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NEWSLETTER n° 3 - 18 gennaio 2019

  • DALL'OMELIA DI PAPA FRANCESCO NEI VESPRI ALL'INIZIO DELL'OTTAVARIO DI PREGHIERA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI - 18 gennaio 2019
  • LECTIO DIVINA - 20 Gennaio 2019 - III Domenica T.O. / C

Dall'omelia di Papa Francesco nei Vespri all'inizio dell'ottavo centenario di preghiera per l'unità dei cristiani

18 Gennaio 2019

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Oggi ha inizio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella quale siamo tutti invitati a invocare da Dio questo grande dono. L’unità dei cristiani è frutto della grazia di Dio e noi dobbiamo disporci ad accoglierla con cuore generoso e disponibile.

I cristiani dell’Indonesia, riflettendo sulla scelta del tema per la presente Settimana di Preghiera, hanno deciso di ispirarsi a queste parole del Deuteronomio: «La giustizia e solo la giustizia seguirai» (16,20). In essi è viva la preoccupazione che la crescita economica del loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie, lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di responsabilità reciproca.

Ma ciò non vale solo per l’Indonesia: questa situazione si riscontra nel resto del mondo. Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.

San Paolo, scrivendo ai Romani, applica la stessa logica alla comunità cristiana: coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli. Non è cristiano «compiacere noi stessi» (15,1). Seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli. La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana.

Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi. È facile scordare l’uguaglianza fondamentale che esiste tra noi: che all’origine eravamo tutti schiavi del peccato e che il Signore ci ha salvati nel Battesimo, chiamandoci suoi figli. È facile pensare che la grazia spirituale donataci sia nostra proprietà, qualcosa che ci spetta e che ci appartiene. È possibile, inoltre, che i doni ricevuti da Dio ci rendano ciechi ai doni dispensati ad altri cristiani. È un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E come potremo allora entrare nel Regno promesso?

Il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni ricevuti sono resi accessibili e condivisi. Per compiere i primi passi verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità.

LECTIO DIVINA

20 Gennaio 2019
II DOMENICA T.O. / C

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Is 62,1-5; 1Cor 12,4-11; Gv2,1-11




L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’Amore, se non si incontra con l’Amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente (Redemptor Hominis, Giovanni Paolo II). Questo è il messaggio che, ancora una volta, il Dio incarnato nel seno della Vergine Maria che abbiamo celebrato nel periodo appena vissuto del Natale, ci dona in questa seconda domenica del tempo ordinario. Infatti Dio non può che spiegarsi attraverso un linguaggio umano, l’unico che comprendiamo. Alla fine del banchetto di nozze, il maestro di tavola ringrazia lo sposo senza nome che ha donato agli ospiti il vino buono: qui Gesù non è soltanto Colui che fa un regalo di nozze, qui Gesù è lo Sposo, è Colui che sposa l’umanità; per questo incontrando la realtà umana del matrimonio possiamo imparare qualcosa in più di come Dio ama il suo popolo. Gesù è lo sposo di quella terra che non sarà più chiamata abbandonata né devastata. È così che Gesù ci ama come uno sposo (cfr. Gaetano Piccolo).


Testo e commento alle Letture

Dal libro del profeta Isaia (62,1-5)
Per Amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finchè non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Si, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

Il profeta Isaia eleva un canto alla città che sta per risorgere dopo la distruzione e l’esilio. Le sue sorti muteranno completamente: essa non sarà più sinonimo di abbandono e devastazione, ma Dio la chiamerà “Mia gioia…mia delizia” perché Egli stesso ne sarà lo sposo. Importante è la frase conclusiva del brano: come lo sposo gioisce per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te, perché questo contraddice tutti quelli che pensano a Dio come ad un essere lontano. Dio è il creatore dell’unità della coppia; colui che di due esseri così differenti crea una sola carne. La coppia è uno dei segni essenziali, una delle immagini primordiali di Dio. Ogni vera esperienza di amore è un cammino che può farci conoscere Dio: ricordiamocelo! (cfr. fr. Bruno Pennacchini).



Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (4,4-7)
Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Paolo ci dice come la Chiesa sia ricca e nel suo interno presenti una varietà di doni e carismi che sono tutti elargiti dallo stesso Spirito di Dio per il bene comune. La sorgente è, dunque, unica come la meta, che è la professione di fede comune e l’impegno nell’amore che edifica la Chiesa. Paolo offre una lista esemplificativa di questi ”carismi“: c’è il “linguaggio di sapienza e di conoscenza”, che è la capacità di approfondire e comunicare l’esperienza cristiana; c’è la “fede”, intesa come fiducia assoluta nell’opera del Signore; c’è il dono di sostenere le sofferenze dei fratelli con guarigioni e miracoli; c’è la profezia che guida nelle vie della storia alla ricerca della volontà divina; c’è la capacità di discernere i veri carismi (“spiriti”) da quelli falsi; c’è la “varietà delle lingue”, che è il dono di saper comunicare esperienze mistiche. Tutto questo ci dice che non c’è spazio per la superbia nella nostra chiesa! (cfr. Gianfranco Ravasi)



Testo e commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni (2,1-11)
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo: Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto-il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua -chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. Questo a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

La liturgia celebrata in questo periodo narra i tre momenti storici della vita di Gesù in cui Egli si manifesta come Figlio di Dio. Nell’epifania i Magi rappresentano i pagani, nel battesimo al Giordano, invece, la manifestazione è per Israele; infine oggi, seconda domenica del tempo ordinario, abbiamo le nozze di Cana che segnano la manifestazione ai discepoli. Importante è notare che a Cana Gesù mostrò attraverso questo primo segno il suo ingresso nella storia che porterà una mutazione totale che riguarderà le realtà umane. Mutuazione significata dalla trasformazione dell’acqua in vino. Sappiamo bene che in tale brano molti particolari narrativi sono simbolici.
Se solo guardiamo alle coppie di sposi che nella fatica quotidiana provano a rimanere fedeli l’uno all’altra, possiamo rileggere questa Parola nella quale Dio si presenta come sposo dell’umanità: questa scena presa da un matrimonio ci insegna innanzitutto che nella vita ci sono dei tempi e delle ore precisi, c’è il momento della festa, dell’innamoramento, ma c’è anche il momento in cui il vino viene a mancare e la festa rischia di finire in anticipo. Ci sono nella vita tempi in cui siamo ricchi e possiamo rendere partecipi gli altri della nostra gioia e tempi in cui siamo poveri come questa coppia di sposi che ha finito il vino, forse perché gli invitati erano più del previsto! Quanto sarebbe bello se il vino in ogni casa venisse a mancare a causa di una smisurata accoglienza: solo se metteremo a disposizione degli altri il poco o il tanto vino che abbiamo, solo allora il Cristo verrà e ripeterà il miracolo donandoci non un vino qualsiasi ma il vino buono.
In questo brano, poi, sono presenti sei anfore. Tali anfore a cui Giovanni fa riferimento nel vangelo erano utilizzate per le abluzioni previste da un rituale giudaico, ma ora l’intervento di Gesù trasforma non solo l’acqua ma anche le anfore: esse non rappresentano più lo strumento per rispettare la legge; ma sono il canale per far arrivare la gioia e se le anfore non sono riempite del vino della gioia non servono più a nulla. Il numero sei, poi, ricorre anche nell’incontro di Gesù con la samaritana: essa aveva sei mariti; il numero sei indica qualcosa che va completato. Per la Samaritana, infatti, il settimo marito sarà lo sposo vero, Colui che le sta parlando, Gesù. Allo stesso modo, la settima anfora sarà il costato di Cristo da cui scaturirà sangue e acqua.
Infine, poi, non ultima per importanza, notiamo la figura di Maria, presente nel vangelo di Giovanni solo due volte: alle Nozze di Cana, inizio della vita pubblica di Gesù, e sotto la Croce, alla sua conclusione. È come se Giovanni volesse dirci che, oltre ad averlo partorito a Betlemme, lo genera oggi alla vita pubblica; e sarà presente, domani, sul Calvario, alla nascita dell’Uomo Nuovo: quanto abbiamo da imparare da lei! (cfr. Gaetano Piccolo)



Commento patristico

Dal “Commento su Giovanni” di sant’Agostino, vescovo:
“Se uno offrisse il suo sangue per la sposa, come potrebbe sposarla? Il Signore invece affronta serenamente la morte, dà il suo sangue per colei che sarà sua dopo la risurrezione, colei che già aveva unito a sé nel seno della Vergine. Il verbo infatti è lo sposo e la carne umana è la sposa; tutti e due sono un solo Figlio di Dio, che è al tempo stesso figlio dell’uomo. Il seno della Vergine Maria è il talamo dove egli divenne capo della chiesa e donde avanzò come sposo che esce dal talamo secondo la profezia della Scrittura: Egli come sposo che procede dal suo talamo, esultante come campione nella sua corsa (Sal 18). Esce come sposo dalla camera nuziale e, invitato, si reca alle nozze”.



Commento francescano

“Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile (cfr. Gal 6,2). Beato il servo che restituisce tutti i beni al Signore Iddio, perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del Signore suo Dio (Mt 25,18), e gli sarà tolto ciò che credeva di possedere (cfr. Lc 18)”. Nella XVIII Ammonizione, per “restituzione” san Francesco intende non un atto esclusivamente religioso, ma un prendersi cura della fragilità degli altri offrendo con gratuità e generosità i propri beni; i beni offerti, per l’autore, si riassumono in una sola parola: misericordia. Con essa si dona ai “miseri” la cosa più preziosa che si ha, la sola che può donare un vero sostegno alla vita: “il cuore”. Restituire a Dio “il cuore” quale “sacrificio di lode” significa donarlo ai “miseri” (e cioè anche e soprattutto a chi ci vive accanto) che sono colpiti al cuore dalla vita, offrendo un “sostegno” che costituisce l’unica possibilità di donare loro nuova speranza e la possibilità di rimettersi in cammino. La modalità per far tutto questo è la regola d’oro (usata almeno altre sei volte negli scritti di Francesco) e cioè offrire appoggio “in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile”. Dunque, il principio base di tale regola è preciso: amare se stesso nell’altro mediante un’opera di sostituzione. Francesco direbbe: “Diventa lui e àmati! Così facendo si entra nel meccanismo di restituzione e di offerta che, unico, sana le ferite, ridona dignità e rimette in moto un cammino di pienezza in se stessi e negli altri” (cfr. p. Pietro Maranesi).


Orazione finale

O Maria Vergine dell’Ascolto e mediatrice di grazie, prega per noi.

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