LECTIO DIVINA – 10 Novembre 2019 – XXXII Domenica T. O. / C

 

2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38

 

                 

                  Fra pochi giorni festeggerà il suo dodicesimo compleanno la bellissima enciclica Spe salvi. Il 30 novembre del 2007 infatti l’allora Papa Benedetto XVI volle confermare i fedeli nella «speranza affidabile»ricevuta in dono nel battesimo. Introducendo la lettera, si esprimeva con queste parole: «Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Spe salvi 2).

            Speranza è la fiducia di essere incondizionatamente amati. E l’amore – quando è amore – non può essere che per sempre. La speranza cristiana è attesa di una vita che non ha fine. Si tratta della vita eterna causata dal sacrificio del Cristo nato, morto e risorto per noi; quella vita vera che anche motiva i nostri passi da viandanti verso il Cielo.

 

 

Testo e commento alle Letture

 

Dal secondo libro dei Maccabei (2Mac 7,1-2.9-14)

 

            In quei giorni, 1ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.

            2Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».

            [E il secondo,] 9giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».

            10Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, 11dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo».  12Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.

            13Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. 14Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».

 

Quello narrato dalla prima lettura è un quadretto particolarmente caro non solo alla tradizione veterotestamentaria, ma anche alla speranza cristiana, che considera i sette fratelli “modelli” proposti ai credenti di ogni epoca. Sono giovani che, pur di rimanere fedeli alle tradizioni ricevute dai Padri, sono stati pronti a sacrificare la vita. Il brano proposto appartiene al genere degli “Atti dei martiri”; avrà successo ancora al tempo dei testimoni della Chiesa delle origini.

Tema fondante del racconto, tipico del giudaismo contemporaneo a questo Libro, è la fede nella risurrezione oltre la morte: «Il re dell’universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna» – dice uno dei fratelli –. E un altro: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo».E ancora: «Da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati».     

 

 

Dalla seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2Ts 2,16-3,5)

 

            Fratelli, 16lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna  e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. 3,1Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, 2e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. 3Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.

            4Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. 5Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.

                   

            La seconda lettera ai Tessalonicesi, di dubbia appartenenza paolina ma di sicura ispirazione divina, si rivolge alla comunità cristiana di quella città della Macedonia che comunque l’Apostolo aveva precedentemente visitata in uno dei suoi viaggi missionari. Al capitolo secondo, di cui fa parte il brano di oggi, si affronta la questione della parousìa, la venuta finale di Cristo. «Dio, Padre nostro, ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza»: è l’amore di Dio che ci dà forza e ci permette di perseverare nel bene anche quando la prova accresce la fatica nell’operare come nel relazionarci, perché «la fede non è di tutti».

             

 

Testo e commento al Vangelo     

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 20,27-38)

 

            In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – egli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo e 31poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tuti e sette l’hanno avuta in moglie».

            34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;  35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito; 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. 38Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

 

            I sadducei appartenevano al gradino più alto della classe sacerdotale. Essi accoglievano della Bibbia solo la legge di Mosè come principio di fede; per questo rifiutavano la risurrezione, professata solo dai testi posteriori al Pentateuco. Per prendersi beffe di quella che è la vita dopo la morte, nel dialogo con Gesù riportato dal Vangelo odierno si rifanno alla norma del “levirato”, che ingiungeva a un Ebreo di prendere in sposa  la vedova del proprio fratello, qualora questi fosse morto senza lasciare figli; in questo modo avrebbe garantito al defunto una continuità, tanto nella memoria quanto nell’eredità. Gesù però risponde con forza a una interpretazione tanto grossolana, opponendovi la speranza in una vita dopo la morte che è pienezza di comunione con Dio, e che sconfina i limiti della condizione terrena. «Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

            Se il Signore dice di sé a Mosè di essere «il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe», è perché essi vivono in lui. La felicità a cui ogni uomo è destinato è senza limiti. Dio non lo abbandona al nulla. La notte quaggiù è cosparsa di ostacoli, a volte apparentemente senza via d’uscita, ma il male non ha l’ultima parola. è vero che la nostra lingua non sa descrivere la beatitudine che non ha fine, perché i nostri occhi non sono ancora atti a contemplarla, ma il cuore sa che il peso d’amore lasciato in ogni giorno dell’esistenza è destinato a non perire (François-Xavier Nguyen Van Thuan, Il peso del tempo).

 

 

Commento patristico

 

         Una delle lettere a noi giunte e scritte da uno dei maggiori Padri della Chiesa, Agostino, è indirizzata a una nobildonna cristiana di nome Proba, che nel momento in cui Roma aveva sperimentato lo sconvolgimento delle invasioni barbariche era stata costretta a lasciare beni e risorse per fuggire verso l’Africa in cerca di scampo. Aveva allora sentito tutto il sapore della precarietà che il presente sempre porta con sé. «Viviamo nella speranza… Nella luce di Lui vedremo la luce»: il santo vescovo esorta Proba a rimanere ferma, tra le prove della vita, in quella fiducia che sa che dal pellegrinaggio terreno siamo orientati verso la gioia piena della vita senza fine.

 

 

            «L‘unica cosa, 67senza la quale non giova nulla qualunque altra cosa è l’unica vera vita e la sola beata: cioè il poter contemplare, immortali per l’eternità e incorruttibili nel corpo e nello spirito, le delizie di Dio. In essa è la sorgente della vita, di cui ora dobbiamo avere sete nella preghiera, fino a che viviamo nella speranza e non vediamo ancora ciò che speriamo, sotto la protezione delle ali di Colui, al cui cospetto è tutto intero il nostro desiderio, che è quello di saziarci dei ricchi beni della sua casa, di dissetarci al fiume delle sue delizie. 68In lui infatti è la fonte della vita e nella luce di Lui vedremo la luce, 69quando il nostro desiderio sarà saziato dai suoi beni e non vi sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da possedere con godimento».

 (S. Agostino, Lettera a Proba)

 

 

Commento francescano

 

            Nel 1224, due anni prima della sua morte, sul monte della Verna l’umile frate Francesco d’Assisi riceve il dono delle stimmate. Appena dopo, ancora su quel sacro monte, scrive di sua mano le Lodi di Dio Altissimo. È un canto di ringraziamento, che si conclude con la lode al Dio speranza  e vita eterna.

            «Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie. 
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo, 
Tu sei onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra. 
Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi, 
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero. 
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza, 
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza, 
Tu sei bellezza, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete. 
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza, 
Tu sei giustizia e temperanza, 
Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza. 
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine. 
Tu sei protettore, Tu sei custode e difensore, 
Tu sei fortezza, Tu sei rifugio. 
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, 
Tu sei la nostra carità, Tu sei tutta la nostra dolcezza, 
Tu sei la nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore, 
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore
».

(LodAl: FF 261)

 

 

Orazione finale

 

            O Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche i morti vivono: fa’ che la parola del tuo Figlio seminata nei nostri cuori germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria.

            Amen.

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