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NEWSLETTER n° 7 - 22 febbraio 2019

  • PENTIMENTO E CONVERSIONE - Fr. Andrè Louf
  • LECTIO DIVINA - 24 Febbraio 2019 - VII Domenica T.O. / C

La preghiera

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«L'attività della preghiera, che all'inizio consideriamo
una nostra attività, è in realtà l'attività di un Altro.
Abbiamo il senso che qualcuno ci "preghi dentro";
comprendiamo che al livello più profondo
non siamo noi a pregare, ma Dio che prega in noi.
E il Dio che prega così dentro di noi è proprio il Dio Trinità.
Ci troviamo noi stessi presi in una conversazione
che è già in atto - una conversazione divina,
il dialogo eterno della Trinità. Ciascuno di noi
sente Dio Padre che gli dice personalmente:
"Tu sei il mio figlio prediletto"; diventiamo figli
nel Figlio e, attraverso lo Spirito, facciamo nostra
la risposta filiale: "Abba, Padre"».

Kallistos Ware

LECTIO DIVINA

24 Febbraio 2019
VII DOMENICA T.O. / C

Amate-vostri-nemici-r
1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102; 1Cor 15,45-49; Lc 6,27-38



Fedeltà dell'uomo ai tempi di Dio (1Sam 26) e misericordia, intesa come dono totale di sè all'altro sull'esempio del Padre (Lc 6,36), sono i temi principali delle Letture di questa penultima domenica del Tempo ordinario che precede l'inizio della Quaresima. Rivestìti dell'"uomo celeste" (1Cor 15,48), grazie alla discesa nella carne umana del Figlio di Dio, possiamo agire concretamente da esseri abitati dallo Spirito di Cristo amando chi non ci ama, donando senza misura a chi non ci ricambia, volendo bene all'ingrato e al malvagio perché questo è l'amore che ciascuno di noi, peccatore, vorrebbe ricevere da Dio e dal prossimo.



Testo e commento alle Letture

Dal Primo libro di Samuele (26,2.7-9.12-13.22-23)
In quei giorni, 2Saul si mosse e scese al deserto di Zif conducendo con sé tremila uomini scelti di Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif. 7Davide e Abisài scesero tra quella gente di notte ed ecco Saul giaceva nel sonno tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra a capo del suo giaciglio mentre Abner con la truppa dormiva all'intorno. 8Abisài disse a Davide: «Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l'inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo». 9Ma Davide disse ad Abisài: «Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?». 12Così Davide portò via la lancia e la brocca dell'acqua che era dalla parte del capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore. 13Davide passò dall'altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era grande spazio tra di loro. 22Rispose Davide: «Ecco la lancia del re, passi qui uno degli uomini e la prenda! 23Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore.

Luogo aspro e inospitale della prova, il deserto è teatro della fuga di Davide dall'ira del re Saul, primo re di Israele che, invidioso dei successi bellici e del favore che Dawid, l"amato", gode presso gli Israeliti e presso il Signore, attenta ripetutamente alla sua vita. Ha paura Davide, braccato dal sovrano che lo aveva prediletto, tradito dagli Zifei che, per attirarne il favore, rivelano a Saul il nascondiglio di Davide nel deserto di Zif. Zif, che è parte del deserto di Giuda, è però il deserto "in fiore", la terra arida (midhbàr) della paura, della sete, della solitudine, nella quale è anche possibile udire chiaramente la Parola di Dio (dabar). E Davide, infatti, non è solo, il Signore lo consola e gli comunica la Sua promessa attraverso due personaggi: l'amico Gionata, figlio di Saul (1Sam 18, 1), e Abigail, moglie dello stolto Nabal, che rifocilla le truppe di Davide alle quali il marito aveva negato cibo e bevanda (1Sam 25). Entrambi predicono a Davide la futura unzione a Re d'Israele al posto di Saul, il cui cuore si è da tempo allontanato dal Signore; entrambi, però, hanno misericordia e restano fedeli rispettivamente a Saul e a Nabal nonostante la loro indegnità.
Nella prova di Zif Davide ha una seconda occasione per accelerare i tempi del suo trionfo: può uccidere Saul, colto inerme questa volta nel sonno (la prima volta, in 1Sam 24, mentre ottemperava ai suoi bisogni fisiologici nella caverna di Engaddi); Abisài lo incalza, ma Davide non cede alla tentazione, forse edificato anche dall'esempio di Gionata e di Abigail. Davide rispetta la sacralità del primo Re unto da Dio e resta fedele ai tempi che il Signore ha stabilito per la sua consacrazione.
A Saul sottrae la lancia, arma di attacco, e l'acqua, fonte di vita indispensabile in terra desertica. L'ammonizione finale di Davide è pronunciata dalla cima di un monte, luogo tipico delle manifestazioni di Dio, lasciando tra loro un "grande spazio": Davide mette Saul dinanzi alla sua fragilità (la vita, che è nelle mani di Dio, gli può essere tolta quando meno se lo aspetta), gli mostra il suo peccato da lontano perché possa vederlo meglio, acquistarne consapevolezza; infine, egli diventa veicolo della misericordia di Dio che, attraverso la fede e la fedeltà di Davide, gli ha risparmiato la vita. Lo spazio che c'è fra loro è lo spazio della libertà che il Signore lascia all'uomo: quella di riprendersi la sua arma e di decidere se continuare a usarla come strumento di vendetta e di morte. Lo spazio desertico fra i due nemici è quello della possibile e radicale conversione di Saul che, come sappiamo dalla storia, comunque non avverrà.



Dalla Prima lettera ai Corinzi di san Paolo apostolo (15,45-49)
45Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48Come è l'uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l'uomo celeste, così anche i celesti. 49E come eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste.

San Paolo parla della Risurrezione ai cristiani di cultura greca, che credono nell'immortalità ma faticano a comprendere e ad accettare la Risurrezione. La passione, morte e risurrezione dell'"uomo celeste" Cristo, ha trasformato in risorti anche noi figli di Adamo e Paolo ha visto, sulla via di Damasco, questo Cristo risorto. Quella di Paolo non è una speculazione filosofica, ma la testimonianza di un incontro straordinario dalla quale scaturisce la sua teologia. La forza che spinge l'uomo di terra lo conduce al fango, alla corruzione, alla morte; quella che anima l'uomo spirituale è lo Spirito di Cristo, dono del Cristo risorto (cfr. A. Gelin, L'uomo secondo la Bibbia, 1968).


Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca (6,27-38)
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. 36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Gesù parla ai poveri, ai malati, agli assetati della "buona notizia" che hanno appena ascoltato il discorso delle Beatitudini. In questo brano di Luca si concretizzano i lineamenti dell'uomo celeste, spirituale, del battezzato: questo brano del Vangelo è ripreso in diverse Lettere di san Paolo, nelle catechesi battesimali. Come è possibile vivere così, se non da uomini di terra bisognosi di lasciarsi riempire dallo Spirito di Cristo, inebriare da quel vino sottinteso al versetto 38 che è simbolo della gioia dello Spirito Santo, versata nel "grembo", che è il contenitore della misericordia? Gesù invita i poveri a non odiare i ricchi, a non amarli per ciò che da essi possono ricevere: invita chi vuole seguirlo ad amare gratuitamente, senza aspettarsi un contraccambio, un ringraziamento, "senza sperarne nulla" (v. 35).
Come nella vicenda di Davide e di Saul, il nostro amore gratuito può addirittura non produrre nell'altro alcun frutto, il suo esito può essere apparentemente fallimentare come la croce di Cristo: è nel porre davanti al nemico, all'ingrato e al malvagio la misericordia anziché la vendetta, la reazione violenta, l'odio, che creo uno spazio per la sua conversione, come Davide fece con Saul.



Commento patristico

Dai Moralia (10,8) di Gregorio Magno:
"Quando (un uomo) pensa che deve fare agli altri quello che egli stesso ha piacere di ricevere da loro, cerca di rendere bene per male, meglio per bene; di mostrare mansuetudine e longanimità agli sfrontati, benignità ai maligni, di mettere pace fra chi è in discordia, di accrescere il desiderio di pace fra quelli che vanno già d'accordo, di dare il necessario ai poveri, di indicare a chi sbaglia la via della rettitudine, di consolare chi soffre con parole dolci, di frenare con buone ragioni le minacce dei potenti, di sollevare come meglio può le angustie degli oppressi, di opporre pazienza alle opposizioni.
Con i suoi benefici provochi gli ingrati all'amore; con i suoi servizi conservi l'amore in chi è riconoscente; quando non riesce a correggere con le parole, sia attento che il suo silenzio non passi per consenso; sopporti quello di cui tace senza nascondere in cuore il veleno del dolore; sia benigno coi malevoli, ma non al punto da agire male per accontentarli; faccia al prossimo tutto il bene che gli è possibile, ma senza gonfiarsi delle sue benemerenze; stia attento a non insuperbire del bene che fa, ma non per questo sia meno sollecito nel fare il bene. Dia quello che possiede, guardando solo alla grandezza della ricompensa che ne riceverà da Dio: e mentre dà beni terreni, non pensi troppo alla sua povertà, perchè la tristezza non offuschi la gioia del dono".



Commento francescano

Leggiamo dalla Lettera a un ministro di San Francesco d'Assisi:
"Quelle cose che ti sono di impedimento nell'amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori.
E questo sia per te più che stare appartato in un eremo.
E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.
E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così". (FF234-236)



Orazione finale

O Dio, Padre di misericordia, riempi il nostro cuore di un amore che sia cura dell'altro e per l'altro, un amore che non cerchi più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità, ma il bene dell'amato; un amore capace di diventare rinuncia, che sia pronto al sacrificio e che, anzi, lo cerchi. Così sia.
(cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, 1.6)

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