SULLE ORME DI SANTA GIACINTA MARESCOTTI

Da Clarice Marescotti a sr Giacinta

Sr Giacinta, nasce a Vignanello nel 1585 da Marcantonio e Ottavia Orsini. Viene battezzata nella chiesa matrice del borgo e il nome che le viene imposto vuole ricordare la bisnonna materna Clarice Orsini di Monterotondo. L’infanzia dei sei fratelli è condizionata dai fatti di quegli anni tumultuosi e dai frequenti contrasti del padre con la giustizia pontificia.

Sappiamo da diverse testimonianze che il temperamento di Clarice non è così docile, non è fatta per stare chiusa in un convento. Lei, giovane nobile e ricca, desidera sposarsi e un nobile romano lo conosce: il marchese Paolo Capizucchi. Ma il padre, già interessato ad un matrimonio tra Marescotti e Capizucchi, sceglie per lui la figlia Ortensia, obbligandola alla vita coniugale nonostante più volte gli chiede di raggiungere al monastero San Bernardino di Viterbo la sorella maggiore, monaca. Clarice, invece, che spera di essere la prescelta perché più grande d’età, rimane fortemente delusa. Ortensia e Paolo Capizucchi si sposano a Vignanello l’8 novembre 1604 e nello stesso giorno Marcantonio comunica formalmente le sue intenzioni per Clarice. Nel 1605 Clarice fa il suo ingresso in monastero, veste l’abito monacale e cambia il proprio nome in sr Giacinta. Una sua consorella a distanza di anni dirà che “nel comparire che essa fece in Chiesa […] pareva una madama” e si dice che nel salutare i genitori al parlatorio esclama: “Eccomi sono monaca ma voglio vivere da par mio”.

 

Prende i voti il 22 gennaio 1606 e mette in pratica quanto aveva dichiarato al momento della vestizione, facendosi adattare e arredando in modo lussuoso un vero e proprio appartamento nella torre Damiata, che domina non solo il monastero ma parte della città. Al di là dell’enfasi con cui i primi biografi descrivono questa sistemazione, in quei tempi era pratica comune per le monache di nobili origini avere all’interno del monastero un proprio appartamento, dove addirittura in alcuni casi tenevano salotto. Suor Giacinta vive da nobile monaca circa quindici anni.

La conversione

Come avviene sempre nella vita dei santi e nella vita di ciascuno di noi, la conversione non è quasi mai una caduta da cavallo. Si tratta piuttosto di un processo di cambiamento lento, fatto di tanti piccoli eventi inseriti nella storia di ciascuno e che portano il segno di Dio che ci viene incontro. Spesso accade però che un evento specifico sprigiona una maggiore portata di grazia in conseguenza della nostra risposta e della nostra accoglienza. Il più delle volte è il fallimento del nostro operare senza Dio a spalancare la porte del nostro cuore a Lui. Così cominciano a cambiare sguardo, sensibilità, affetti, volontà e tutto ciò determina un cambiamento di rotta nella nostra vita. Così è stato anche per sr Giacinta, la quale nel corso della sua vita in monastero cade ammalata e, fortemente impaurita, chiede di confessarsi. Padre Antonio Bianchetti accogliere la confessa e raccoglie le confidenze della giovane, prescrivendole come penitenza la disciplina da farsi pubblicamente nel refettorio appena si fosse ristabilita ma Sr Giacinta torna “più punta che compunta” alla vita precedente.

La malattia si ripresenta con più forza e la paura di non recuperare la salute produce in lei una crisi che apre ad un autentico incontro col Signore e quindi alla conversione. Questa volta avviene qualcosa dentro di lei che le provoca un sincero mutamento interiore, cui poi corrisponde un drastico cambiamento anche nella condotta di vita.

 

Una volta guarita, infatti, abbandona il suo ricco appartamento e si rinchiude in una piccola cella, consegnando all’abbadessa le cose di sua proprietà. In consonanza con lo spirito del tempo si dedica a pratiche penitenziali molto dure ma si evince dalle cronache che era tanto severa con se stessa quanto benevola e comprensiva verso gli altri. La sua conversione stravolge la comunità, mette in crisi il sistema su cui poggiava la vita monastica dell’epoca provocando anche scandalo tra le monache. Le consorelle cominciano a darle dell’ipocrita e della stolta a causa della sua nuova condotta di vita.

La santità è sempre un po’ rivoluzionaria. Per comprenderlo è necessario considerare che nel XVII secolo i monasteri in genere erano organizzazioni complesse e rigide, dove si affiancavano, e qualche volta si contrapponevano, due categorie di monache: le professe o velate, per il manto nero che indossavano, che avevano il compito di gestire i beni del monastero stesso, curarne i rapporti con l’esterno, dedicarsi alla preghiera e alle pratiche religiose; e poi le converse o serviziali, che erano le monache meno abbienti a cui erano affidati i compiti propri delle domestiche, fra cui anche l’assistenza alle monache inferme. Sr Giacinta ribalta completamente questo paradigma accorrendo presso le monache più gravemente ammalate, cercando di portar loro conforto non solo fisico ma anche spirituale, non retrocedendo di fronte a situazioni che suscitavano ribrezzo. Questo suo atteggiamento, le attira le antipatie di entrambe le categorie: le velate sentivano come sovversiva l’opera di sr Giacinta che metteva in discussione la loro rigidità e ortodossia, mentre le converse temevano di essere accusate di incapacità a far bene le mansioni a cui erano chiamate.

 

Le consorelle le danno anche della predicatrice, perché viene spesso chiamata in parlatorio dove molti la cercano per consigli spirituali e perché si dedica molto all’istruzione delle educande radunandole anche la domenica in chiesa e parlando loro con fervore.

 

Sr Giacinta “madre della carità”

Sr Giacinta faceva molto parlare di sé in tutta la città ed era ricercata anche per ottenere consigli nella vita quotidiana. Al cuore della sua nuova vita c’era infatti la cura degli altri di cui diventa madre affettuosa: poveri, malati, orfani, ergastolani, anziani e vagabondi. Lei stessa disse: “Perché non posso essere io tutta pane e tutta veste per consolare tutti i poveri del mondo?” Una volta ad un carcerato inviò un pesce cotto nella cui bocca era nascosta una lettera: era il modo con cui sr Giacinta, molto creativamente, era riuscita a confortare quell’uomo. Il suo desiderio di aiutare gli altri era tale che non riusciva a custodire le somme di denaro che le arrivavano ma le elargiva ai suoi bisognosi, tanto che poi doveva tribolare parecchio per racimolare la somma da restituire. La clausura per lei non è stata un impedimento a creare una fitta rete di relazioni. Infatti, anche quando era al letto, inferma, scriveva lettere, biglietti e fogli a quelli che venivano a parlare con lei. Inoltre aveva creato una rete di informatori che la tenevano al corrente sulle persone che avevano bisogno di soccorso.

Con l’amore, dicono le cronache del tempo, sr Giacinta riusciva a trascinare sulla retta strada i cuori più induriti. Uno di questi fu Francesco Pacini, un soldato dai costumi alquanto dissoluti che, attraverso la determinazione e l’amore di sr Giacinta, non solo si converte ma si dedica completamente agli altri e diventa il suo braccio destro nell’azione caritativa nella città.

Nacquero infatti per sua volontà la Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, per assistere i convalescenti dismessi dall’ospedale, e successivamente, nel 1636, il Sodalizio degli Oblati con lo scopo di dar ricovero ai vecchi poveri ed inabili al lavoro. In quel tempo vi erano ben 21 Confraternite che si occupavano di assistenza sociale e l’opera di sr Giacinta si inserisce perfettamente nei bisogni della città. Furono queste due iniziative, che sopravvissero per decenni, il lascito più importante da un punto di vista sociale di sr Giacinta alla città di Viterbo. Per lei la povertà non era solo una questione individuale, ma era una dimensione sociale e come tale andava affrontata dalla Chiesa.

 

 

Da sr Giacinta a Santa Giacinta

Sr Giacinta muore il 30 gennaio 1640 e alla notizia della sua morte accorsero numerosissimi da tutta la città. La salma fu esposta nella chiesa e dopo i funerali fu tumulata nella fossa comune sotto l’altare maggiore della Chiesa. 

I resti del corpo della Santa sono stati recuperati in occasione della beatificazione ordinata da Benedetto XIII nel 1726. È stata canonizzata da Papa Pio VII il 24 maggio 1807 e oggi il suo corpo è custodito presso il Monastero delle Clarisse San Bernardino a Viterbo.

 

Contenuti elaborati a partire da:

  • Suor Giacinta Marescotti, al secolo Clarice. Nobildonna e monaca, Francesca Giurleo, Maurizio Grattarola, 2023
  • Profilo umano-spirituale di Santa Giacinta Marescotti di Viterbo, sr Maria Agnese Granata o.s.c., Dissertatio ad Diploma presso Istituto Francescano di Spiritualità del Pontificio Ateneo “Antonianum”, Roma, 2000
  • Giacinta Marescotti una santa moderna, Salvatore Del Ciuco, Viterbo, 1991
  • Modernità e attualità di Santa Giacinta Marescotti, Piero Luigi Zangelmi, Napoli, 1982
  • Vita di Santa Giacinta Marescotti, Girolamo Ventimiglia, Roma, 1726

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Speciale del TG diocesano per la festa di Santa Giacinta 2023:

 

Celebrazione della solennità di Santa Giacinta presso il Monastero S. Bernardino di Viterbo: