenderci alla verità della nostra precarietà per vivere la pienezza che viene solo da te. Amen.

 

 

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