NEL FUOCO LA PACE VERA – XX DOMENICA T.O./C

 

14 agosto 2022 – XX DOMENICA T.O./C

 

Il Vangelo di questa XX Domenica del tempo ordinario dà un bello scossone a quella che, ormai, è diventata la normalità della nostra vita quotidiana, fatta spesso di tiepidezza e di rilassatezza. Questo fuoco di cui oggi Gesù parla sembra che in noi sia spesso spento o seppellito. Preferiamo rimanere in pace, dormire tranquilli, non affaticarci e ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Ci siamo autoanestetizzati dalla fatica e dal dolore, dimenticando che quello che più conta è essere felici e non essere solo funzionanti, comodi, rilassati, bandendo ogni dolore e caduta.

Senza fatica, senza dolore, senza croce e senza cadute non possiamo arrivare a percepire la nostra più profonda autenticità. La divisione di cui Gesù parla non consiste tanto nel mettersi contro i genitori o i parenti, ma è un invito a essere noi stessi nonostante le opposizioni esterne. Possiamo illuderci di rendere la nostra vita un museo dove tutto è catalogato, predisposto, controllato e organizzato e dove, però, si respira morte; oppure possiamo trasformarla in una casa abitata da tanti bambini, che mettono tutto sottosopra, ma dove si respira vita. Siamo una casa viva o un museo morto? È ancora acceso questo fuoco in noi o lo abbiamo già spento da tempo e non ce ne siamo accorti?

 

 

Dal libro del profeta Geremia (38,4-6.8-10)

In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi». Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango. Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».

 

 

Dalla lettera agli Ebrei (12, 1-4)


Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

 

 

Dal Vangelo secondo Luca (12, 49-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

Pace apparente o pace vera? Questa è la domanda che il Vangelo di oggi ci pone. «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione». Il primo tipo di pace è, per assurdo, una pace in cui regna la calma totale, dove non c’è guerra, dove non si lotta per quello in cui si crede, dove non ci si affatica, dove non ci si prende la responsabilità di essere protagonisti attivi, dove vige l’apparenza, dove non si vive ma si vivacchia.

Il secondo tipo di pace è più scomodo perchè ci chiede di lottare per raggiungere un obiettivo, di non stare comodamente rilassati poichè tocca camminare per poi scegliere e decidere. Si accetta il rischio, si osa, ma senza mai tacere la verità dietro la carità. Così vivendo si allontana tutto ciò che è pre-controllato, pre-organizzato, pre-definito, a partire dalle relazioni. Se si è veri con l’altro viene fuori la verità di ognuno di noi, anche se questo potrebbe creare una momentanea divisione con madre, padre, sorella o fratello. Se non ci si divide ci si omologa e ci si uniforma. Così come per costruire una casa ben salda occorre spesso rivedere le fondamenta, così per creare vera comunione bisogna spesso mettere in crisi noi stessi, rimettendo in discussione tutto, ma distruggendo la pace apparente per far crescere quella vera.

Abbiamo noi questo fuoco? E, soprattutto, ci accontentiamo di vivere una pace apparente, dove tutto è quiete e di essere come gli altri desiderano, o di scegliere una pace vera, correndo il rischio della lotta, il coraggio di scelte difficili, di cadute e errori ma essendo davvero noi stessi? Che cosa vale la pena essere?

 

 

Commento Francescano

(dal “Cantico di frate Sole”, penultima strofa: FF 263)

Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore

e sostengo infirmitate e tribulatione.

Beati quelli che ‘l sosterranno in pace,

ca da Te, Altissimo, sirano incoronati.

 

Questa strofa è entrata nel Cantico in occasione di un violento dissidio tra il vescovo Guido e il podestà Oportulo. Francesco non invita i due a concludere un accordo, egli chiede loro piuttosto di ritrovare le energie spirituali interiori che permettono di superare le sofferenze, di perdonare, di dominare la collera, di evitare il turbamento; insomma di restare nella pace. Il potestà e il vescovo riconoscono i propri torti, vinti anche dall’emozione suscitata dal sentire cantare il Cantico con una nuova strofa, destinata esclusivamente a loro.

 

 

Orazione finale

Signore, nostro Dio, insegnaci ad affrontare in modo fruttuoso i conflitti necessari, aiutaci a lasciarci ferire dall’altro per sperimentare una vera riconciliazione e donaci la fede per accogliere la sconfitta che fa spazio a te. Per Cristo nostro Signore. Amen

 

 

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