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NEWSLETTER n° 10 - 30 marzo 2019

  • SAN FRANCESCO E LA VANAGLORIA - (tratto da p. Alfio Marcello Buscemi ofm, "L'Ammonizione VI di san Francesco" in Forma sororum 2/2019)
  • LECTIO DIVINA - 31 Marzo 2019 - IV Domenica di Quaresima / C

San Francesco e la vanagloria

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"Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l'hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell'ignominia e nella fame, nell'infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. In conseguenza, è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto le opere e noi vogliamo riceverne gloria e onore con il raccontarle".

L'Ammonizione VI (di san Francesco d'Assisi) inizia con un'esortazione: l'attenzione di Francesco e dei suoi frati deve sempre rivolgersi al "buon pastore". Non è uno sguardo fugace, ma uno sguardo diretto a Cristo, un dirigersi con la mente e col cuore, con tutto il proprio essere, su Colui che guida le proprie pecorelle. L'espressione equivale alla "sequela" e all'"imitazione" del Cristo: guardare per seguire le orme del pastore e imitarne gli esempi.
Si ammonisce di avere un atteggiamento esistenziale che non tradisca il proprio essere in Cristo e il proprio partecipare alle sofferenze di Cristo. La vera e propria ammonizione di Francesco, mira a correggere un comportamento errato di alcuni frati: metterli in guardia da quella vanità ipocrita di chi, invece, di seguire Cristo e i suoi veri testimoni, "vuole ricevere gloria e onore con il raccontare" gli esempi di Cristo e di coloro che lo hanno seguito nelle sofferenze e nell'ignominia. La sequela di Cristo è come un antidoto ad un atteggiamento vanitoso e ipocrita.
Per questo nella Regola non bollata esorta i frati: "Guardiamoci da ogni superbia e vana gloria, e difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della carne. Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità interiore dello spirito, ma vuole e desidera una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini. E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene".

(tratto da p. Alfio Marcello Buscemi ofm, "L'Ammonizione VI di san Francesco" in Forma sororum 2/2019)



LECTIO DIVINA

31 Marzo 2019
IV DOMENICA di QUARESIMA / C

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Gs 5,9-2a.10-12; Sal 33/34,2-7; 2Cor 5, 17-21; Lc 15, 1-3.11-32



La liturgia della quarta settimana di Quaresima ci presenta Dio come “Padre misericordioso” che conosce i nostri peccati, ma allo stesso tempo ci ha fatto suoi figli e ci ha lasciato liberi di amarlo. Alla luce della fede possiamo riconoscere tutte quelle volte che rifiutiamo l’AMORE ma sappiamo che Dio essendo Padre-Madre attende i nostri passi, è lui che si nascondi nelle nostre ferite per guarirle con misericordia e benevolenza. Tutta la vita di Gesù Cristo, specialmente la sua morte- risurrezione è la manifestazione dell’amore passionale di Dio per ciascuno di noi, è il suo dirci che ci ama e ci salva.



Testo e commento alle Letture

Dal libro di Giosuè (Gs 5,9-2a.10-12)
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.




Nella prima lettura tratta dal libro di Giosuè (il cui nome significa “Dio salva”) ci viene presentato il popolo d’Israele che entra nella terra promessa e celebra la Pasqua guidato da Giosuè, successore di Mosè. Si dice che il giorno seguente “la manna cessò”, perché Dio vuole inaugurare una nuova umanità, nella fedeltà a Lui.
L’infamia, la schiavitù si sono allontanati da noi con il perdono di Gesù Cristo, è lui che ha instaurato la nuova Pasqua. Come gli Israeliti erano sostenuti durante il pellegrinaggio verso la terra promessa con la manna, così oggi l’Eucaristia è Cristo con noi, è il sostegno nel cammino verso il vero incontro con il nostro Salvatore fino al suo ritorno.



Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2 Cor 5, 17-21)
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.




Nella seconda lettura l’Apostolo Paolo rivolgendosi ai Corinzi afferma che: se uno è in Cristo è una nuova creatura, adesso Paolo vede ogni realtà, ogni situazione con gli occhi della fede, non alla maniera umana perché in Cristo è diventato una nuova creatura. In Cristo tutti noi siamo creature nuove, è lui che ci rende capaci d’amare, di perdonare, d’essere strumenti di riconciliazione e di pace. I credenti possono partecipare alla riconciliazione con Dio Padre attraverso Gesù Cristo perché è lui che ci unisce al Padre e ci unisce tra noi. Siamo chiamati a lasciarsi riconciliare con Dio e con ogni fratello nel nome di Cristo.



Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3. 11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».

L’evangelista Luca ci propone la parabola del Padre misericordioso, il suo scopo è di mettere in risalto la misericordia di Dio verso ogni uomo che riconosce i suoi peccati e sia pentito.
Luca sottolinea nel vangelo il contrasto tra i peccatori che accorrono a Gesù e i farisei, gli scribi che mormorano contro di lui. Allora potremmo domandarci: cosa ci spinge a mormorare costantemente come se il nostro cuore non fosse mai sazio di quello che Dio ci dona? Siamo disposti veramente a lasciarci scomodare dalla parola di Dio che oggi risuona nella nostra vita?
L’amore infinito del Padre si svela attraverso Gesù Cristo che ha cercato l’uomo perduto e invita tutti a condividere questa gioia del ritrovamento. Il Padre vede il figlio da lontano, sente compassione, è proprio sconvolto fino alle viscere. E' il sentimento di Yahvè verso i suoi piccoli, verso i poveri, è il Padre che sorprende con il suo amore gratuito. E’ questa la gioia di Dio: vedere tornare il suo figlio verso di lui , ma è lui che ci cerca, che desidera entrare in comunione con noi.
Allora ritornò in sé e disse, serve ritornare nel nostro cuore non solo per riscoprire i nostri peccati ma per contemplare l’immagine di Dio che è dentro noi e assaporare la sua presenza, il suo perdono.
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Sono tre i gesti simbolici che il Padre compie verso il figlio minore: il dono della veste bella (le ridona la sua bellezza), l’anello al dito (le conferisce autorità), i sandali ai piedi (condizione di libertà). E’ l’amore del Padre che guarisce, la gioia del suo perdono ci invita a gioire con lui, a tornare dai fratelli e lodarlo per la sua misericordia.



Commento patristico

Tu dunque conosci il mio cammino; quale se non quello perverso che aveva seguito per andare lontano dal padre, come se potesse rimanere nascosto agli occhi di colui che poteva punirlo? Ma non avrebbe potuto essere logorato dalla miseria, né essere posto a pascolare i porci, se il padre non avesse voluto castigarlo lontano per riaverlo vicino. Perciò, come un fuggiasco messo alle strette, inseguito dal giusto castigo di Dio che ci punisce nei nostri affetti in qualunque luogo saremo andati e dovunque saremo arrivati, esclama: “Mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie”. Prima ancora di andarvi, prima che io vi camminassi, tu le hai previste; e hai permesso che percorressi con dolore le mie vie affinché, per non soffrire, tornassi sulle tue (Dal commento sui salmi, Sant’Agostino, Vescovo).



Commento Francescano

“...e per usare propriamente le parole dell’Apostolo, ti considero collaboratrice di Dio stesso e colei che rialza le membra cadenti del suo corpo ineffabile. Chi allora potrebbe impedirmi di gioire per così numerosi motivi di gaudio? Gioisci, dunque anche tu nel Signore sempre, o carissima e non ti avvolga nebbia di amarezza, o signora in Cristo amatissima, gioia degli Angeli e corona delle tue sorelle”.
(Terza lettera di Santa Chiara d’Assisi ad Agnese di Boemia, FF 2886-2887)



Orazione finale

Ti preghiamo Padre misericordioso di suscitare in noi il desiderio del tuo perdono, della tua salvezza, fà che il nostro cuore ritorni a te che sei la fonte dell’amore, te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.


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